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Qual’é per te la città dell’uomo?

Nella città infelice è sempre buio, non vedo niente, il volto delle persone che amo, gli amici, le stelle; nella città infelice in realtà c’è tanta luce, ma è come quando sei su un palco e ti sparano i fari negli occhi, sei accecato, potresti vedere ma i fari ti impediscono di guardare intorno.
Nella città felice le persone chiudono gli occhi, e chiedono a Gesù di essere la loro luce, di guadare la vita con il suo sguardo. E poi pensano a chi non può mai vedere perché è cieco, e gli tendono la mano per aiutarlo a camminare.

Nella città infelice non si dice niente, non si può parlare, non si può dire quello che si ha nel cuore, non si può chiedere quello che serve per vivere; tutta la città infelice è un’enorme discarica delle parole cattive, brutte, offensive, volgari, inutili.
Nella città felice la parola è per rispondere a Colui che ci chiama, a Chi si confida con noi, all’Amore che ci ha insegnato a parlare, per rispondere alle parole di Gesù. Gli abitanti della città felice pensano anche alle persone che non possono parlare, e cercano di comunicare con loro.

Nella città infelice non si sente niente, non si può ascoltare chi ti chiama, chi ti vuole bene, chi ti parla, c’è un baccano talmente confuso, c’è una musica a volume così alto che per parlare all’amico vicino devi gridare.
Nella città felice tutti ascoltano perché abitano nel silenzio dove parla lo Spirito di Dio, tutti sanno che per essere discepoli di Gesù e seguirlo bisogna ascoltare qualcuno che parla di Lui. Chi fa così si ricorda degli abitanti della città felice che non possono sentire, e prova a stare almeno vicino a loro.

Tu dove scegli di abitare, qual’é per te la città dell’uomo?

Un ringraziamento speciale a
S.E.R. m. M.E. D

don Claudio

Spunto di riflessione (da un genitore)

26Parecchi di voi avranno visto alla domenica delle palme (che il gruppo ha festeggiato al sacromonte di Orta) l’auto incastrata sul muretto del parcheggio. per chi non l’avesse vista dico brevemente che per una manovra errata una coppia di ragazzi è rimasta bloccata con l’auto a cavallo di un muretto: l’auto era appoggiata sulla strada con le ruote anteriori (quelle di trazione) a penzoloni dal muretto e le ruote posteriori leggermente sollevate.
Ovviamente sono passate diverse persone: chi sorridendo, chi scuotendo la testa, chi chiedendo di spostarsi perché doveva passare (faccina con gli occhi sgranati! ) e anche un gruppo di voi che si è offerto di sollevare l’auto a mano (Apprezzato l’impegno ma un po’ troppo pericoloso!).
Ad un certo punto un papà scout si è fermato ed ha iniziato a pensare a varie soluzioni, ma la moglie lo ha guardato e ha detto: “dobbiamo muoverci altrimenti perdiamo il pullman!”; lui con molta serenità ha risposto “il pullman aspetterà… noi mica siamo scout solo a parole! ”, e come potete immaginare da quel momento sono iniziate a uscire idee, cric, corde di traino e soprattutto è iniziata la ricerca in tutto il parcheggio di sassi da mettere sotto le ruote per sollevare l’auto.
Dopo aver investito un po’ di tempo, di impegno e di forze l’auto è stata “liberata” senza danni.
A questo punto i proprietari quasi commossi hanno chiesto come potevano sdebitarsi e il super papà risponde: “pensavo ad una cena, per tutti da Cannavacciuolo, ma in fondo credo sia sufficiente che voi vi prendiate l’impegno di aiutare una persona in difficoltà qualora la incontraste! ”.
Volevo condividere questo episodio con voi perché mi ha lasciato diversi spunti su cui riflettere:
Sono uno scout (o anche un genitore scout ecc – i principi dovrebbero essere gli stessi) solo a parole?
C’è qualcosa anche di piccolo che posso fare insieme agli altri per gli altri?
…E infine… grazie a Christian, il super papà (credo del Busto 1) e agli altri che hanno collaborato o che volevano collaborare.

