Beauty and the city

Un tramonto; le vette delle montagne innevate che si stagliano contro un cielo turchino; un fiore che sboccia; la visione aerea di un fiume sudamericano mentre sparisce all’interno di un’infinita distesa smeraldo; una metropoli i cui grattacieli si mimetizzano col nero cielo della notte, dando l’illusione che le insegne al neon galleggino a mezz’aria.
Alcuni prodotti dall’uomo, altri frutto di madre natura, quelli che ho provato a descrivere con la mia umile prosa sono tutti comunque dei paesaggi che, convenzionalmente, sono definibili “belli”. C’è qualcosa in loro, vuoi che sia la semplicità della natura in atto o l’involontaria poesia nata dalla rigidità urbanistica, che affascina i nostri occhi, ci sprona calme e forse profonde riflessioni e soprattutto ci dona un senso di serenità.
Tutto l’opposto, insomma, di quella che spesso è la monotonia quotidiana. Ogni giorno i nostri occhi, sulla via per il lavoro o la scuola, sono infatti bombardati da cieli uggiosi o ancora rabbuiati, dal grigiore delle città e da cartelloni pubblicitari di dubbio gusto e, soffocati da tutta quella banalità, il nostro essere antimeridiano non può che reagire con una certa dose di scontrosità mattutina, la quale viene poi soffocata dal torpore che a forza si rimpossessa dei nostri corpi o viene sfruttata per incominciare fin da subito a ragionare sulle questioni che dobbiamo affrontare nell’arco della giornata.
Se davvero le uniche bellezze percettibili dall’uomo fossero quelle esplicite e spettacolari descritte nel primo paragrafo, l’unico modo in cui l’umanità potrebbe sopravvivere sarebbe attraverso un abbonamento perenne allo speciale fotografico del “National Geographic”, e la sua perpetua lettura. Per fortuna dell’umanità, e con buona pace della rivista scientifica americana, le cose non stanno così. Capita infatti che nell’arco della giornata la situazione migliori, ci si trovi più svegli, più disposti ad affrontare le bruttezze del mondo ed addirittura, ma proprio se si è fortunati, a percepirsi vagamente ottimisti.
Se non le fotografie spettacolari, però, cos’è che, all’apparenza inavvertitamente, riesce a darci le stesse sensazioni che la bellezza è in grado di darci? Esiste forse una bellezza surrogato?
La risposta, ovviamente, è no. Ma anche sì.
Non si tratta infatti di un mero surrogato, ma di bellezza vera e propria: quella proveniente dalle piccole cose e, soprattutto, dalle persone.
Il sapore del caffè mattutino, passare una serata tranquilla col proprio amato, incontrare i propri compagni sull’autobus, scambiarsi quattro chiacchiere prima di entrare in classe, parlare coi colleghi di quello che si è fatto la sera prima, rendersi conto che davanti all’edificio dove stiamo tutti i giorni c’è ancora un albero sano e vitale.
L’effetto sugli occhi di tutto quello descritto sopra è sicuramente meno d’impatto delle foto naturalistiche, ma la sensazione che ci lascia dentro è altrettanto, se non ulteriormente, potente. Soprattutto quella nata dalle persone, perché quando qualcuno incomincia a condividere con noi la bellezza che si porta dentro, per una strano principio di vasi comunicanti emotivi, anche noi finiamo con l’aprirci e condividere la nostra bellezza interiore con lui finendo col migliorarci reciprocamente la giornata e, forse, anche un po’ la vita.
Tricheco birbante