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Colonia Grande Alce – Il mio campo scout

ttscout160 (7)ttscout160 (22)Questa estate siamo andati a Cavandone per fare il campo dei castorini della colonia Grande Alce.
Il tema era Avatar.
Lì abbiamo anche incontrato gli alieni che vivono su Pandora
E’stato bellissimo fare i lavoretti, giocare, dormire in tenda, mangiare all’aperto.
Dei lavoretti che abbiamo fatto quelli che mi sono piaciuti di più sono stati fare l’arco e giocare con le cerbottane.
Abbiamo fatto anche il bagno al lago Maggiore.
L’ultima sera abbiamo anche visto il film all’aperto di notte.
E’stata veramente una bellissima esperienza!
Giovanni Benaglia – coda nera

ttscout160 (14)ttscout160 (17)I primi giorni abbiamo dormito nella casa ed io ero nel letto a castello in alto con altri due compagni Richi e Guglielmo. Nei giorni successivi abbiamo dormito in tenda ed è stato un’esperienza bella. Poi abbiamo festeggiato il nostro compagno Giovanni che compiva gli anni. Abbiamo costruito con i nostri capi un viaggio immaginario che ci ha portati sul pianeta Pandora abitato dai Navi. Anche noi siamo diventati Avatar riconoscibili dalla faccia blu dipinta dai nostri capi. Una sera i nostri capi ci hanno fatto vedere il film Avatar direttamente sotto le stelle, ma non siamo riusciti a vederlo tutto perché si è fatto molto tardi e avevamo sonno. Per alcuni di noi questo viaggio si è concluso con il passaggio alla coda grigia oppure alla coda nera e per me ha significato tanto. È stata un’esperienza indimenticabile.
Andrea Pedrazzini – coda nera

ttscout160 (12)Mi chiamo Tommaso Tosi castoro coda nera della Colonia Grande Alce e vi scrivo per raccontarvi le cose che mi sono piaciute di più al campo estivo sul pianeta Pandora: mi è piaciuto tanto giocare con i Navi uomini blu alti 4 metri e soprattutto dormire alcune notti in tenda sotto le stelle con i miei amici e i capi… una prima volta molto divertente ed emozionante.
Tommaso Tosi – coda nera

ttscout160 (13) La cosa che mi è piaciuta di più al campo è stata di fare finta di essere un militare. Dormivo in tenda con Patrizia e avrei voluto anche Alice. Zio Malak al mattino ci svegliava in fretta. Mi è piaciuto molto il campo”
Nicolò Ottobrini – coda bianca

Al campo estivo dei castorini mi sono divertito a colorare il drago.
Riccardo Milani – coda fulva

Editoriale – Il segreto per una vita ricca è di avere più inizi che fini

Il nostro editoriale prende il titolo da una citazione di David Weinbaum. Iniziare con BP sarebbe stato scontato non è vero? Invece prendiamo spunto da una perla del consulente motivazionale statunitense di turno che racchiude al suo interno una verità scout: “la ricchezza dell’inizio”.
La gioia dell’inizio che scongiura la tristezza della fine. Il desiderio della scoperta di ciò che deve ancora arrivare che mitiga il senso di allontanamento dal comodo nido che abbiamo imparato a conoscere e ad amare.
Allegoria della vita scout che è un eterno riproporsi di passaggi: dalla famiglia alla Colonia, dalla Colonia al Branco, dal Branco al Reparto, dal Reparto al Clan per concludersi con la “non fine” ovvero un finale che in realtà è una “Partenza”: saper prendere in mano la propria storia scout e tradurla in qualcosa di concreto nel mondo.
Così ogni anno al giungere dell’autunno tutti noi, dal giovane castoro al capo con lunga anzianità di servizio, ci ritroviamo a fare i conti con le novità che ci porterà il nuovo anno scout.
La cerimonia dei Passaggi racchiude in modo simbolico tutti i nostri sentimenti, le paure e le speranze.
Al temine della Grande Nuotata ritroverò il Lupo Keo che mi è stato accanto nel mio ultimo Pernotto da Coda Nera? Akela e Bagheera avranno capito che vorrei passare nel Reparto dove c’è la mia migliore amica? Sarò in grado di mettermi in discussione ed affrontare i grandi temi della vita in Noviziato e poi in Comunità di Clan? Riuscirò a prendere in mano il Branco, a valorizzare ogni fratellino e sorellina e ad essere testimone ogni giorno della mia scelta scout? Riuscirò dopo tanti anni di servizio a dire stop e accontentarmi di essere stata una persona significativa per tanti bambini e ragazzi che mi sono stati affidati?
Quali e quanti altri pensieri possono balenarci nella mente in queste giornate d’autunno dove il sole non vuole cedere al buio e il vento ci accarezza i capelli anche se sa di essere già un po’ troppo freddo.
Ma noi scout continuiamo imperterriti a guardare oltre, a compiere il nostro passo in avanti non dimenticando ciò che siamo stati e che porteremo sempre con noi nel nostro zaino, senza che questo diventi una zavorra ma il giusto peso che nel cammino della nostra vita ci tiene in equilibrio tra fine e inizio.
Buona strada e buon inizio a tutti!