Katia

Il secolo scout a Busto Arsizio “La schiera bella, vigorosa e promettente…”

La schiera bella - coperetinaBuongiorno a tutti,
mi presento: sono stato scout (ma scout in realtà lo si è sempre, come diceva Lord Kitchener) nel Busto Arsizio 1°, quando ancora si chiamava ASCI. L’esperienza come capo in AGESCI, soprattutto in branca RS, risale agli anni ’80; successivamente divenni capo gruppo, nonché co-fondatore del Legnano 9. Con il nuovo millennio cessai le attività, ma non la passione per il movimento scout.
Ma vengo al dunque, ed il motivo per cui voglio scrivere sui giornalini scout di Busto Arsizio (anche io lavorai alla redazione de “Lo Zaino” una trentina di anni fa) è la promozione del libro sul centenario scout a Busto Arsizio che, come sapete, è stato pubblicato nello scorso ottobre.
Immagino che ne avrete sentito parlare, specie nella serata ai Molini Marzoli il 27 ottobre scorso. Vi sono state altre presentazioni nel marzo 2018: all’Università Popolare e a “BoragnoLibri”.
Ma l’idea, oggi, è di raggiungere maggiormente i gruppi scout, per far capire attraverso questo libro non solo la nostra storia, ma anche i nostri valori scout, vissuti per un secolo nella nostra Busto.
Premetto che non faccio tutto questo per guadagno (non guadagno assolutamente nulla da questo lavoro), il libro l’ho scritto unicamente per “volontariato”, e la sua stesura, estesa nell’arco di 12 anni (sì! dodici!) ha richiesto, oltre alla lettura di molti libri, anche l’intervista a diversi scout bustesi, di ogni generazione (dai novantenni in giù.) e la visita in diversi archivi, cartacei e digitali, da qui, sino a Milano (Fondazione “Ghetti”, Biblioteca Capitolare, Associazione Alpini, ecc.).

PERCHÉ TUTTO QUESTO?
Voglio chiarire subito che non è il “libro del Busto Primo”: ovvio che del Busto 1 se ne parli di più, poichè ha 100 anni, ed il “secondogenito” (Busto 3) ne ha solo 38! Più giovani ancora gli altri due gruppi (Busto 5 e Busto 33). E’ quindi il libro di tutti gli scout e le guide di Busto, di ogni epoca!
COME VENDERLO? Credo che i migliori alleati per questo progetto siano: le cene sociali… e… la collaborazione dei genitori scout, ma anche dei rover/ scolte.
Se ne avrete qualcuna, da qui all’apertura del nuovo anno, può essere l’occasione.
Credo che, in sostanza, il libro non vuole essere (ed io spero non lo sia!) una cronaca noiosa di fatti accaduti; certo è anche un cronaca (non noiosa però !), ma vuole essere anche un modo per diffondere i valori scout che hanno caratterizzato i nostri gruppi per oltre un secolo: si parla anche, neanche troppo indirettamente, di SPIRITO DI SERVIZIO, IMPEGNO SOCIALE, SPIRITUALITÀ (sbaglio o questi sono i contenuti del Patto Associativo?) e non mancano note divertenti («la guida e lo scout sorridono e cantano anche nelle difficoltà» recita la Legge).
QUINDI…

Perché acquistarlo?
Perché è “il” libro che parla di noi!
Ma di quali gruppi scout?
Di tutti, e di tutto il secolo: CNGEI, ASCI, AGI, MASCI, AGESCI (Busto 1, 3 e 5) e FEDERSCOUT (compatibilmente con la loro storia più o meno lunga)
Ma ci interessa ciò che accaduto prima di noi?
Sì, perché già allora dei ragazzi, nostri predecessori, svolgevano del servizio a favore di qualcuno! Volete conoscerlo? Leggetelo!
Erano accadute cose banali in questo secolo?
Tutt’altro. I nostri fratelli scout hanno affrontato, nell’ordine: l’anticlericalismo, la Grande Guerra, la dittatura, la 2^ Guerra Mondiale, la clandestinità e le difficoltà economiche della rinascita…
È adatto a tutti? Lupetti, cocci, guide, esploratori?
Non proprio, è da grandi; sicuramente per rover, scolte, novizi, capi, A.E., ma sicuramente anche per i genitori associativi. E un “domani” anche i piccoli di oggi lo capiranno.

100 anni fa nascevano i Giovani Esploratori Cattolici di Busto Arsizio, e noi “deriviamo” tutti quanti da quei ragazzi del 1917!

Questo articolo vuole fare appello:
ai genitori, affinché comprendano i valori del Movimento frequentato dai figli, e si convincano che vale la pena… acquistarlo (credo proprio che il rapporto qualità prezzo sia molto favorevole!);
ai rover, alle scolte e novizi/e, perché il tema della loro branca è “IL SERVIZIO”;
ai Capi… già provati da mille impegni, … lascio solo il compito del… “passa parola”! (so, per esperienza, che tirerete un sospiro di sollievo).
GRAZIE PER L’ATTENZIONE!

