IMPATTO. Se rifletto sul primo collegamento mentale che questa parola mi evoca, mi viene da pensare ad un incidente. Ma credo che questo sia il modo peggiore per intendere la capacità dello scautismo di lasciare un segno nel mondo. Un incidente, qualcosa di brutto generato da uno scontro. Questo è il risultato che otteniamo quando pretendiamo di mostrarci i migliori di tutti, quando crediamo che le cose così siamo bravi solo noi a farle, che se non vivi l’avventura da scout non la vivi proprio, che puoi sperimentare una fede vera solo se ti lasci interrogare dalle tracce di Dio nella natura, altrimenti sei un bigotto. Generiamo uno scontro che separa, che incattivisce, che chiama ciascuno a far prevalere le proprie ragioni con troppa determinazione, proprio come fanno i due guidatori delle macchine coinvolte nel sinistro. Invece credo che noi abbiamo ben altra responsabilità, che è quella di “spingere contro”. Sono andato a riesumare il vecchio dizionario di latino, e questo è il significato più profondo della parola IMPATTO. Se ti spingo contro a qualcosa, in qualche modo tu ne rimani segnato. Se ti spingo contro una superficie fredda, ti trasmette la sua temperatura. Se spingo un sigillo contro la ceralacca, ne lascerà impressa la sua forma. Allora sì, noi scout siamo chiamati a spingere gli altri contro una sorgente incandescente di bene, un sogno meraviglioso che deve necessariamente lasciare il segno. Io penso che siamo chiamati, in fine dei conti, a spingere gli altri verso Dio. Non credo che se ne avrà a male, anche se saremo poco delicati. Una volta che noi avremo generato questo IMPATTO, poi sarà lui a decidere di lasciare il suo segno. Un segno buono, che non separa i migliori dai peggiori, ma chiama tutti a riunirsi sotto lo stesso Amore. Castorini, lupetti, esploratori e guide, novizi, rover e scolte, capi, AE ognuno nel suo piccolo fallisce la propria missione se alla fine di tutti i propri sforzi, dopo aver costruito la diga, cacciato nella giungla, tracciato il sentiero, fatto strada servendo, educato nella testimonianza, trasmesso la fede non riusciamo a dire di aver “spinto contro Dio” ognuno dei nostri compagni di cammino, aver permesso che ad ognuno di loro rimanesse impresso il Suo segno. E tra tutti i segni che Dio ci ha trasmesso, penso che quello della cenere, che nella domenica all’inizio della quaresima riceviamo sulle nostre teste, sia il più eloquente. Quella cenere, generata dal rogo degli ulivi portati in processione nella domenica delle Palme precedente, dice bene su cosa dobbiamo contare: non certo sul successo nel mondo, sulla gloria dei palcoscenici, sui like dei social network. Cos’è rimasto degli ulivi e delle palme che venivano mosse per rendere omaggio al Salvatore? Un pugno di cenere. E non diciamoci che fine ha fatto quel Salvatore, prima osannato, poi appeso al legno. Ma quel che conta, quello che importa davvero, è ciò che si dice mettendo la polvere sulle nostre teste: “Convertiti e credi al Vangelo”. Ecco quello che importa sul serio, il segno indelebile del nostro “appartenere a Dio”: la conversione continua, la sensazione di non essere mai arrivati, di poterci mettere sempre in discussione; e il Vangelo, quel testo infuocato che ha resistito al trascorrere dei millenni senza mai diminuire la propria intensità. Se riusciremo a trasmettere questo, a spingere contro questa logica, a determinare questo IMPATTO, allora quella “C” prenderà di nuovo tutta la sua consistenza. Buona Quaresima, buon IMPATTO con un amore sprecato che ci permette di risorgere.
don Claudio