Tre parole molto belle, parole importantissime, forse quasi scontate e banalizzate in molte situazioni, però in ogni caso hanno un certo valore, su cui io vorrei soffermarmi.
Come noviziato abbiamo svolto alcune attività in servizio per aiutare chi ne aveva bisogno, e questi momenti di umanità che abbiamo vissuto insieme sono stati bellissimi, e molti ricompensati con sorrisi e gesti amorevoli. Avete mai dato una coperta, del cibo, indumenti o anche solo condiviso un momento guardando negli occhi una persona che vive in una realtà diversa dalla vostra? Avete mai pensato a quanto siete fortunati, nonostante a volte non pensiate di esserlo? Avete mai riflettuto sul fatto di avere ogni giorno un pasto caldo, un letto in cui dormire, od il costante affetto di qualcuno? Sapete, purtroppo ci sono persone che queste cose, così ovvie per altri, non le hanno sempre, ma spesso sono proprio alcune associazioni a condividere amore e fare piccoli gesti, ma utili, per i bisognosi. La loro ricompensa? Dei sorrisi, dei ringraziamenti, delle parole sincere arrivate dal cuore, non superficiali. Quando siamo andati a Milano, alla mensa dei poveri, alla messa un signore è venuto ed ha scambiato con ognuno di noi il segno della pace dicendoci testuali parole: “Grazie perché ieri mi avete dato da mangiare”. Sapete, quelle parole mi hanno quasi strappato le lacrime, mi hanno rallegrata, ed ho riflettuto molto. Bisognerebbe imparare ad accontentarsi di ciò che si ha, e a non voler sempre di più, di più e di più ancora, perché così non si riuscirà mai ad apprezzare completamente la vita. Guardate a quel signore, senza una casa o un lavoro, solo e senza nessuno, si ritiene fortunato di avere quel poco che ha, e di poter contare su alcune associazioni che lo aiutano quando possibile.
Vorrei soffermarmi un po’ su ognuna delle tre parole dette prima, in modo da conoscerle e capirle meglio.
Diversità. Bisognerebbe capire il valore di ogni momento, e anche delle persone che lo rendono bello, perché ognuno ha un qualcosa di speciale, che nessuno ha, ognuno è diverso dagli altri, e per questo ognuno è unico nel suo modo di essere. Purtroppo però queste differenze vengono fatte pesare su certi individui, e sappiate che non è bello sentirsi diversi dalla massa, credere di non essere abbastanza o, peggio, di non poterlo diventare. Ognuno ha il compito di stare con il prossimo, di amarlo e capirlo, e se si vede che qualcuno non si comporta bene con lui, bisogna sempre far notare il proprio errore e, se ancora non si capisce e si ripete lo sbaglio, però apposta, bisogna rivolgersi sempre a qualcuno, restare in silenzio potrebbe essere la scelta peggiore per tutti.
Equità. Qua secondo me bisognerebbe prima capire la differenza tra questa parola e “uguaglianza”. Possono sembrare la stessa cosa, però mentre la seconda si riferisce a dare a tutti gli stessi diritti e doveri, quindi a fornire gli stessi mezzi a tutti, l’altro mira ad offrire le stesse opportunità, quindi a dare un possibile punto d’arrivo a tutti, aiutando chi ne ha bisogno, ma senza dare uno slancio in più a chi è già abbastanza agevolato. Questo concetto è abbastanza difficile da spiegare, però anche semplice da capire con l’utilizzo di un’immagine che mira a sintetizzare le spiegazioni in due semplicissime vignette. Parlando quindi di equità, ci sono da dire un paio di cosette, partendo dal presupposto che non sempre questo diritto (che è tale in quanto scritto anche nella Costituzione!) è applicato, c’è infatti qualcuno che ha meno possibilità perché c’è gente che, come dicevo prima, fa pesare le differenze altrui.
