Non ero in Piazza San Pietro il 13 Giugno ma incollata davanti alla TV per cercare di vivere quell’esperienza incredibile…
La prima cosa che mi è venuto in mente quando il Papa ha cominciato il suo discorso invitandoci, anche me, a costruire ponti è stato Erri de Luca. Non so perché, ma ho pensato a quel suo “L’unica opera edilizia cordiale è il ponte che invece di dividere vuole unire, nel collegare scavalca le rivalità; parola che proviene, appunto, dallo stare in due rive opposte. Quindi per me i ponti sono dei punti di sutura”
Rileggendo il discorso nei giorni seguenti l’udienza e oggi, mi rendo conto che c’è di più di quella emozione del momento. Mi viene fatta una chiamata precisa ad atti fattivi.
Penso che il Papa abbia voluto richiamare la mia attenzione in qualità di membro attivo di una comunità capi. Non mi ha fatto un invito astratto, poetico ma al contrario molto concreto e ben contestualizzato. Mi ha detto che “sono una ricchezza della Chiesa; che lo Spirito Santo suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori”. Non si limita a chiedermi di fare qualcosa. Molto di più. Mi chiama ad adoperarmi per far scattare un’esperienza significativa a chi mi sta intorno, come parte integrante della Chiesa. Mi ricorda di non accontentarmi di essere una presenza decorativa alla domenica o nelle grandi circostanze.
Ho fatto fatica a capire, sono sincera. Solo ultimamente credo di aver appreso un pochino meglio cosa intendesse, anche grazie ad incontri speciali e inattesi dove il verbo “suscitare” è continuato a tornare ancora e ancora.
Il Papa mi ha voluto ricordare un insegnamento antico come la Chiesa, in cui i suoi ’pontefici’ (dal latino pontifex, cioè ’costruttori’ di ponti pensa un po’…) sono i primi garanti dell’eredità lasciataci da Gesù in persona. Il Papa non fa altro che riprendere quanto già cominciato da Gesù, gli apostoli, San Paolo… mi invita ad impegnarmi in prima persona nella ricerca della relazione autentica, della verità che rende liberi. La relazione tra me e Gesù prima di tutto, che una volta “stabilita”, non può che aprirsi a chi mi sta accanto. Proprio come è successo ai discepoli che una volta che Gesù non c’era più, lo hanno cercato rimettendo in gioco la loro personale esperienza con Lui.
Non è una cosa facile, mi costa qualche fatica son sincera. Il Papa continua a ricordarmi che Gesù mi aspetta a braccia aperte per incontrarmi e mi manda ad incontrare gli altri, il resto della Chiesa come me. Mi chiede di scegliere di voler bene, cioè di volere il bene di chi mi cammina accanto e a cui io cammino accanto. Ma non basta, questa relazione se autentica non può che sconfinare i muri del macello, della mia casa, della mia famiglia… devo portarla nella comunità perché se la rinchiudo nella mia unità o in CoCa, rischia di rimanere davvero solo una presenza decorativa. Presenza di cui non posso, non voglio accontentarmi.
Non so se sarò in grado ma posso provarci. Anzi no, voglio proprio provarci mettendo in conto di prendere qualche cantonata contro quel brutto muro che è il mio orgoglio. Voglio provarci davvero, armandomi del coraggio di dare quei punti di sutura dove creo dissapore e lacerazioni, di scarpe adatte al lungo cammino che mi aspetta e di un’ocarina per non smettere di ridere e sorridere, anche di me.
Chi mi accompagna? Almeno per un pezzetto…
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