“Nel corso della mia vita mi sono dedicato alla lotta del popolo africano. Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro la dominazione nera. Ho amato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone potranno vivere insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di vivere. Ma, mio signore, se necessario, è un ideale per cui sono disposto a morire”. Queste sono le parole pronunciate dal premio Nobel per la pace Nelson Mandela davanti alla Corte Suprema di Pretoria, nell’aprile 1964.
Mandela aveva 30 anni quando l’apartheid divenne Legge dello stato in Sudafrica. Era il 1948 e l’odiosa segregazione razziale, ispirata all’ideologia nazista, avrebbe segnato quasi tutta la sua vita. Mandela non ci sta e inizia un’attività di protesta per il pieno riconoscimento dei diritti civili degli appartenenti ai gruppi etnici non bianchi, diventando uno dei leader del movimento anti-apartheid. Per un curioso gioco del destino, il nome scelto per lui alla nascita dalla sua tribù è “Rolihlahla”, ossia “colui che crea problemi”. Mandela crea problemi e nel 1962 viene arrestato con l’accusa di sabotaggio e alto tradimento.
Ritenuto colpevole e condannato all’ergastolo, viene rinchiuso come prigioniero politico per 27 anni nel durissimo carcere dell’isola-prigione di Robben Island: un’isoletta davanti a Cape Town.
Tutti abbiamo sentito parlare di lui almeno una volta: liberato nel 1990 sotto la spinta di un movimento di opinione internazionale, da quella condanna che doveva essere per la vita, con le prime elezioni a suffragio universale del paese, nel 1994, Mandela primo presidente liberamente eletto del Sudafrica è il primo non bianco a ricoprire tale carica.
Nel 1995, agevolò la nascita di una Commissione per la verità e la riconciliazione che lavorò con l’obiettivo di raccontare tutto quello che era successo negli anni dell’apartheid. Fu un capolavoro politico che ha permesso al Sudafrica di lasciarsi alle spalle il suo ingombrante passato e di diventare uno dei paesi più civili e progrediti del continente africano. A chi gli chiedeva il perché della sua politica conciliante, Mandela era solito rispondere:
«Se vuoi fare pace col tuo nemico, devi lavorare col tuo nemico. Solo così diventerà tuo partner».
Quello che molti non sanno, però, è che anche Mandela ha portato il fazzolettone!
Nel 1977 l’associazione scout del Sudafrica iniziò ad accogliere nei vari gruppi sparsi per il paese giovani “di razza negra”, in contrapposizione all’Apartheid. Nel 1994, quando Mandela venne eletto presidente, accettò il ruolo di patrono dell’associazione e riconobbe il lavoro nella lotta contro la segregazione razziale.
Il 23 aprile 2004, ricevette il titolo di “Elefante Africano”: il massimo riconoscimento tra gli scout africani.
Una vita spesa al servizio di un ideale di comunità inclusiva, equa e democratica, che lascia una traccia di coraggio.
Significative sono le parole della celebre poesia di William Ernest Henley, che nei duri anni del carcere gli hanno dato la forza per non arrendersi. Si intitola Invictus (in latino “il mai sconfitto”) e nell’ultima quartina recita:
Non importa quanto stretto sia il passaggio, Quanto piena di castighi la vita, Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima.
Erica