Il Lonfo

Il Lonfo non vaterca né gluisce e molto raramente barigatta, ma quando soffia il bego a bisce bisce sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.
È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna arrafferia malversa e sofolenta! Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto che bete e zugghia e fonca nei trombazzi fa lègica busìa, fa gisbuto; e quasi quasi in segno di sberdazzi gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.
In questo 2018, c’è un anniversario particolarmente divertente: è il quarantesimo compleanno del Lonfo Il simpatico animaletto uscito dalla penna di Fosco Maraini nel 1978. La poesia Il Lonfo, forse l’esempio più noto e illustre di metasemantica mai scritto.
La metasemantica… meta che?
Questa tecnica letteraria è stata interamente inventata proprio da Maraini e consiste nell’utilizzo di parole prive di significato, ma dal suono familiare alla lingua cui il testo appartiene. Sono, quindi, termini privi di referente linguistico, ma comprensibili perché costrette a seguire le stesse regole grammaticali della lingua del contesto generale.
Il significato può essere desunto da tali regole, ma anche dal suono delle parole. In questo modo parole astruse assumono forme, colori, suoni… ci sono stati esperimenti che hanno osato ben oltre. Pensiamo all’esperanto o al quenya (la lingua degli elfi inventata da Tolkien in Il signore degli anelli). O al caso del grammelot – diffuso da Dario Fo – che confonde l’uditore facendogli credere di trovarsi davanti a una lingua conosciuta che gli risulta, invece, incomprensibile.
Chi è Fosco Maraini?
Fosco Maraini è stato innanzitutto un poeta, geniale, e padre di Dacia Maraini, anche lei insigne scrittrice. Ma fu anche uno scultore, un etnologo specializzato nelle civiltà orientali, un intellettuale… Irresistibilmente attratto dall’Oriente, s’imbarcò nel 1934 sulla Amerigo Vespucci diretta in Africa del nord e Anatolia come insegnante d’inglese. Nel 1937 partecipò a una spedizione in Tibet che ripeté anche undici anni più tardi. Conosciute, infatti, sono le sue fotografie delle catene montuose del Kakarakorum e dell’Hindu Kush, finché non si trasferì stabilmente in Giappone dove fu ricercatore all’università di Kyoto e di Sapporo e dove nacquero le altre due sue figlie.
E siamo dunque arrivati alla resa dei conti con il Lonfo, le cui sembianze ci saranno eternamente sconosciute. Per la riuscita della poesia stessa non basta solo la lingua, ma servono il cuore e il cervello e l’interpretazione dello stesso che deve essere “di pancia” per far provare emozioni.
Ed eccoci: Il Lonfo non abbaia né ruggisce e molto raramente emette un barrito, ma quando soffia il vento, raffica dopo raffica sbarella un po’ e quatto quatto si rannicchia.
È furbo il Lonfo! È pieno di scaltrezza perspicacia mal rivolta e sorniona! Se indugi ti scruta e si appropinqua se lo tocchi ti morde e ti aggredisce.
Eppure il vecchio Lonfo ottenebrato che beve e grufola e (censura) vagheggia intorno, fa lo gnorri; e quasi quasi in segno di sberleffi gli molleresti un pugno. Ma lui, zitto ti fa gli occhioni, ti fa le fusa; e tu l’accarezzi.
Emozioni… e se tutti insieme immaginassimo il Lonfo del Busto 3?
-t. r.