Sara Michela Lualdi
Zanzara Intransigente

Sabato 14 ottobre “accoglienza”! Ma chi sono gli scout?

Questo sabato sarà un giorno speciale dedicato a quanti volessero iniziare la loro avventura scout (qui tutti i dettagli). Per raccontarvi, in modo un po’ insolito, chi sono e cosa fanno questi scout vi proponiamo uno scritto di Pierluigi Biondi:
 
Inchiodati alla fulminante ma ingenerosa definizione che di loro diede George Bernard Shaw – “bambini vestiti da cretini guidati da un cretino vestito da bambino” – gli scout, oltre che al sarcasmo dei più, sono sopravvissuti a due guerre mondiali, al boom dei ’60, all’impegno dei ’70, al riflusso degli ’80, alla prima e alla seconda repubblica, al passaggio del millennio e alla crisi del sistema, al crollo dei miti e alla new age. Come la Dc o il Festival di Sanremo, di cui difficilmente si trovava qualcuno disposto pubblicamente a parlarne bene ma che poi – nel segreto dell’urna e dei dati Auditel – mietevano consensi, così gli scout hanno risposto alle ironie e alle raffigurazioni caricaturali riempiendo le loro sedi di lupetti, coccinelle, esploratori, guide e rover.
Le stime parlano chiaro: nei cento anni e passa di attività, almeno mezzo miliardo di uomini e donne hanno pronunciato la promessa scout, impegnandosi a compiere il proprio dovere “verso Dio, la Patria e la Famiglia”, ad “agire sempre con disinteresse e lealtà” e ad “aiutare gli altri in ogni circostanza”, dando sempre “il meglio di sé”.
Tra loro molti i nomi celebri: dai coniugi Clinton al colonnello Muammar Gheddafi, dall’astronauta Neil Armstrong all’icona pop-rock Jim Morrison e – per restare in Italia – i politici Ignazio La Russa e Giovanna Melandri, i cantanti Gino Paoli e Jovanotti, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso e il dirigente del Sismi Nicola Calipari, morto a Baghdad durante la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Anche Georges Prosper Remi – in arte Hergé, creatore di Tintin (foto a sinistra) – ha calzato il bizzarro cappello a larghe tese e un suo murale, dipinto sul corridoio di una scuola dismessa in cui sono riprodotti degli scout, è diventato un oggetto di culto per gli appassionati delle opere del disegnatore belga.
L’atto di nascita dello scoutismo è del 1907, quando l’ufficiale dell’esercito inglese Lord Robert Baden Powell portò una ventina di giovanotti nell’isola di Brownsea, nella Manica, per dar vita al primo campo – jamboree in gergo scout – della storia. L’idea, a B. P. (come affettuosamente viene chiamato dai suoi seguaci), venne dopo aver verificato il successo che il manuale Aids to Scouting – scritto originariamente per i suoi soldati – aveva tra i ragazzi, a tal punto da essere adottato come libro di testo nelle scuole. Da lì la pubblicazione, nei primi mesi del 1908, del manuale di formazione Scouting for boys che diventerà la Bibbia di intere generazioni con i pantaloncini corti e il fazzolettone al collo.
Alla figura del fondatore, recentemente, la Lizard Edizioni – la casa editrice fondata da Hugo Pratt – ha dedicato il volume a fumetti di Ivo Milazzo e Paolo Fizzarotti intitolato Impeesa (p. 72 a colori, € 19,50) come il soprannome con cui gli zulù africani chiamavano Baden Powell.
Attualmente gli scout presenti nel mondo sono quaranta milioni, di cui almeno duecentomila iscritti in una delle tre associazioni della penisola: Agesci, Fse e Cngei, le prime due di ispirazione cattolica, la terza laica. Un esercito che marcia zaino in spalla e sacco a pelo, ordinato in squadriglia o in pattuglia, a far esperienza di vita comunitaria all’aria aperta. Non esistono problemi insormontabili: un fuoco da accendere in condizioni precarie, un accampamento da allestire all’improvviso o un ferito da curare, per ogni cosa c’è una soluzione. Una solida formazione, tanta buona volontà e inesauribile inventiva, questo è il segreto.