Marco Torretta

GENARAZIONE X – Una città a misura d’uomo

Da quando la rivoluzione industriale ha reso inutile una larga forza lavoro per la coltivazione del terreno, la vita degli abitanti della maggior parte del pianeta ha iniziato ad essere vissuta nelle città. Le città sono dove mangiamo, studiamo, lavoriamo, ci innamoriamo, esistiamo. Si potrebbe dire, scomodando Aristotele, che ormai la giungla d’asfalto sia l’habitat naturale dell’animale sociale.
Nonostante questo, spazi creati apposta dagli umani per gli umani finiscono col non soddisfare. In città è facile muoversi e trovare tutto quello di cui si può aver bisogno, eppure questa illimitata possibilità di scelta ci fa sentire comunque intrappolati. Liberi di scegliere, certo, ma sempre nei limiti e nei tempi che ci impone un “altro” sempre invisibile ma mai definito, oggi più che mai: Il fondatore di Google, Larry Page, non sa esattamente come funziona l’algoritmo che gestisce le ricerche, così come non lo sa nessuno delle centinaia di programmatori che per lui lavorano; eppure questi è bravissimo a consigliarci quello che ci piace, e nessuno si fa troppe domande.
Ma se il luogo stesso dove si svolgono le nostre vite non ci è particolarmente amichevole, potrà mai esisterne uno? Italo Calvino, autore a me molto caro, partiva da uno spunto di riflessione simile per il suo libro “le città invisibili”. Luoghi fantastici e bizzarri; alcuni nascosti altri in piena vista fra cielo e terra, vita e morte, realtà e finzione. A viaggiare tra di essi non sono però tanto i personaggi del libro quanto il lettore stesso, spinto infine ad interrogarsi sulla natura di questi luoghi fantastici e decidere se posti del genere esistano, se o potranno, forse, un giorno esistere e se davvero valga la pena che esistano.
Possibile quindi che l’unica vera fuga dal grigiore delle nostre città sia possibile solo attraverso la fantasia?
Sì, ma anche no.
È vero nel senso che l’unica vera fuga possibile è attraverso qualcosa di immateriale: il rapporto che viene a crearsi tra persone diverse.
Si dice spesso che la città isoli gli individui rispetto ai paesini dove si conoscono tutti da sempre, e questo è vero, ma è anche vero che la città presenta al suo interno moltissimi luoghi di aggregazione creati apposta per interconnettere le persone, ed è proprio qui che attraverso passioni, ideali, comunanza d’intenti e di valori le persone possono iniziare a compiere le loro scelte in libertà, sicure di essere circondate da altri che condividono la loro idea di bene e con le quali possono sentirsi a casa.
E come viene designato il luogo dove molte persone hanno casa, se non città?
Ma una città diversa, non fatta di cemento e neon ma di carne ed emozioni, una vera e propria “città dell’uomo”, che si serve delle infrastrutture e della durezza della città che la circonda come mura difensive, per potersi dare una forma fisica ed iniziare via via ad espandersi per tutti i corsi e le vie, in maniera invisibile, col solo scopo di poter unire tra loro quante più persone possibili e riuscire un giorno a trasformare la città e, chissà, magari anche il mondo intero per lasciarlo, si spera, un po’ migliore di come lo si è originariamente trovato.
Oppure, se davvero il vivere costantemente in città risultasse così difficoltoso, si potrebbe provare a trascorrere ogni singolo finesettimana andando per boschi.
Ma solo un pazzo farebbe una cosa del genere.

Tricheco Birbante

I miei traguardi in noviziato

Nel momento in cui ho fatto i passaggi sul ponte, in cui me ne andavo via dal mio reparto Orione, con loro ho concluso un pezzo di strada. Salendo sul ponte dei passaggi mi è venuto da piangere.
Ho fatto il segno della Promessa, che ho promesso a Dio, e ho salutato il mio ex-reparto. Sono scesa dal ponte e ho fatto l’ingresso in noviziato in cui iniziava la mia nuova avventura con i nuovi capi e amici. Nuove amicizie e nuove attività.
Il momento in cui ho fatto servizio nei mitici Tiko.

Carissimi Tikonderoga,
se sono qui a scrivere questo per voi è perché sento mancanza dei miei adorabili bambini che mi vogliono bene con tutto il loro amore.
Vi dico grazie di quello che avete fatto per me ma posso dire che mi mancate moltissimo. Siete i miei cuccioli e io sono la vostra Mamma Rasha. Siete la cosa più bella che ho. Veramente.

