Sono tornato in clan: di nuovo sull’essere adulti

Al termine di una giornata lunga, mi si fa incontro un pensiero breve. In un recente articolo scrivevo di come durante un incontro regionale, noi giovani capi siamo stati posti in guardia proprio su quel che credevamo essere un punto di forza: la nostra età. Ventenni o poco più, ci dicevano, siete chiamati ad essere adulti e non più giovani.
Una settimana fa, in barba a questo ammonimento, ho deciso di partecipare ad un incontro per i “giovani della parrocchia”. Ebbene sì, l’ho fatto. Si trattava di un incontro di catechesi sulla beatitudine della misericordia (“Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” Mt 5,7), ribattezzabile “l’altra faccia della misericordia: la giustizia”: se ne parla tanto e se ne parlerà ancora, ma non è ciò di cui voglio parlare ora.
Per un attimo mi è sembrato di tornare in clan: c’era il capo clan che parlava (il don) e un gruppo numeroso di r/s (“i giovani”) che lo ascoltavano in attesa di una qualche illuminazione. Inviti a partecipare alla discussione, domande provocatorie… e nessuno parla. Ad un certo punto mi sono detto: sarebbe un buon momento per un ban! Mi guardo intorno ma niente: non c’è traccia della pattuglia menate. A dirla tutta non c’è traccia di alcuna pattuglia o gruppo, che dir si voglia, che si sia preso in carico l’animazione di questo o quel momento della serata. Tutto dipendeva dal capo (il don): esattamente la situazione che, ci diciamo sempre soprattutto in branca RS, non dovrebbe verificarsi.
Di nuovo scruto i volti di questi giovani, la maggior parte dei quali ben oltre l’età della Partenza: vedo diversi studenti universitari, alcuni lavoratori; in particolare vedo adulti costretti ad essere etichettati ancora come giovani, potenziali capi scout (deformazione professionale), potenziali responsabili in qualche associazione di volontariato… E ringrazio la mia Associazione, che compiuti i 21 anni mi dice: tu sei pronto e lo devi rimanere sempre (“estote parati”), vai nel mondo e costruisci qualcosa di buono. La mia Associazione e la mia Co. Ca. si fidano di me e mi affidano un compito immane: contribuire alla crescita di oltre trenta ragazzi. Una responsabilità che solo con l’aiuto di Dio possiamo effettivamente ed efficacemente sostenere.
Chiedo scusa agli amici del “gruppo giovani”: certamente in ambito oratoriano avranno tutti modo di fare servizio e spendere il proprio tempo per gli altri assumendosi responsabilità importanti. Ho soltanto preso spunto da una situazione per svolgere un discorso più ampio. A proposito di ampiezza, occorre fare alcune precisazioni:
1) Quando ci diciamo adulti non significa che dobbiamo abbandonare quella serie di vantaggi, quella freschezza che ci deriva dal poter spegnere ancora a fiato -e non con un idrante- le candeline sulla nostra torta di compleanno. Quel che conta, si sa, è lo spirito: per questo gli adulti non sono necessariamente vecchi e i vecchi non sono per forza decrepiti.
2) Per la nostra Associazione, prima di diventare capi noi siamo adulti sì, ma “in formazione”. L’adulto quindi (ma neanche il capo io credo) non può dirsi arrivato: gli occorre una formazione di base e una formazione continua, da curare con attenzione.
Doveva essere un pensiero breve, perdonatemi.

Carlo Maria