Pronti a dare una mano dove serve, gli scout si distinguono per la loro concezione di una solidarietà fatta “di prossimità” (quasi una versione attualizzata del comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”), lontana anni luce dal professionismo del buonismo internazionale che corre in soccorso dei terremotati dell’ultimo anfratto del pianeta o che fa barricate contro l’estinzione di un rarissimo insetto della foresta amazzonica ma che si accorge dell’anziana dirimpettaia morta da una settimana solamente all’arrivo dei vigili del fuoco. Abituati al rispetto e alla fatica, tipi così difficilmente diventano bulli: ecco perché, in occasioni quali il concerto di qualche giorno fa di Fiorello e Baglioni contro la violenza degli adolescenti nei confronti dei loro coetanei, è più facile scoprirli dall’altra parte delle transenne a distribuire acqua o a prestare soccorso piuttosto che ad agitarsi a ritmo di musica. Così come si possono trovare, durante i sabati sera degli happy hour portati fino al mattino e delle corse in automobile, a spiegare ai ventenni i rischi dell’alcool o dentro qualche carcere a fare volontariato tra i detenuti o a dare assistenza tra i pellegrini del Giubileo romano. Oltre che prendersi cura degli altri, però, sono anche capaci di pensare a se stessi, sviluppando una spiccata propensione all’adattamento nelle situazioni più difficili e alla pianificazione del lavoro di squadra. Non è un caso, quindi, che l’Università Bocconi mandi i suoi allievi a studiare il modello scout a Ginevra o che l’agenzia di lavoro interinale Adecco suggerisca ai candidati di inserire nel curriculum le esperienze da esploratore o da rover. Perché una volta scout lo si è per sempre, come recita il loro motto: semel scout, semper scout.
Ha detto bene Edoardo Missoni (foto a sinistra), segretario generale uscente dell’Organizzazione Mondiale del Movimento Scout: «Lo scoutismo è l’unica scuola di management al mondo ad avere 100 anni di tradizione, e l’unica che si può frequentare a partire dagli 8 anni di età».
E allora perché di loro rimane lo stereotipo del “fregnone”, quello – per intenderci – descritto con l’attempato Nuvolone da Carlo Verdone nel suo ultimo film Grande, grosso e… Verdone? Chissà se per la loro somiglianza a dei novelli Balilla (analogia fin troppo spiccata se il regime decise che di milizia giovanile ne bastava una e decretò lo scioglimento del movimento scout e lo condannò alla clandestinità del periodo detto della “Giungla silente”). Oppure per la rappresentazione che Clark Barks ne diede, a partire dal 1951, con le Giovani Marmotte disneyniane interpretate da Qui, Quo e Qua – nipotini dello sfaccendato e sfigato zio Paperino – che si mostrano tronfi sull’attenti petto-in-fuori-pancia-in-dentro al cospetto del loro capo, quel trombone del Gran Mogol, smaniosi di ricevere la milionesima medaglia per l’ennesima prova di capacità e di coraggio. O forse ancora, la risposta potrebbe fornirla lo storico John Springhall che, in un articolo pubblicato nel 1972 sulla rivista International Review of Social History, così definiva – con pomposissima retorica progressista – il movimento scout: «Una versione personalizzata (del fondatore Baden Powell, ndr) di socio-imperialismo, onnipresente darwinismo sociale e culto edoardiano dell’efficienza nazionale».
Una macchietta, in pratica. E sì, perché le uniformi, l’organizzazione gerarchica, la disciplina, la “buona azione quotidiana” – da che mondo è mondo – stimolano lo sghignazzo negli invidiosi che camuffano il proprio conformismo, ideale o sociale che sia, con il ribellismo dei costumi. Gli stessi che non ci spiegano perché debba apparire più ridicolo un ragazzino beneducato con i pantaloni alla zuava che dorme in tenda piuttosto che un adulto (?) con le treccine rasta che si sballa rinchiuso dentro un centro sociale.
 