Inclusione. Questa parola è molto bella, secondo me, ha un significato davvero importante, e meriterebbe di essere scritta a caratteri cubitali in qualsiasi posto, perché spesso e purtroppo questa parola viene sottovalutata o, peggio ancora, dimenticata. Quando parliamo di inclusione, spesso pensiamo agli immigrati, o a persone nuove in un contesto, però questa parola può essere applicata anche in contesti più vicini a noi, perché non è un concetto tanto lontano, anzi dovrebbe esserci in noi sempre, come un pensiero fisso, dentro la nostra mente o nel cuore, una parola tanto semplice, però complessa. Certo, se arriva qualcuno da un paese straniero bisogna stargli vicino e trattarlo come merita, quindi normalmente, cosa che pur sembrando scontata per alcuni, per altri non lo è. Se abbiamo un nuovo compagno di classe, uno dei primi pensieri dovrebbe essere “Voglio andare da lui e conoscerlo, voglio essere suo amico.” E la stessa cosa vale se arriva un nuovo fratellino o una nuova sorellina, bisogna sempre essere disposti ad accogliere ed includere nel gruppo i nuovi arrivati, e non solo! Provate a pensare di andare con il vostro gruppo a fare una gita, vi state divertendo tantissimo, ma vedete un ragazzino che se ne sta sulle sue, non vi viene voglia di andare da lui? Ecco, quello è un episodio di inclusione, ed è gratificante da ambedue le parti, perché se voi state meglio dopo essere andati dal vostro amico, lui a sua volta sarà felice perché non è più solo.
Spero questo articolo vi sia stato d’aiuto e che vi sia piaciuto almeno quanto ha fatto piacere a me scriverlo! Con affetto,
Canarino Stravagante
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BLOG DE PAPEL- Episodio III: La chat
Per questo episodio di “Blog de Papel” lascerò la parola ai ragazzi dell’oratorio San Filippo di Sacconago che mi hanno molto impressionato con un momento di riflessione prima della veglia di Natale: su uno schermo compare una chat, non si capisce bene, ma poi iniziano le parole vere che riempiono la navata…
Quando mi hanno aggiunto a questo gruppo su Whatsapp ho pensato: “No, un nuovo gruppo! Non ce la posso fare!”, e allora l’ho subito silenziato in modo da non ricevere continue notifiche. Infatti si è dimostrato essere il solito gruppo in cui ci si mandano sempre gli stessi messaggi. Tutte le mattine Marco ci manda il buongiorno e questo, secondo lui, è il modo attraverso cui riesce a mantenere un legame con ciascuno di noi. E ovviamente, solo per cortesia, tutti gli rispondono, compreso Andrea, il più attivo della chat, quello che risponde ai messaggi tempo zero, a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma quando si propone di vedersi non c’è mai, troppo impegnato! Il copione si ripete tutti i mesi, quando Michela propone di incontrarsi ed ovviamente Stefania è sempre quella che esulta di gioia, non vede l’ora di vederci, ma alla fine, anche se non si riesce a combinare nulla le va bene lo stesso. Perché finisce sempre cosi: Marta propone gli unici orari liberi che ha nell’arco della settimana, Daniele dice di essere a dieta da tre anni e quindi se si propone aperitivo lui non c’è a priori, Claudio non può mai e Stefano, sempre il primo a sostenere la proposta di Michela, alla fine scompare dal gruppo e non risponde più.
Ma che senso ha questa chat?
Ma che senso ha questa chat?
Nessuno, nessun senso! Per questo sono uscita dal gruppo! Certo, sarò passata per l’antipatica di turno, ma uscire è la cosa più bella che possiamo fare!
Ce lo diciamo dall’inizio dell’anno pastorale, dobbiamo essere chiesa in uscita… e poi cosa facciamo? Restiamo intrappolati in queste chat… non facciamo lo sforzo di uscire neanche per incontrare i nostri amici, figuriamoci se facciamo lo sforzo di andare ad incontrare gli ultimi.
Siamo diventati pigri! Ci accontentiamo dell’illusione che ci dà la tecnologia: crediamo di essere vicini e di avere relazioni perfette perché con un telefono ci si può sentire in qualsiasi momento, siamo sempre disponibili e reperibili… ma la verità è che siamo lontani, siamo soli perché non ci guardiamo più faccia a faccia! Il nostro arcivescovo nella “lettera per il tempo di Avvento” ci ha scritto che “l’amore gioisce per la speranza dell’incontro, trova compimento nella comunione. L’anima della vita cristiana è l’amore per Gesù: il Desiderio dell’incontro” con lui.