I passaggi nei mitici Tiko
Quando ho fatto i passaggi su quel ponte ho concluso il mio servizio nei miei Tiko. Mi è venuto da piangere quando ho fatto il segno del saluto al branco. Mi sono sentita l’angoscia di tornare indietro. Dovevo stare con il mio branco.
Sono scesa da quel ponte e sono tornata di nuovo nella Stella Azzurra.

Granchio Coccoloso – Mamma Rasha

Bontà o pseudo-bontà?

Nell’ultimo periodo ho in mente un pensiero, l’uomo è capace di “fare” bontà?
Mi spiego con una storia:
il Dio che ha creato il mondo un giorno lanciò una maledizione ad un adolescente. Venne condannato a provare dolore, ogni qualvolta avesse visto gente che soffriva. Per evitare di provare dolore, il ragazzo dava una mano alla gente afflitta. Poco dopo il creatore creò una copia fasulla del ragazzo, la copia non aveva una volontà propria, ma avrebbe fatto le stesse azioni del giovane. Anche lui iniziò ad offrire il suo aiuto alla gente sofferente.
Quale dei due personaggi può essere chiamato ’Bontà’ e chi ’Pseudo-Bontà’?
A rigor di logica, si potrebbe dire che il ragazzo è reale, mentre l’imitazione che è una copia del giovane, può essere considerato un falso. Inoltre il ragazzo aiutava la gente sofferente e questo è un atto di bontà, mentre la copia non ha una volontà autonoma, quindi il bene che fa verso gli altri è solo frutto di un’imitazione. Pertanto il ragazzo dovrebbe essere chiamato ’Bontà’ mentre la copia ’Pseudo-Bontà’.
Anche se questa risposta può essere considerata la più logica, non può essere la risposta esatta, perché la bontà che segue una logica non è altro che pseudo-bontà. Sebbene il ragazzo aiutasse chiunque, il motivo che lo spingeva a farlo era la maledizione del creatore. Lo faceva solo per evitare che lui stesso provasse dolore. Anche se stava facendo del bene, lo faceva per se stesso. Quindi è indubbiamente una forma di pseudo- bontà.
Allora qual è la risposta? Il motivo per cui la copia può fare puramente del bene è perché non possiede una volontà propria, non riesce a pensare autonomamente. La differenza tra bontà e pseudo-bontà dipende dal motivo che guida chi compie delle buone azioni, cioè se vanno a suo vantaggio o meno.
Quindi, gli umani che possiedono una volontà possono perseguire il bene puro?
Gli umani non sono macchine. Hanno la loro volontà. Anche se fanno del bene, è ’impossibile che agiscano in maniera disinteressata, andando contro i propri interessi. Questo perché colui che fa del bene ne trae una soddisfazione psicologica e anche questo è un modo per ottenere vantaggi personali.
Quindi, sintetizzando: sacrificio e uno scambio di interessi fisici per interessi psicologici.
Ad esempio, un ragazzo sacrifica la propria vita per salvare cento persone. Perché dovrebbe farlo? Perché nella sua mente ’salvare cento persone’ è un atto più nobile e generoso di salvare la propria vita. Così facendo, non agisce solo in favore delle cento persone, ma anche di se stesso, perché è stato lui a fare quella scelta.
Nella situazione appena descritta, per gli umani è impossibile fare del bene puro perché essi possiedono una volontà autonoma. Gli umani possono fare delle scelte, e la scelta stessa è un atto che va a vantaggio di chi la compie! Di conseguenza, la bontà degli umani non può essere considerata bontà, ma pseudo-bontà.
Quando la pseudo-bontà diventa più grande della bontà, essa viene automaticamente distorta e diventa malvagità.
Per spiegare: immaginate il ragazzo che, a causa della maledizione, aiuta la gente che soffre. Un giorno incontra un uomo sofferente, ma che non può essere salvato o redento; a questo punto il ragazzo dovrebbe patire costantemente il dolore della maledizione. Quindi, non potendo salvare quell’uomo, cosa dovrebbe fare? C’è un’alta probabilità che il giovane potrebbe uccidere l’uomo che soffre, perché quando la pseudo-bontà è spinta all’estremo, può liberamente diventare malvagità!
C’è una piccola probabilità invece che, alla fine, il giovane decida di sopportare il dolore e non smetta di provarci. A quel punto la pseudo-bontà del giovane verrebbe sublimata a pura bontà.
Gli umani hanno la loro volontà, ma contro le tante scelte della vita, possono prendere delle decisioni sulla base del libero arbitrio. Chiaramente, questa è considerata un’azione che soddisfa gli interessi personali. Ma se si è costretti a fare una scelta che va contro ciò che vogliamo davvero, a quel punto la nostra volontà non si realizza come vorremmo e in questo caso si crea un concetto purò di bontà.
Mi scuso per quest’ampia dissertazione, ma spero che questa mia riflessione possa essere usata anche da altri, come spunto di pensiero…

