Route Nazionale: Una grave dimenticanza


Esattamente due anni fa, sulle pagine di questa ormai storica rivista di Gruppo, iniziai la pubblicazione di un ciclo di articoli che faceva seguito al più importante evento associativo degli ultimi trent’anni: la Route Nazionale di San Rossore. Ero convinto – e lo sono tuttora – che un avvenimento di tale portata richiedesse un lungo tempo di digestione: paragonato, infatti, alla solita minestra dei periodici eventi di formazione previsti dall’AGESCI, questo costituiva senza dubbio un cenone di Natale (di quelli che ti stendono). Non si poteva comprimere una ricchezza tale di esperienze, novità, relazioni ed emozioni in uno striminzito momento di esaltazione; quasi che il senso del motto “Strade di coraggio. Diritti al futuro!” potesse sintetizzarsi in un “volemose bene, semo tutti scout”. Tentai, allora, un percorso di approfondimento commentando nei sei numeri di Tuttoscout dell’anno 2014/2015 altrettanti momenti vissuti in route che per me risultarono particolarmente significativi. E cosa affrontammo insieme diversi temi: l’incontro con l’altro, con la popolazione e le storie attraverso cui ci trovavamo a camminare di tappa in tappa; la semplicità del vivere scout; l’imprescindibile figura dell’A.E. che ci ricorda l’esigenza di tenere fisso lo sguardo su Cristo, in ogni circostanza; luci ed ombre della Carta del Coraggio (a proposito, verrebbe da chiedersi, a distanza di due anni: che ne è stato di tutti quei “ci impegniamo” e “chiediamo”? Sono stati spunti propulsivi per l’attività  dell’Associazione? Hanno stimolato i capitoli dei Clan/Fuoco?); la telefonata di Papa Francesco e l’invito del card. Bagnasco ad essere cristiani liberi; la spiritualità  della strada e della continua ri-Partenza. Ecco, non molto tempo fa, in un momento di sana nostalgia della strada (quella da farsi con gli scarponi ai piedi e lo zaino sulle spalle) nella mia mente si è illuminata una scena che, chissà  per quale motivo, era rimasta nascosta tra le pieghe dei ricordi e inaspettatamente ne è venuta fuori facendomi notare una grave dimenticanza della quale mi ero reso colpevole terminando il ciclo di articoli sulla RN2014 nel giugno del 2015. Dal paese di Riva Valdobbia in Valsesia ci eravamo incamminati di buon mattino verso l’Alpe Larecchio (1900m), dove avremmo trascorso la notte quel giorno. Per tutta la mattina il tempo ci fu avverso: pioggia, vento e freddo accompagnavano i nostri passi, sempre più insicuri su rocce scivolose e sentieri infangati. Verso l’ora di pranzo il cielo ci concesse una tregua e le nuvole si diradarono, ci fermammo a mangiare presso un piccolo agglomerato di case: eravamo bagnati e stanchi, il tempo per cucinare qualcosa di caldo non c’era e allora facemmo finta di accontentarci di qualche scatoletta di tonno e di altre pietanze di analoga prelibatezza. Poi, quasi giunto il tempo di ripartire, una visione: un pentolone fumante di tè caldo si muoveva verso di noi, portato da mani gentili di donna. Una mamma, con la figlia poco più che adolescente, ci invitò a tirare fuori i nostri bicchieri e ci serviva come se fossimo stati tutti suoi figli. Sul momento sentii solo un senso di profonda gratitudine: finalmente qualcosa di caldo, dopo tutto quel gelo! Solo ripensandoci oggi, a distanza di tempo, quasi mi commuovo al pensiero di quell’angelo che si era disturbato per noi. E mi accorgo di quanto sia forte e bella la carità  semplice di chi ti viene in aiuto nel momento del bisogno. Un gesto d’amore materno ricordò a tutti che la promessa di aiutare gli altri in ogni circostanza fatta in chissà  quale sperduto campo scout del passato, non è una formula vuota e scontata, essa è l’espressione di uno stile che deve caratterizzare il nostro cuore e le nostre mani, senza se e senza ma, dovunque e comunque.

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