Come possiamo incontrare il volto di Dio se non riusciamo a vedere nemmeno il volto dei nostri cari? Pensate ai Magi che si mettono in cammino e intraprendono un lungo viaggio pur di incontrare quel bambino nella mangiatoia. Noi abbiamo perso il desiderio dell’incontro con l’altro, il desiderio dell’attesa, il contare le ore prima di potersi rivedere… abbiamo dimenticato quanto è bello stare in compagnia delle persone che amiamo, abbiamo dimenticato la potenza di uno sguardo.
Ma non è forse questo il senso del Natale? L’incontro con l’altro, l’incontro con Dio, che si fa uomo. Dobbiamo predisporre i nostri cuori per saper cogliere il mistero del Natale.
Nel mistero dell’Incarnazione possiamo scoprire la Grazia di Dio che ci raggiunge, il Verbo che si fa carne e si mette in cammino con gli uomini.
Ora tocca a noi, dobbiamo alzarci, uscire dalle nostre case, dalle nostre chiese, dalle nostre comodità.
Siamo chiamati a camminare per il mondo e incontrare gli altri con lo stile di Gesù. Siamo chiamati a riconoscere nel volto degli altri, il volto di Gesù! Siamo chiamati ad essere scintille capaci di generare scintille. Siamo chiamati ad essere missionari nel nostro quotidiano.
È giunto il momento di accantonare le nostre pigrizie e di riscoprire il senso del natale. Oggi incontriamo ancora una volta il Signore Gesù!
Notizie dal Passato
Generzione X- Din-Don: “Avete udito la buona novella”
Buongiorno a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di generazione X.
Le giornate ormai si fanno sempre più brevi, buie e freddolose, il peso dell’anno e di tutto quello che in esso è accaduto inizia a farsi sentire e, per via del clima sopra descritto, le uniche distrazioni per affrontare l’inevitabile malinconia consistono nel distrarsi a casa, oppure certo uscire, ma dirigersi il prima possibile verso un nuovo luogo caldo ed asciutto. Nel tragitto, poi, sarà facile imbattersi in qualche vetrina ed ecco allora che veniamo assaliti dal pensiero dei regali natalizi: Abbiamo iniziato abbastanza presto gli acquisti? Riusciremo a trovare tutto? Cosa comprare a QUELLA persona?
In un clima del genere non è difficile trovare una “buona novella”, che possa risollevarci il morale. Ci si potrebbe affidare al concetto classico e cristiano di “buona novella” che, spero non risulti una novità per nessuno, coincide con la nascita di Gesù Cristo. Ma anche questa realizzazione riesce a consolare poco lo spirito, e funziona bene solo durante la giornata del 25 Dicembre (del resto un compleanno si festeggia nel giorno del compleanno, non prima dopo, no?).
Tutti i 12 lettori e ½ abituali di questa rubrica sapranno come a me piaccia molto osservare il periodo natalizio anche attraverso le sue lenti antiche, precisamente attraverso il fatto che la festa originale di cui il cristianesimo si è appropriato si trovava verso la fine di dicembre perché, nell’antichità, già sopravvivere a metà di quel gelido periodo che andava da Novembre a Febbraio era un traguardo che meritava di essere festeggiato. Una festa che insomma non nasceva dal desiderio di lodare una divinità (anche se molte culture lo facevano… e lo fanno ancora, ops!) o di festeggiare qualche raccolto, ma era semplicemente un’occasione per ritrovarsi attorno ad un fuoco nelle tenebre di Dicembre e stare allegramente in compagnia, consapevoli che sia prima che dopo sarebbero stati tempi duri. Una tradizione che in realtà è continuata fino al ’700, fra ubriachissimi monaci amanuensi e giovanotti del New England pronti a sfondarti una finestra a sassate se non ricompensati con dei dolci (per chi se lo stesse chiedendo, sì, originariamente “dolcetto scherzetto” era una tradizione natalizia).