Alessandro Cantù
Barbagianni Riflessivo

Le scelte di oggi per una SEDE che cambia

Ciao Bustotre,
si, lo sappiamo, abbiamo saltato qualche numero della rubrica di Clan, ma anche i migliori cadono specialmente quando le cose da fare sono tante.
Siamo qui oggi non solo per sperare di rimediare a questa mancanza, ma anche e soprattutto per informarvi, arricchirvi, rendervi partecipi, di ciò che sta accadendo alla nostra bella casa, il Macello!
In uno degli ultimi articoli abbiamo parlato del contratto di affitto e di come siamo legati economicamente e legalmente al Comune per l’usufrutto di questo spazio. E’arrivato il momento di affrontare un nuovo tema: le utenze.
Per i più piccoli, le utenze rappresentano i soldi che spendiamo per mantenere la sede calda, per poter accendere le luci e per poterci lavare le mani e bere in sede, si parla quindi di Gas, Elettricità e Acqua.
Il tema è molto vasto e complesso ma cercheremo di riassumerlo.
Iniziamo dall’Oro blu quest’ultimo, infatti, al momento non è a carico nostro, ma dell’AGESP anche se è in corso la voltura dei contratti.
Per quanto riguarda l’elettricità la situazione è molto più complessa. L’impianto è infatti in fase di partizione, ovvero si sta cercando di capire, con il Comune, quali zone siano a carico nostro e quali no (ad esempio le luci perimetrali accese tutta la notte tutti i giorni, sono per ragioni di sicurezza degli spazi dedicati al Tribunale, non per esigenza nostra), inoltre andrà progettata la messa a norma degli impianti.
Arriviamo ora al fulcro dell’articolo, il tema sul quale ci sono state più novità ultimamente: il gas, e partiamo dall’inizio.
Fino a qualche mese fa l’unica fonte di riscaldamento di tutta la sede era una vecchia centrale “termonucleare” (non lo è davvero ma lo sembra) situata sul retro, inoltre il gas veniva distribuito per scaldare anche le altre zone del Macello. Si è però realizzato che non fosse una situazione ottimale, così il riscaldamento è stato confinato solo al corridoio principale (quello dei branchi per intenderci), cucinare è diventato impossibile se non con i fornelloni, ed il salone ha raggiunto le temperature della Siberia invernale: urgeva una soluzione.
Qualche mese fa la nostra Co. Ca. (Comunità Capi) ha così iniziato i lavori per mettere a norma l’impianto del gas della cucina e del salone, lavori finanziati dal bando sedi sicure dell’AGESCI Lombardia (grazie agli ingressi dell’8xMille) e ultimati nel mese di Gennaio.
È così che da circa 4 mesi abbiamo nuovamente una cucina funzionante e un salone riscaldato, ma la centrale “termonucleare” che abbiamo menzionato prima?
Beh, quella parte del riscaldamento è per ora a carico del Comune con il quale stiamo cercando delle soluzioni, infatti, non molto tempo fa l’AGESP ha posizionato dei contabilizzatori per verificare quanti metri cubi di gas effettivamente consumiamo, dato necessario alla risoluzione della trattativa.
Caro Busto3, tutto ciò che potevamo dirvi riguardo le ultime novità della nostra sede è stato detto, ci rimane però ancora un punto da trattare: la consapevolezza. Sta infatti a noi avere cura non solo degli spazi ma anche di ciò che facciamo, ad esempio: chiudere la porta con il riscaldamento acceso aiuta ad abbattere i costi che potrebbero diventare molto alti, fare bene la raccolta differenziata evita di prendere multe (oltre a dispensare il Clan dall’infilarsi nei bidoni per spostare i rifiuti sbagliati), pulire bene dopo le cene e non lasciare cibo sparso per la sede elimina la presenza di topi e il relativo costo per tenerli lontani, la sede è nostra e siamo noi i primi a doverne avere cura!

