Ciao a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di generazione X.
Di solito quando narriamo un aneddoto, e soprattutto se vogliamo dargli una morale o trasmettere con esso un insegnamento, noi che lo raccontiamo ci troviamo nella parte dei protagonisti.
Questo serve per creare un effetto di emulazione, sperando che l’ascoltatore (o, in questo caso, il lettore) si senta spronato ad agire come abbiamo fatto noi, conscio del fatto che una persona vera, fisicamente presente davanti a lui, ha davvero compiuto le azioni che gli sono state raccontate.
Un altro motivo è che questo genere di narrazione fa sì che colui che ascolta (o legge) riesca più facilmente ad immaginarsi la situazione, e se ne senta più immerso. Quante storie dell’orrore, dove l’immedesimazione è fondamentale, iniziano con qualcosa come “alcuni ragazzi della nostra età…” se non addirittura dovete sapere che un giorno, mentre camminavo in un bosco… “!
Eppure, nonostante tutti questi trucchi narrativi, stavolta non sarò io l’eroe della nostra storia, ma piuttosto colui che sì compie molte azioni in essa, ma che alla fine ne subirà tutte le conseguenze, e soprattutto la morale.
E siccome quello che sto per raccontarvi è personale e riguarda cose di cui un po’ mi vergogno, dimenticatevi tutto quello che ho scritto prima e ripetetevi che nella storia non ci sono io, ma un amico di un amico, o che io ve la sto raccontando ma in realtà io l’ho saputa dallo zio della cugina del fabbro del terzo cugino di ottavo grado del mio idraulico.
Fatto? Bene! Iniziamo la narrazione.
Molti di voi lettori si trovano probabilmente ancora in quella fase beata della loro vita fatta di spensieratezza e pomeriggi passati a casa di amici comunemente denominata “infanzia”.
A volte sembra difficile immaginarselo ma tutti, in un modo o nell’altro, hanno avuto un’infanzia e, quella del vostro qui presente è avvenuta, più o meno, ad inizio duemila.
Era un’epoca diversa e ancora un po’ confusa, contraddittoria e talvolta insicura.
Un’epoca in cui tutti credevano che Bill Gates avesse inventato internet da solo, in cui nei film d’azione non si poteva far vedere palazzi che crollavano per via di un certo fattaccio accaduto ad inizio millennio ed in cui tutti credevano davvero, anime sciagurate, che i videofonini fossero una buona idea.
Uh? Cos’è un videofonino? Ecco, appunto.
A quell’epoca, ogniqualvolta avessi un pomeriggio libero, a prescindere che il clima fosse caldo come su Venere o freddo come su Plutone, io ero solito inforcare la mia bicicletta e pedalare fino a casa di un mio carissimo amico, dove poi avremmo giocato fino ad essere esausti.
Uno dei giochi che preferivamo erano i LEGO. Non che costruissimo chissà quali cose, la parte più divertente era mettere insieme quattro pezzi, due personaggi, e poi lasciare che tutto il resto lo facesse l’immaginazione.
Certo però che la collezione del mio amico era bella. Molto bella. Aveva tanti, ma tanti pezzi che gli invidiavo tantissimo. E così, sapete cosa ho iniziato a fare?
Incomincio a rubarglieli.
Che, detta così magari alle persone più mature un furto del genere, tra bambini, sembrerà risibile, ma io ci tengo a ricordare che, comunque la si voglia mettere, stavo rubando ad un amico. Un amico che si fidava, e stavo tradendo la sua fiducia.
E sappiamo bene dove finiscono, almeno secondo l’idea dantesca, i traditori di quelli che si fidano.
Inutile dire che mi feci sgamare praticamente subito e che il mio amico, infuriato, smise di parlarmi per settimane. Pentito, provai più volte a chiedergli scusa, ma ormai sembrava che il nostro rapporto si fosse rotto per sempre.
Eppure un giorno, mentre sono all’oratorio, ecco che questo mio amico mi si avvicina e mi dice: “ciao”.
Che belle che furono quelle parole, e quanta speranza mi diedero! Ancora oggi non so cosa abbia spinto il mio amico a perdonarmi, se solo il suo buon cuore o forse il fatto che il sangue (perché i nostri amici più cari diventano ad honorem membri della famiglia, almeno per me) sono più densi dell’acqua.
E la cosa più bella, è che siamo amici tutt’oggi.
A conclusione di questo articolo sulla misericordia, voglio solo augurarvi, quando magari vi capiterà di trovarvi in una storia come questa, di essere nella parte del mio amico.
Tricheco birbante