Oggi la situazione in realtà non appare tanto diversa. Per essere un mese di preparazione ad un evento che viene giustamente visto come un’occasione profondamente gioiosa, ci sono infinite motivazioni per arrivare stressati al Natale. Proprio per questo, anziché aspettare una “lieta novella” che potrebbe non arrivare mai, prendiamo spunto da quelle antiche tradizioni ancestrali e cerchiamo di essere noi quella buona novella. Facciamo in modo di essere una persona che porta allegria, o quantomeno un po’ di umano calore a tutti quelli che incontriamo, senza nessun’altro motivo sottostante che non sia il fatto che essere umani ed essere arrivati fino a questo punto della nostra vita, qualunque esso sia, è un evento che merita di essere festeggiato.
Filippo Mairani
CINEMA E SCAUTISMO- Aquile randagie: una recensione
Al cinema sono immerso in uno stato di riposo e di mezzo sonno, con un racconto messo in immagini davanti ai miei occhi e, se il racconto, come troppo spesso accade, non vale niente, mi addormento tranquillamente- questo scriveva Baden-Powell nel 1922 in “La strada verso il successo”. Il rapporto, fra cinema e scoutismo, da “Up” alla scena iniziale de “Indiana Jones e l’ultima crociata” è sempre stata abbastanza tumultuosa, fra generici richiami ad una gioventù avventurosa e competente alle inevitabili parodie dove aiutano le vecchiette ad attraversare la strada. Ma recentemente un film ha provato a raccontare una storia di vero scoutismo, partendo da fatti realmente avvenuti nel corso di uno dei momenti più bui del nostro Paese: il ventennio fascista.
Lo scorso 30 settembre è infatti uscito nelle sale del paese “Aquile Randagie”, opera prima del regista Gianni Aureli, di cui sicuramente bisogna rispettare la scelta di voler raccontare al grande pubblico la storia di questi scout antifascisti, i cui atti di coraggio sono da tempo parte della “mitologia” di tutti i gruppi scout del nord Italia e non solo, ma la cui presenza purtroppo è nulla nella coscienza generale.
Ma il suo progetto è riuscito a risultare accattivante per il pubblico generalista e coerente con gli ideali e le aspettative di coloro che, già scout, sono cresciuti con quelle storie?
I fatti storici
Nel film Aquile Randagie, come tutti i film che hanno anche uno scopo di intrattenimento e non solo documentaristico, la trama è stata adattare per cercare di trasmettere certi messaggi e dei concetti che stavano a cuore a chi l’ha realizzato. Come ogni creazione anche questo film ha “l’impronta” dei suoi autori che inevitabilmente hanno fatto emergere dei punti di vista piuttosto che altri. Tralasciamo i veri e propri artifici più o meno necessari, come Barbareschi che fugge tra le raffiche di mitra dei nazisti (cosa mai successa) o la figura della partigiana che, giustamente, da un po’ di spazio anche alla parte femminile di una storia che sembra fatta solo di maschi.
Parlando in generale dell’impostazione storica del film quello che sembra emergere è un quasi esclusivo riferimento alla testimonianza di don Giovanni Barbareschi, che ci ha lasciato l’anno scorso. Barbareschi fu un’aquila randagia ma vide solo una parte della storia perché fu poi impegnato in seminario, con la FUCI e in altre realtà; non da ultima quella del giornale “Il Ribelle” che giustamente il film menziona. Anche la creazione dell’OSCAR, l’Opera Scout Cattolica Aiuto Ricercati, nel film sembra partire da Barbareschi stesso mentre è documentato che i primi ideatori furono don Andrea “Baden” Ghetti e don Enrico Bigatti che iniziarono con i salvataggi di ricercati dopo l’8 settembre 1943.
Il vero peccato di questo film, che non ha a che vedere con il budget ridotto o l’apertura al pubblico anche non scout, è che viene data una grande rilevanza all’OSCAR (periodo dal 1943 al 1945) ma si passa via velocemente su quello che accadde tra lo scioglimento dell’ASCI nel 1928 e le prime attività in Val Codera. Dal film sembra che Kelly e i suoi, dopo le leggi fascistissime siano passati dalle riunioni nei sotterranei delle chiese al “nascondiglio” della Val Codera. In realtà le Aquile Randagie iniziarono ad usare la Val Codera per i loro campi solo dal 1940! Per i 12 anni precedenti continuarono a fare le loro uscite ogni fine settimana nei dintorni di Milano, sotto il naso dei fascisti. Questo è il merito delle Aquile. Baden disse “Ci piaceva giocare a guardie e ladri coi fascisti”. Questo spiega la scena in cui gli scout in perfetta uniforme salgono sul palco delle autorità durante la parata (nascondendo il saluto scout nel braccio teso per quello romano). Nella seconda parte del film si vedono i membri di OSCAR comunicare e nascondersi utilizzando tecniche scout, ma questo è quello che facevano i ragazzi in età di reparto durante tutto il periodo della giungla silente.