Grillo Cangiante,
Ippopotamo Vorace, Lepre Loquace

Tra cenere e sudore – Cronache dell’Evento RS

16  Premetto che questo articolo lo sto iniziando alle 4 di notte, perché non ho sonno. Detto ciò…
Buon giorno Bustotre oggi vi narreró delle gesta compiute nel week end 21/22 aprile dal vostro adoratissimo Clan Kypsele.
In codesta data, mentre i nostri piccoli fratellini dei reparti erano impegnati nel San Giorgio, noi abbiamo partecipato all’evento di zona RS, dove erano presenti tutti i clan della Zona Ticino-Olona (un salutone ai nostri amici del Garbagnate che ci seguono da casa)
L’obbiettivo di questo pernotto non era per niente banale, dare una mano per la sistemazione dei danni causati dall’incendio che ha devastato parte del “Parco Campo dei Fiori” di Varese quest’inverno.
L’ispirazione per questa iniziativa, nasce dalla brillante, quanto piena di ricci, testa di Tommaso Ferrario, il quale portò all’attenzione, prima del nostro clan e poi tramite i capi, a tutta la Zona Ticino-Olona, quanto questo posto per noi scout della zona sia un crocevia, intersecato più e più volte nel nostro cammino scout, luogo che nella sua ha ospitato mille pernotti, una decina di challenge, e qualche migliaio di escursioni domenicali.
L’appello di Tommaso non é andato a vuoto e ha raccolto “empatia” di tutti noi. Facendo muovere i nostri capi per rendere possibile un intervento concentrato di più forze, da qui é scaturita la collaborazione con l’ente che gestisce il parco, con le limitrofe amministrazioni locali, il servizio antincendio boschivo e la Protezione Civile. Tutta questa marmaglia di gente unita per un sentimento di “l’empatia”, parola molto sottolineata dal presidente dell’ente parco.
“Empatia”… “ma verso chi?”
Verso quel bosco che abbiamo visto soffrire mentre bruciava per roghi purtroppo dolosi…
Ma torniamo a cosa è successo nella pratica
L’e18nte parco ha messo a disposizione per i 130 pantaloncini corti, una colonia elioterapica immersa nel bosco della zona di Barasso, per pernottare e fare le nostre cose belle da scout.
Dopo un geniale gioco per la suddivisione in 10 gruppi di lavoro, e la rispettiva cena di conoscenza divisi per sotto gruppi, abbiamo assistito alla messa del nostro mitico don Claudio (Abbiamo cantato solo noi del Bustotre, Giacomo sii Fiero di noi). Successivamente i rappresentanti dei vari enti hanno fatto piccole presentazioni e testimonianze di quelli che in quei 10 giorni di inferno, erano in prima linea tra le fiamme del bosco e l’acqua dei canadair. In ultimo ci é stato spiegato quale sarebbe stato nella pratica il nostro lavoro di prevenzione anti-incendio.
La prevenzione anti-incendio si divide normalmente in 2 parti: monitoraggio costante del territorio e manutenzione. A noi é stata chiesta la seconda, ovvero nella pratica: ripulire il sotto bosco da tutta la legna a terra, caduta e mezza bruciata durante l’incendio (legna che in caso di un secondo incendio aumenterebbe la quantità di materiale combustibile) e segnalare gli alberi pericolanti e morti, da far tagliare con la motosega.
Ci siamo concentrati su un tratto di un centinaio di metri nei boschi in prossimità del sentiero 10a, distribuendo le diverse squadre di lavoro, che tra sudore cenere e corteccia hanno ripulito il sotto bosco. Spostando, raccogliendo, trascinando e lanciando a mo di giavellotto, pali di 10 metri. Formando cataste abnormi sul sentiero, che tramite una catena-umana di un centinaio di persone, sono state spostate fino ai luoghi designati (Canguro Amletico è fiero di voi).17
Questa particolare esperienza di servizio ha avuto una doppia utilità, Quella pratica di sistemare una zona naturale, “lasciandola un po’ meglio di come l’abbiamo trovata” e quella (diciamo) più istituzionale, ovvero avere una presenza attiva sul territorio, parlare con le persone che come noi lo vivono, ed essere in prima linea quando è lo stesso territorio ad avere bisogno.
Sarà questa “l’empatia” di cui prima si parlava…?

«L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui,
sia che si tratti di gioia, che di dolore.
Il significato etimologico del termine
è “sentire dentro”.»
cit. Wikipedia

Fabio Brancato
Yak Famelico