Pierluigi Biondi (L’Aquila, 1974), giornalista, scrive per il quotidiano Secolo d’Italia e la rivista Senzatitolo, trimestrale di teatro e cultura. Ha collaborato, in qualità di editor, al libro Tre punti e una linea. La storia attraverso la radio (ed. Teatroimmagine, 2007). Dal 2004 è sindaco di Villa Sant’Angelo (Aq).
 
L’articolo è stato ripubblicato dall’originale sull’archivio-blog di Roberto Alfatti Appetiti

Una 2a edizione per il libro del Clan Zenit sulla Freccia Rossa del ’49

FrecciaRossa2In prossima uscita la seconda edizione
rivista ed ampliata !!

Promozione prevendita fino al 31 ottobre 2017

La Freccia Rossa
1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa

 a cura di Federica Frattini e del clan “Zenit” Busto Arsizio 3 Agesci

fr2prezzi promozione:

1 copia € 18
3 copie € 50
5 copie € 75
per altre quantità contatta l’editore

spedizione:

compresa nel prezzo, con Poste Italiane (tariffa “piego di libro”) per gli ordini di una copia, con corriere BRT (24h) per ordini di 3 o più copie

Il 9 ottobre di due anni fa veniva presentato in anteprima il libro a Palazzo Marino, sede prestigiosa del Comune di Milano.

Accogliendo le tante richieste che ci sono pervenute siamo lieti di comunicarvi che sta per uscire la seconda edizione, rivista ed ampliata di ben 24 pagine di ulteriori testimonianze raccolte.

Ai tanti che ci seguono è dedicata questa prevendita a prezzo scontato.

prenota qui la\e tua\e copia\e
SEGUI LA PAGINA DEL LIBRO FACEBOOK @frecciarossascout
CARATTERISTICHE:
Curatore:
Federica Frattini
Titolo:
La Freccia Rossa. 1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa
Formato: cm 22×22, rilegatura in brossura con alette
Pagine: 240
ISBN:
978-88-98639-63-2
Grafica:
Piero Gavinelli
Stampa:
Tipografia Piave
Prezzo di copertina:
€ 22 (iva incl.)
Tipografia Piave Srl
p.za Giorgio Piloni, 11
32100 – Belluno
www.tipografiapiave.it
0437.940184
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Scout disobbedienti per amore della libertà

Una resistenza senza fucile. Si potrebbe definire così (ma anche in tanti altri modi) l’insieme delle attività compiute dal gruppo scout clandestino che va sotto il nome di “Aquile Randagie”: alcuni sostengono che, da un punto di vista cronologico, si tratti del primo manipolo italiano di resistenti al fascismo, essendosi costituito nel 1928 con circa quindici anni di anticipo sulla più nota resistenza partigiana. Primo oppure no, per noi resta comunque il fondamentale modello cui tendere per essere anche oggi, nel terzo millennio, scout fedeli (sempre, alla Promessa e alla Legge) e ribelli (quando circostanze di ingiustizia lo richiedano). Per questi motivi sabato 27 maggio è stata intitolata a questi giovani gagliardi la via che dal parco di Villa Comerio porta alla nostra sede ed è stata scoperta la targa che narra la loro storia e li ricorda come “pietre vive” per la città di Busto Arsizio. E così, ogni volta che entreremo in sede, percorrendo “via Aquile Randagie”, ci ricorderemo quale deve essere il nostro stile, quali i nostri fini e con che tenacia dobbiamo perseguirli.