La narrativa
Sicuramente quello che più colpisce del film è la sua impostazione di tipo corale: piuttosto che focalizzarsi su un solo personaggio, Aquile Randagie cerca di rimanere il più fedele possibile al suo titolo presentando un gruppo di personaggi che, nel corso della pellicola, saranno protagonisti di diverse vignette consecutive, occasionalmente intervallate da alcuni momenti comuni, come la beffa ai nazisti durante la parata romana o le attività in Val Codera. Una scelta che è lodabile nell’intento (mostrare la varietà ed il numero del gruppo scout) ma un po’ zoppicante nell’esecuzione. Benché la trama non sia difficile da seguire, a volte mi sono trovato a chiedermi quanto tempo fosse effettivamente passato tra una scena e l’altra, o esattamente in quale luogo fosse ambientata la scena. Una soluzione al problema sarebbe potuta essere l’utilizzare la cornice durante la quale Baden scorta un nazista verso dei soldati alleati come punto di sbocco per le varie scenette, che sarebbero state nel contesto lunghi flashback, oppure seguire, per tutta la durata del film quel giovanissimo che ha pronunciato la promessa nel momento in cui il fascismo dichiarava illegale ogni associazione non affiliata al partito, scout compresi. Considerando che il film vuole chairamente essere goduto dal grande pubblico, perché non usare come principale finestra su questo mondo fatto di escursioni in montagna, resistenza al fascismo e pantaloni corti anche d’inverno qualcuno che, come il pubblico, sa relativamente poco delle Aquile Randagie?
Conclusione
Per essere un primo tentativo di un regista esordiente, ed essere un film che parla di resistenza alla dittatura, la pellicola manca paradossalmente di coraggio. La storia che racconta è godibile e non si segue con grande difficoltà, ma manca di riferimenti davvero profondi alle Aquile Randagie per accontentare chi già conosce le loro imprese, ed è un po’ troppo lento e disconnesso per accattivare davvero il grande pubblico. Rimane comunque un valido punto d’inizio per farsi un’infarinatura su chi fossero le Aquile Randagie e quale sia stato il loro ruolo di opposizione al fascismo. Rimane anche un buon punto d’inizio per lanciare progetti più ambiziosi inerenti allo scoutismo, e nonostante tutto quanto si è scritto la presenza di una pellicola simile, in un periodo dove gli estremismi stanno tornando più subdoli che mai rincuora e fa sperare che, anche stavolta, si sopravviverà un giorno in più rispetto al fascismo.
scritto a quattro mani da Phil & Guss.
La buona novella
La buona novella è che mi farete fare una bellissime attività di Natale e che mi divertirò in famigia!
Camilla
Colonia GRANDE ALCE
Non vedo l’ora
A me il Natale piace tanto per tutte le luci colorate che si vedono per le strade e nelle case.Mi rende molto felice l’idea di fare l’albero di Natale con la mamma e il papà e addobbare tutta la casa. Non vedo l’ora dei giorni di festa per poterli passare con tutta la mia famiglia a giocare e divertirci tutti insieme. Ovviamente non vedo l’ora che arrivi Babbo Natale per scartare qualche regalino …speriamo che ho fatto il bravo!
Andrea
Il mio passaggio
Sabato 5 ottobre sono finalmente diventata un “lupetto scout”.
Il passaggio da “castorino” a “lupetto” è avvenuto di sera, al parco del Museo del Tessile.
Ero con il mio gruppo di castorini, la “Colonia Stella Azzurra”, era buio e mi sentivo molto emozionata.
Uno alla volta, io e altri quattro “castorini” abbiamo percorso un sentiero illuminato che conduceva ad una misteriosa capanna; sono entrata, ancora più emozionata di prima, e ho incontrato uno dei miei capi, Giulia, che mi ha detto che ero pronta a lasciare la colonia per entrare a far parte di un’altra comunità.
