Una grammatica delle relazioni umane secondo Gen 2
Le diversità spaventano perché destabilizzano la nostra comprensione del mondo. Il diverso eccede gli schemi nei quali abbiamo catalogato tutte le nostre esperienze e ci costringe a rimettere profondamente in discussione il nostro modo di approcciare la vita. Il diverso, in fondo, all’inizio è sempre una minaccia, perché, per il semplice fatto di esistere di fronte a noi, mette in crisi quello che siamo, quello che pensiamo, quello che crediamo. È comprensibile, allora, che di fronte alle molteplici diversità di questo mondo globalizzato le due principali risposte siano, da un lato, il rifiuto di qualsiasi diversità in nome dell’affermazione della propria identità e, dall’altro lato, l’omologazione delle diversità in nome di un’uguaglianza teorica. In entrambi i casi, però, l’operazione è la medesima: l’eliminazione delle diversità. Sia chi dice: “Noi abbiamo la nostra identità, quindi i diversi devono stare a casa loro”; sia chi dice: “Siamo tutti uguali, le differenze sono solo delle convenzioni”; stanno eliminando entrambi le diversità perché in realtà ne hanno paura e non sanno come approcciarle.
Come stare di fronte alle diversità? Come includerle nella nostra vita non come minaccia, bensì come opportunità? Siamo tutti uguali o siamo tutti diversi?
Il libro della Genesi, al capitolo 2, illumina la questione e ci aiuta a dare una risposta non solo teorica, ma esistenziale, una risposta che corrisponda alla verità della nostra umanità. In un certo senso Genesi delinea una grammatica essenziale delle relazioni umane che articola uguaglianza e differenza.
L’uguaglianza
La prima regola è questa: tutti gli uomini sono creati uguali di fronte a Dio.
Il Signore Dio plasma l’uomo dalla polvere del suolo alitando in lui uno spirito di vita, lo colloca nel giardino di Eden e pone al suo fianco ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo, perché possa trovare in loro un aiuto che gli corrisponda. Tuttavia questo non basta. Adamo non trova nessun essere vivente che gli sia simile e questo lo fa sentire solo. «Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta”».
(Gen 2, 21-23)
Solo la donna, tra tutti gli altri esseri viventi, corrisponde all’uomo perché sostanzialmente è uguale a lui. La costola da cui è tratta Eva rappresenta la vita e dice e che la donna condivide con l’uomo la “materia prima” dell’esistenza stessa: è “ossa delle sue ossa, carne della sua carne”. L’uomo non può considerarsi completo senza la donna e la donna non può considerarsi completa prima di ricongiungersi al fianco dell’uomo. Essi sono stati creati da Dio e di fronte al loro creatore sono sostanzialmente uguali. Insomma, per la Bibbia tutti gli Adamo e tutte le Eva di sempre sono uguali di fronte al Signore Dio, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere innanzitutto uno che è stato creato umano come me. Questa è la prima regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Nella differenza
La seconda regola dice così: l’uguaglianza di tutti gli uomini può ospitare le differenze tra di loro.
In Gen 1, 27 leggiamo: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Quando Dio crea l’uomo, li crea maschio e femmina; sono due e diversi, ma sostanzialmente sono uguali, condividono la medesima umanità di fronte a Dio e la medesima condizione di creaturalità. Proprio sulla base di questa uguaglianza Dio crea la diversità fondamentale, quella del maschile e del femminile, per la quale Adamo è per Eva l’assolutamente altro e viceversa. A partire da questa diversità originaria, l’umanità ha potuto ospitare nel tempo una miriade di altre diversità, come il colore della pelle, le tradizioni culturali, le espressioni artistiche di qualsiasi tipologia e genere, tutte rese possibili dall’uguaglianza di fondo degli uomini rispetto al loro unico Creatore. Le diversità non contraddicono l’uguaglianza originaria tra tutti gli uomini, ma ne sono in un certo senso l’espressione piena. «Dio creò l’uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò»: Dio ci crea tutti uguali, perciò capaci di ospitare una miriade di diversità che insieme ricompongono il volto unico dell’umanità e – insieme – tratteggiano la pienezza del volto di Colui che l’ha creata. Insomma, per la Bibbia l’uguaglianza di tutti gli Adamo e di tutte le Eva di sempre è arricchita da una miriade di diversità al suo interno, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere che ciò che lo rende diverso da me in realtà non lo distanzia da me, ma lo rende ancora di più come me, diverso come me. Questa è la seconda regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Per la comunione
La terza regola, infine, afferma: le differenze tra gli uomini rese possibili dalla loro uguaglianza sostanziale sono finalizzate alla comunione.
Così continua il brano di Gen 2: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gen 2, 24). Adamo ed Eva, ontologicamente uguali di fronte a Dio, dopo aver riconosciuto e valorizzato le diversità reciproche, ne fanno il punto di incontro e la possibilità di comunione tra di loro. Uomo e donna si uniscono e diventano una carne sola proprio perché sono diversi. La comunione, che costituisce il culmine della creazione, è resa possibile dalle diversità. Esse, per la Bibbia, non sono innanzitutto un terreno di scontro e di divisione, ma di incontro e di comunione. La diversità diventa feconda e genera nuova vita, in qualche modo permette di portare avanti la Creazione e di compiere il disegno di Dio. Insomma, per la Bibbia le diversità tra tutti gli Adamo e tutte le Eva di sempre sono solo un’occasione di comunione, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere che ciò che lo rende diverso da me è in realtà il terreno su cui possiamo incontrarlo e l’occasione di generare qualcosa di molto promettente per entrambi e per l’umanità intera. Questa è la terza regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Se queste sono le regole fondamentali della grammatica umana secondo la Bibbia, sta a ciascuno di noi usarle per comporre la poesia di una vita concreta che, nell’incontro con uomini e donne diversi da noi per mille motivi, sia una vita pienamente umana. Uguali nella differenza per la comunione: sono regole semplici, ma costituiscono il minimo sindacabile per funzionare bene come persone. Per meno di questo non possiamo dire di vivere una vita che sia all’altezza della nostra altissima dignità.
Don Alberto