L’articolo di VareseNews

100 anni… tempo di resistere

A cent’anni verrebbe da dire che si è vecchi… ed è vero!
Che si è guadagnata la sapienza, la saggezza, la pazienza… e questo lo speriamo!
Che si sente la stanchezza, che si tende a rassegnarsi… e questo mai!

A cent’anni è tempo di RESISTERE… ma attenzione: resistere può significare due cose!

Si può resistere arroccandosi sulle proprie posizioni e tradizioni (…si è sempre fatto così…), si può resistere rifiutando il confronto e il dialogo (…tanto io resto della mia idea…), si può resistere coltivando il proprio orticello e dimenticandosi degli altri (…noi facciamo le nostre cose, gli altri facciano le loro…).

Oppure…

Si può resistere camminando sulla strada anche quando tutti si fermano, si può resistere sorridendo anche quando tutti si lamentano, si può resistere pensando agli altri anche quando tutti pensano a sé.
Si può resistere amando anche quando si è odiati, perdonando anche quando si viene feriti, offrendosi anche quando si è rifiutati. Come Gesù.

Don Matteo

Hanno lasciato una traccia: John Fitzgerald Kennedy

18È stato il 35° presidente degli Stati Uniti d’America, l’unico cattolico e l’ultimo ad essere stato assassinato.
Classe 1917 appartenne alla “generazione d’acciaio” nata durante la Grande Guerra, “temprata” dalla Crisi del ’29 e che combatté la II Guerra Mondiale. Proprio durante la guerra si guadagnò la Marine Corps Medal per aver tratto in salvo l’equipaggio della sua motovedetta che era stata speronata da un cacciatorpediniere giapponese. In questo restò fedele al principio che uno scout “è mediocre in un salotto ma indispensabile in un naufragio”.
JFK, come è rimasto noto, fu uno scout della Troop 2 di Bronxville (New York) dal 1929 al 1931 e capo nel Consiglio di Boston.
Come presidente affrontò alcuni dei momenti più cruciali della Guerra Fredda con errori, come il tentativo di abbattere il governo castrista con lo sbarco nella baia dei Porci o l’inizio dell’impegno americano in Vietnam, e successi storici, come il programma spaziale che portò l’uomo sulla Luna, il supporto ai diritti civili degli afroamericani e la risoluzione della “crisi dei missili di Cuba”. Quest’ultimo è da molti considerato il momento più “caldo” della Guerra Fredda, in cui USA e URSS furono quanto mai vicine al conflitto atomico. Le capacità di Kennedy, la sua fermezza e il desiderio di trovare una soluzione pacifica (in un ambiente politico in cui molti spingevano verso le “maniere forti”) fece sì che l’olocausto nucleare fosse scongiurato.
19Come capo scout sono contento di avere un esempio simile da mostrare ai miei ragazzi e ragazze: il giovane John si sarà seduto anche lui in cerchio con il suo reparto a parlare della fratellanza tra i popoli e di come gli scout siano cittadini del mondo. Molti anni più tardi, con “il dito sul pulsante”, si sarà ricordato di quell’idea di pace?
In patria la sua lotta alla povertà e alla disoccupazione, così come leggi a favore dell’istruzione e dei cittadini di colore (all’epoca ancora inferiori ai bianchi secondo la legge) gli procurarono potenti opposizioni. Da questa situazione altamente polarizzata tra chi lo amò e chi lo considerò un nemico nascono le molte teorie sulla sua morte, avvenuta il 22 novembre 1963 per mano di Lee Harvey Oswald che gli sparò alla testa con un fucile di precisione. Dopo molti anni ancora sembra non si sia fatta piena chiarezza su quello che è uno degli omicidi più noti della storia.
JFK lasciò sicuramente molte tracce indelebili nella politica americana e mondiale, ma ne vogliamo ricordare anche una più piccola che però si trova proprio a Busto Arsizio.
Gian Pietro Rossi, sindaco e scout bustocco, ama ricordare così il suo incontro con JFK:
«Nel giugno del 1963, quando ero sindaco, mi trovai, assieme ad altri rappresentanti delle Istituzioni, a presenziare l’arrivo del Presidente John Fitzgerald Kennedy, in visita ufficiale in Italia. Ci recammo tutti quanti all’ “Aeroporto Intercontinentale di Busto Arsizio”, così era chiamato allora la Malpensa. Quando atterrò l’ “Air Force One” scese questo bellissimo ragazzo dai capelli quasi rossi e dall’aspetto atletico; solo che, invece di venire incontro a noi sindaci, impettiti come pinguini dal Tricolore, lui, con un balzo, sorpassò il cordone di sicurezza e si diresse verso la gente comune, che era lì numerosa ad aspettarlo. Strinse mani e salutò molti.
Successivamente, ritornando alle Autorità, John Kennedy chiese se a Busto Arsizio c’era un posto dove consumare una breve colazione (si riferì a Busto Arsizio per via del nome dell’aeroporto) ed io, che a quell’epoca ero uno dei pochi che masticava un po’ di inglese, gli dissi: Signor Presidente, guardi che Busto Arsizio è distante sette chilometri! Lui disse che andava benissimo, ed allora lo accompagnai in una locanda dalle parti dei Tre Ponti dove mangiammo un panino o poco più. Era un ragazzo molto alla mano e fu molto piacevole parlare con lui».
Nel luglio del 1964 ci fu il “Campo Kennedy”. Sette mesi dopo l’assassinio del popolarissimo presidente USA, il Riparto Ikakaniza impostò il campo estivo sulla figura di John Fitzgerald Kennedy.