Poi sono passata sotto un lungo telo azzurro, agitato dai genitori, che simboleggiava il fiume dei castorini e al termine sono stata accolta dal mio nuovo gruppo: il “branco Tikonderoga”! Con loro mi aspettano nuove esperienze avventurose!
Ho voluto raccontare questa esperienza perché spero che la mia vita da scout continui e penso che i passaggi come questo siano molto importanti.
Sara
Avvento
Inizia domenica 2 dicembre, l’Avvento, il tempo forte dell’Anno liturgico che prepara al Natale. La prima domenica di Avvento apre il nuovo Anno liturgico. L’Avvento inizia con i primi Vespri della prima Domenica di Avvento e termina prima dei primi Vespri di Natale. Il colore dei paramenti liturgici indossati dal sacerdote è il viola; nella terza domenica di Avvento facoltativamente si può usare il rosso, a rappresentare la gioia per la venuta di Cristo. Nella celebrazione eucaristica non viene recitato il Gloria, in maniera che esso risuoni più vivo nella Messa della notte per la venuta del Signore.
Per aspera ad astra
Caro reparto… ah no, scusate, quel momento è già passato, e ne sono successe di cose da allora! Sembra quasi ieri il giorno in cui ho attraversato quel ponte, in balia delle mille emozioni che provavo: gioia, tristezza, tranquillità, curiosità, un pizzico di paura, ma anche sicurezza. Durante i passaggi mi sono resa conto che stavo camminando, letteralmente, ma anche in modo figurato: stavo facendo dei passi in avanti verso il mio futuro. Ed eccomi qua, dopo circa due mesi, in noviziato, insieme a tante altre persone fantastiche, visi conosciuti e altri nuovi, amicizie vecchie e altre nascenti, insomma ho fatto dei bei progressi.
Ricordo come fosse ieri quando ho camminato sul quel ponte, il cuore mi batteva fortissimo, le lacrime mi rigavano il viso, ma camminavo senza timore. Ricordo la paura di lasciare il reparto, l’emozione di esser stata accolta dai miei maestri e dalla scolta e dal rover anziani, la scintilla vista negli occhi di chi mi ha messo e poi tolto peso dallo zaino, il lieve tocco e le parole rassicuranti di chi mi ha dipinto la faccia.
E poi le attività, la timidezza iniziale, specialmente verso i ragazzi e le ragazze a me sconosciuti, le nuove amicizie, i sorrisi, le risate, i momenti seri e quelli di riflessione. Insomma, in poco tempo ho vissuto momenti davvero intensi, bellissimi, unici. Così come unico è il mio noviziato.
A proposito di unicità, è finalmente giunta l’ora di scegliere un nome, esattamente oggi, 30 novembre 2019. Non so gli altri, ma io ho interpretato questo giorno come un “nuovo” inizio, ma anche una continuazione del nostro percorso, un passo in avanti: ultimo giorno senza nome, e primo con; una data da ricordare, me la sono segnata sul mio quaderno di traccia.
“Ma come si chiama, quindi, il noviziato?”
Il nome prescelto è “Astra”, ripreso dalla dicitura latina “per aspera, ad astra”.
“Perché proprio questo nome?”
Perché, come dice la frase stessa, attraverso le difficoltà che incontreremo e affronteremo insieme, e nonostante le nostre diversità che, in realtà, ci accomunano, arriveremo fino alle stelle.
Qualcosa mi dice che sarà un anno stellare!
Ho già parlato abbastanza del noviziato, ora voglio parlarvi di un’altra cosa. Il tema di questo tuttoscout è “la buona notizia”.
Natale si avvicina sempre di più e noi lo attendiamo, chi più e chi meno. Io personalmente non vedo l’ora di calare nella meravigliosa atmosfera che questa festa porta con sè: luci colorate, alberi addobbati, statue illuminate sulle strade, canzoni Natalizie, regali, piste di ghiaccio, neve, vacanze… che bello, vero?
