Italia sì: una pizza in compagnia

pegasoemigranti“Da quanto tempo sei in Italia?”, chiedo al mio passeggero, con un occhio a lui e un occhio alla strada circondata del buio di dicembre. Mi guarda per dirmi che non ha capito, così scandisco “Tu, da quanto qui?” aiutandomi con qualche gesto. “Sei mese”, risponde, incerto sulla pronuncia.
Viene dal Senegal, questo è il suo primo inverno, non aveva mai conosciuto questo freddo.
Lo sto riaccompagnando a casa, o meglio, alla “struttura d’accoglienza” che ospita lui, i due che se ne stanno silenziosi sul sedile posteriore e la trentina di migranti di varia provenienza con cui abbiamo passato la serata.
Abbiamo fatto la spola con le macchine da Fagnano Olona all’oratorio del Gerbone, dove il Reparto Pegaso è giunto a piedi e non ci siamo messi a fare troppi discorsi, anche per il banale motivo che, della nostra strana compagnia di ospiti, pochi parlavano inglese e quasi nessuno italiano: due campi, due palloni… Giocare a calcio o a basket con quei ragazzi è stato, quantomeno, insolito. La loro enfasi, la loro voglia, sembrava incontrastabile (tiravano certe cannonate!), ma è comprensibile se si pensa che molti di loro, non avendo ancora un lavoro, non possono fare altro che starsene nel “recinto” di quella casa che in certi momenti può sembrare una prigione. Nei loro tiri c’erano settimane o mesi di voglia di correre.
pegasoemigranti2A questo punto, rotto il ghiaccio, la confidenza è stata raggiunta nel modo più efficace dai tempi di Adamo: seduti in cerchio davanti al cibo!
Pizze, per l’esattezza, perché se si fa una cosa la si fa bene!
È stato a questo punto che i nostri nuovi amici, con un po’ di inglese o francese o con gesti o con amici che traducevano il portoghese o chissà quale altra parlata, hanno iniziato a raccontarci chi erano: ragazzi di vent’anni, o poco meno o poco più, che avevano sogni e vite lasciate dall’altra parte del mare in cambio di qualcosa che non hanno ancora trovato. C’è uno studente di economia che avrebbe voluto lavorare in banca, un poliglotta dalle cinque lingue, un panettiere che, semplicemente, non ce l’ha più fatta…
Storie dalle radici lontane, ma che, raccontate così, mostrano qualcosa di brutalmente vicino a noi.
Ragazzi come noi, solo da un’altra parte.
I lampioni illuminano la strada, scacciando la nebbia dei campi. Dentro la macchina aria calda e silenzio: silenzio, il mio, di chi avrebbe tanto da chiedere; silenzio, il loro, di chi non riesce a parlare.
Quando ci congediamo ci stringono le mani e ci ringraziano con i sorrisi bianchissimi. Capiamo che non è per le trenta pizze, ma per i due palloni…

 
Geco Coinvolgente