Tener fede agli impegni presi

Cari amici ed amiche, benvenuti ancora una volta sulle pagine di “Generazione X”.
Non sono sicuro se la sensazione che provo in questo momento nasca dal principio di raffreddore che mi sento insorgere, dal recente arrivo del caldo al quale non mi sono ancora del tutto abituato o dal semplice rendermi conto che mentre l’anno scout sta finendo, sta anche inesorabilmente per iniziare il periodo degli esami universitari.
La sensazione che provo, molti di voi l’avranno probabilmente intuito, è la stanchezza. Una strana stanchezza dovuta ad un misto di cause mentali ed ambientali che porta solitamente in dote un forte desiderio di abbandonare qualunque cosa si stia facendo e dedicarsi al riposo.
Non sarò certo io a schierarmi, spada tesa, contro l’ozio in generale. Non solo perché chiunque mi conosca anche solo un poco percepirebbe a distanza di chilometri l’ipocrisia, ma anche perché il riposo, nella quantità e nei momenti giusti, ci permette di affrontare con più gioia e meglio concentrati i diversi impegni della giornata.
L’unica vera differenza tra momenti d’ozio positivo e negativo, quindi, sta nel quando prenderseli. Come accennavo poco sopra, il caldo è arrivato e sembra davvero che non abbia intenzione d’andarsene ancora per qualche mese. Questo causa la forte tentazione di dedicarsi, già ad inizio Giugno, alle vacanze.
E perché no?” ci dice il cervello: “Alla TV ci sono già le pubblicità dei gelati, fa così caldo che le vecchiette non mi chiedono più se ho freddo coi calzoni corti e alla radio stanno già iniziando a far sentire continuamente la stessa canzone, ormai è tempo di festa!
Eppure è bene, il nostro bene, che teniamo duro ancora un po’. Se troviamo la cosa difficile, consiglio a tutti di fare un veloce salto indietro ad ormai due settimane fa, quando abbiamo visto intitolare una via della città alle nostre amate Aquile Randagie. Uno dei loro motti, e delle loro più grandi conquiste, era la consapevolezza di essere “Vissuti un giorno più del fascismo”.
Eppure anche loro avranno voluto arrendersi, considerando che spesso affrontavano non il caldo del sole estivo, ma il caldo del piombo bollente delle pallottole.
Viviamo, per fortuna, in tempo di pace. Non ci è richiesto di correre tali pericoli e fare tali sacrifici, ma ci è chiesto quotidianamente di tenere duro e soprattutto fede agli impegni che abbiamo preso.
Sarà solo così che tutti, a cominciare da noi stessi, saremo decisamente più felici. Consci di starci godendo il meritato riposo dopo aver compiuto il nostro dovere.
Trichecho Birbante

