Da quando la rivoluzione industriale ha reso inutile una larga forza lavoro per la coltivazione del terreno, la vita degli abitanti della maggior parte del pianeta ha iniziato ad essere vissuta nelle città. Le città sono dove mangiamo, studiamo, lavoriamo, ci innamoriamo, esistiamo. Si potrebbe dire, scomodando Aristotele, che ormai la giungla d’asfalto sia l’habitat naturale dell’animale sociale.
Nonostante questo, spazi creati apposta dagli umani per gli umani finiscono col non soddisfare. In città è facile muoversi e trovare tutto quello di cui si può aver bisogno, eppure questa illimitata possibilità di scelta ci fa sentire comunque intrappolati. Liberi di scegliere, certo, ma sempre nei limiti e nei tempi che ci impone un “altro” sempre invisibile ma mai definito, oggi più che mai: Il fondatore di Google, Larry Page, non sa esattamente come funziona l’algoritmo che gestisce le ricerche, così come non lo sa nessuno delle centinaia di programmatori che per lui lavorano; eppure questi è bravissimo a consigliarci quello che ci piace, e nessuno si fa troppe domande.
Ma se il luogo stesso dove si svolgono le nostre vite non ci è particolarmente amichevole, potrà mai esisterne uno? Italo Calvino, autore a me molto caro, partiva da uno spunto di riflessione simile per il suo libro “le città invisibili”. Luoghi fantastici e bizzarri; alcuni nascosti altri in piena vista fra cielo e terra, vita e morte, realtà e finzione. A viaggiare tra di essi non sono però tanto i personaggi del libro quanto il lettore stesso, spinto infine ad interrogarsi sulla natura di questi luoghi fantastici e decidere se posti del genere esistano, se o potranno, forse, un giorno esistere e se davvero valga la pena che esistano.
Possibile quindi che l’unica vera fuga dal grigiore delle nostre città sia possibile solo attraverso la fantasia?
Sì, ma anche no.
È vero nel senso che l’unica vera fuga possibile è attraverso qualcosa di immateriale: il rapporto che viene a crearsi tra persone diverse.
Si dice spesso che la città isoli gli individui rispetto ai paesini dove si conoscono tutti da sempre, e questo è vero, ma è anche vero che la città presenta al suo interno moltissimi luoghi di aggregazione creati apposta per interconnettere le persone, ed è proprio qui che attraverso passioni, ideali, comunanza d’intenti e di valori le persone possono iniziare a compiere le loro scelte in libertà, sicure di essere circondate da altri che condividono la loro idea di bene e con le quali possono sentirsi a casa.
E come viene designato il luogo dove molte persone hanno casa, se non città?
Ma una città diversa, non fatta di cemento e neon ma di carne ed emozioni, una vera e propria “città dell’uomo”, che si serve delle infrastrutture e della durezza della città che la circonda come mura difensive, per potersi dare una forma fisica ed iniziare via via ad espandersi per tutti i corsi e le vie, in maniera invisibile, col solo scopo di poter unire tra loro quante più persone possibili e riuscire un giorno a trasformare la città e, chissà, magari anche il mondo intero per lasciarlo, si spera, un po’ migliore di come lo si è originariamente trovato.
Oppure, se davvero il vivere costantemente in città risultasse così difficoltoso, si potrebbe provare a trascorrere ogni singolo finesettimana andando per boschi.
Ma solo un pazzo farebbe una cosa del genere.
Tricheco Birbante