Natale porta con sè un’aria amichevole, familiare, amorevole. Per questo dobbiamo imparare a essere gentili, a pensare anche agli altri, non solo a noi stessi, a condividere ciò che abbiamo, a non essere egoisti o cattivi. Ma questo non solo questo giorno su un anno intero; dovremmo sentirci così, agire in questo modo, essere tali, sempre. Perché Natale è una sola volta all’anno, ma non passa mai di moda; così deve succedere anche con la gentilezza, la carità, la gioia, la condivisione e con tutti i valori più belli e umani.
È mio solito citarvi qualcuno nei vari articoli che scrivo, e in questo caso rimango in tema con queste 2 canzoni, che mi hanno colpita.
“Il coraggio di un bell’ideale per non essere buoni solo a Natale.”,
“Porta in dono la serenità, cogli al volo l’opportunità di sentire qualcosa dentro te.”,
“Apri il cuore a chi non ce l’ha.” (Buon Natale, Iacchetti)
“Caro Gesù ti scrivo, per chi non ti scrive mai, per chi ha il cuore sordo, bruciato dalla vanità. Per chi non sa riempire questa vita con l’amore ed i fiori del perdono, per chi crede che sia finita, per chi ha paura del mondo che c’è e più non crede nell’uomo”,
“E che la pace, come il grano al sole, cresca e poi diventi il pane d’oro di tutta la gente.” (Caro Gesù ti scrivo, Zecchino d’oro)
Ho scelto le frasi più significative di queste canzoni, e sono sicura che saprete leggerle col cuore, farle diventare vostre e fare così un passo avanti nel capire la vita.
Con affetto, alla prossima!
Canarino Stravagante
Una buona notizia
Quella che smentisce chi non crede più nei giovani e nelle loro capacità.
Quella che più che mai invita a riflettere chi considera gli scout invasati vestiti da bambini.
È la Partenza.
Se è vero che il rover e la scolta sono educati alle scelte, e la partenza è una di queste, perché considerarla una buona notizia e non una delle sue tante occasioni di scegliere?
Mi sono risposto che sono tre i buoni motivi per farlo.
Primo: è un modo per annunciare la Buona Notizia, quella vera che è Cristo. Non ho mai avuto grossi problemi con la fede. Ciò che però emergeva nel corso del cammino di partenza era che credere è l’obiettivo, ma una volta raggiunto occorre scegliere di essere testimoni. Quale modo migliore che non incominciare con il dire di voler esserlo? Il credente non è chiamato a evangelizzare con le parole ma con le opere, motivo per cui ho scelto di credere e di testimoniarlo.
Secondo: ti obbliga alla sintesi. Chi mi conosce sa bene che non è un qualcosa che esattamente mi appartenga. Con la Partenza però ho imparato a fare ordine e a pormi nel modo giusto verso il mondo. Riconoscevo infatti che il fine del percorso scout è di educare ad essere buoni cittadini, ma mi risultava complicato declinare concretamente l’esigenza di “lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”, perché essere un buon cittadino passa ugualmente dal raccogliere le cartacce al chiedere la fattura. La suddetta sintesi forse è arrivata anche dai miei studi giuridici: mi sono posto l’obiettivo di rispettare le persone e le regole; una scelta che pare banale ma che ti invita a leggere continuamente i tuoi valori (ci tengo all’ambiente, sono onesto…) nell’ottica di ciò che è bene per la tua comunità, sia essa il paese dove vivi o il mondo.
Terzo: è una scommessa vinta sulla libertà. È un giudizio sicuramente indotto dal mio essere diventato capo, ma adoro lo scautismo perché ti lascia libero davanti alle scelte: decidi tu se essere leale in un gioco o se impegnarti a servire il prossimo. Nei panni dei miei capi clan sarei stato ben felice di avere un rover che sceglie di partire, perché quella scommessa sulla sua libertà l’ho vinta.
Di certo da cittadino, da credente e da capo -ma potrei aggiungere anche da genitore, anche se non mi riguarda- un giovane che sceglie non è qualcosa che mi lascia indifferente.
Guardando al Natale mi viene in mente questo paragone, che lascio come augurio: come ci facciamo interrogare da Gesù che è venuto nell’indifferenza per annunciare la Buona Novella, così dobbiamo essere capaci di cogliere il bene che i giovani, nel 2019, sanno ancora fare.
Dromedario