Amicizie Vere

Cari lettori, mi trovo, dopo tanti anni a scrivere per il nostro caro TuttoScout. Mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulla partenza che io ho preso il 13 maggio.
Io vorrei parlarvi, in particolare, della mia storia e di come essa mi ha portato a prendere questa decisione. Dato che siamo qui sul Tuttoscout mi pare consono cominciare dal primo (e, da che mi ricordi, l’ultimo) articolo che ho scritto. Conservo ancora l’edizione in cui è stato pubblicato (marzo 2008). Era il mio ultimo anno di lupetti e parlavo di un’uscita, fatta con gli altri CDA, per le vie di Busto. Un’avventura bella, interessante, non la prima e non l’ultima che avrei fatto all’interno dello scoutismo. Fra lupetti e reparto ne ho viste molte e ho incontrato molte persone. Qualcuno è rimasto, qualcuno è andato e non si è più sentito, ma tutti mi hanno lasciato un pezzetto di loro da portare con me lungo la strada della vita. Una strada che mi ha portato lontano dai miei natali; fino a Shanghai, nella lontana Cina. Mi ci sono trasferito dopo il mio terzo anno di reparto. Ho vissuto là per tre anni e le cose viste e vissute sono state molte, ma questa è un’altra storia. Al mio ritorno ho ritrovato, come ho raccontato alla mia partenza, gli amici che avevo qui in Italia, i quali mi hanno fatto sentire come se non fossi mai partito. Ritengo non sia un caso che queste amicizie che sono rimaste siano proprio quelle che si sono formate all’interno degli scout. Le avventure ed esperienze che si vivono all’interno dello scoutismo hanno il potere di formare delle amicizie incredibili e vere che il tempo e la distanza non riescono a scalfire. Queste amicizie mi hanno portato all’interno del clan, dove di amicizie ne sono nate altre, altrettanto belle, altrettanto vere. Insomma, lo scoutismo mi ha dato molto: molte avventure, molto divertimento, molta crescita. Come scritto nella mia lettera della Partenza, vorrei che più persone possibili possano vivere lo scoutismo e sento che per me è giunto il momento di intraprendere un ruolo da protagonista in questa magnifica associazione. Altre avventure mi aspettano e magari qualcuna ve la racconterò, senza far passare nove anni questa volta!

Luca Airaghi
Mangusta Scatenata

Campo Invernale 27-30 dicembre: Sermig- Arsenale Della Pace

Sermig-Arsenale_della_Pace-facciataDopo averne parlato per circa mezzo mese è arrivato il fatidico giorno dell’inizio del campo invernale. Ci dovevamo trovare alla stazione FS di Busto per raggiungere Torino. Il Sermig è nato nel 1964 su idea di Ernesto Olivero che custodiva, come sogno nel cassetto, l’essere utile verso i più poveri. La sede del Sermig di Torino non è l’unica infatti ce ne sono una in Giordania e l’altra in Brasile nella città di Sao Paulo. All’inizio questa organizzazione era composta da poche famiglie oltre a quella di Ernesto e poi via via negli anni è andato allargandosi. Ci ha spiegato Ernesto che ogni giorno essi accolgono qualche migliaio di famiglie che per vari motivi non riescono ad auto sostenersi. Nella seconda guerra mondiale la costruzione era usata come arsenale di armi da partigiani e negli anni ’70 aveva svolto il ruolo di base militare, quindi il suo fondatore ha pensato per dare origine al nome di partire proprio dal passato convertendolo in arsenale della pace. Ci hanno fatto fare molti servizi dal giocare a calcio con i ragazzi del quartiere ad aiutare in cucina o a fare le pulizie. Il secondo giorno nel pomeriggio siamo stati coinvolti in una grande manifestazione per le strade del quartiere che aveva come scopo la sensibilizzazione della gente sul tema della pace. La sera dell’ultimo giorno noi come tutti i gruppi presenti all’arsenale (non erano solo scout) provenienti da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna abbiamo avuto la possibilità di intervistare Ernesto Olivero e preparandoci delle domande abbiamo trascorso una bella serata insieme a lui. Ci ha spiegato che fu chiamato da molti papi tra cui papa Francesco per presentare il suo progetto. Per concludere penso che per fare del mio sogno una realtà ossia rendere il mondo un posto migliore ci sia bisogno di tante persone come Ernesto che dedicano la loro vita al servizio degli altri.
Francesco Natale