La resistenza è la cosa più speciale che puoi avere.
Le Aquile Randagie sono un grande esempio per noi: hanno resistito durante il tempo del fascismo.
Noi Tiko un giorno, senza contare oggi sotto il sole, l’abbiamo fatto: c’erano delle caramelle in mezzo al branco, nessuno ha osato prenderne una! abbiamo resistito!
Lo scout non si può raccontare, ma si deve vivere!
Elisa
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Estote parati: lo scoutismo raccontato con la Freccia Rossa
Intitolazione di via Aquile Randagie – 27 maggio 2017
Una mostra sullo scoutismo con tanta allegria
“Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”
Sebastiano non ci voleva credere ancora: quando la nonna gli aveva promesso una mancia (aveva detto ancora 50.000 lire, alcuni cambiamenti sono duri da metabolizzare…) per svuotare il sottotetto, aveva pensato che non ne valesse proprio la pena. Eppure ora, aveva l’impressione di aver trovato un tesoro!
Lo aveva sentito raccontare che la nonna aveva uno zio che faceva il prete, il prevosto (chissà poi cosa voleva dire “prevosto”…) a Corbetta, ma sembrava talmente una storia di altri tempi che mica ci aveva mai fatto caso. E ora si ritrovava seduto a gambe incrociate, in una soffitta polverosa, a frugare dentro il baule dei suoi ricordi. Tutto catalogato con la precisione metodica che solo gli uomini di altri tempi avevano. Soprattutto erano conservati con moltissima cura dei “Quaderni delle prediche”, suddivisi per tempi liturgici, ognuno scritto con un colore diverso, rigorosamente con pennino e inchiostro: viola, verde, nero, rosso, giallo scuro (mica si può scrivere in bianco.). Non c’erano date: Sebastiano aveva l’impressione che don Cesare avesse scritto quelle omelie una volta per tutte, ed ogni anno tirasse fuori il quaderno giusto al momento giusto, e tac, pronti via! Tanto lui non se ne sarebbe mica accorto da un anno a quell’altro che diceva le stesse cose, durante le prediche di solito si dorme! Quasi per scherzo, tira fuori il quaderno viola della Quaresima, e comincia a sfogliarlo: sorpresa! Pensava di trovare delle parole vecchie, noiose, polverose! Sì ok, erano scritte un po’ in modo antico (il Nostro Beatissimo Padre per parlare del Papa sembrava un tantino esagerato…), ma che idee geniali!
“Vorremmo fare in modo che i ragazzi possano crescere liberi, dando loro l’opportunità di scegliere bene e di scegliere il bene, prendendo sempre più la ferma decisione di seguire il Signore Gesù, fino alla piena realizzazione di sé, in una felicità che dura per sempre.”. Ma davvero un uomo dei primi anni del 1900 diceva una cosa così attuale?
“La Confessione diventa lo strumento più bello per riconoscersi ogni volta «liberi davvero». È diventata una «abitudine» per i nostri ragazzi?”. Eh, pensa che, come diceva la nonna, ai tempi ci andavano tutti a confessarsi, ti ci portavano la mamma e il papà! Sebastiano forse era andato a Natale, ma mica se lo ricordava bene: era andato alla vigilia, ma poi c’era troppa coda e si era stufato di aspettare… non basta l’intenzione, in questi casi?
“Il cammino quaresimale è fatto per chi è libero davvero. Solo chi sceglie e sceglie il bene può fare propri gli impegni di digiuno, preghiera, elemosina. Che cosa proporre ai ragazzi delle diverse fasce d’età perché scelgano di rinunciare a qualcosa per il bene di tutti, di dedicare ogni giorno uno spazio alla preghiera e di vivere la carità facendosi carico per quanto è possibile della povertà e dei poveri?”. Se pensava per sé, Sebastiano a momenti si era accorto adesso che la Quaresima era iniziata, figurati se aveva fatto qualche buon proposito…
“Il Vangelo è davvero la Buona Notizia: le persone incontrate da Gesù sono state liberate dal male, dall’insicurezza, dal peccato e dalla tristezza. È Lui che ha restituito a ciascuno la dignità e la forza di vivere in modo nuovo, ha chiesto di cambiare vita, diventando «protagonista» della propria esistenza. Non smettiamo di comunicare il Vangelo, nella forma semplice del racconto, trovando occasioni per presentare le persone che hanno saputo fare scelte libere e si sono messi «dietro a Gesù» o «hanno creduto» in Lui.” Ma che vangelo abbiamo letto in chiesa domenica, Sebastiano se lo ricordava? Aveva in mente un Cieco Nano, ma non era mica convinto che il don avesse parlato di un uomo di bassa statura che nemmeno ci vedeva…
Sebastiano era uno che si stufava facilmente, ma quei quaderni un po’ puzzolenti di umido lo avevano catturato. In fondo, tra le ultime pagine c’era una foto del “prevosto”: era vestito un po’ in modo strano, ma alla fine aveva una faccia simpatica…
Don Claudio
Un concerto per le Aquile Randagie, gli scout ribelli al fascismo
La giornata del ragazzaccio
Agosto 1951. In Austria, nella località di Bad Ischl, si tiene il settimo Jamboree mondiale (il secondo dopo la morte di B.-P.). L’organizzazione ha indetto una gara di costruzioni con tecniche scout: ogni contingente dovrà costruire un ponte sul fiume che attraversa la zona del campo. Sono più di cinquanta le nazioni rappresentate. Nel contingente italiano, uno sparuto gruppo di esploratori dà lustro all’intera brigata marciando accompagnato dal suono delle zampogne: sono i ragazzi del Milano II, guidati dal loro capo il cui nome è già leggenda nel panorama dello scoutismo cattolico italiano ed internazionale. Malgrado il curriculum di tutto rispetto, il “Bad Boy” milanese (così era stato soprannominato dal colonnello Wilson, successore di B.-P. alla guida del Movimento scout, per la tenace resistenza al fascismo dimostrata in oltre 17 anni di attività scout clandestina) non è coinvolto nella progettazione del ponte italiano. Ma stare con le mani in tasca mentre altri lavorano, non appartiene allo stile scout: anche i milanesi, allora, si danno da fare per la costruzione di un altro ponte fuori concorso. Taglia, incastra, tira, annoda e il ponte del Milano II è concluso entro i termini e si aggiudica la vittoria, quello “ufficiale” italiano, invece, risulta ancora incompleto allo scadere della gara. Sarà comunque una vittoria dell’intero contingente.
Occorreva partire da qui, per raccontare la figura di Giulio Cesare Uccellini, alias Kelly, alias Tigre, capo indiscusso delle Aquile Randagie durante il periodo della Giungla Silente. L’episodio mi è stato raccontato in anteprima la mattina di domenica 12 marzo presso la “Casa Scout” di Milano da Giulio Maria Chiodi, uno dei “ragazzi di Kelly”, presente naturalmente al Jamboree del 1951. Mi è apparso di fronte con una divisa da far invidia a chiunque: dal capellone ai calzettoni, tutto perfetto. “Kelly avrebbe voluto così”, mi confida. La giornata è tutta dedicata al grande capo: alzabandiera, S. Messa presso la cappella S. Giorgio e tavola rotonda per la presentazione della biografia del “ragazzaccio” dello Scautismo italiano. L’occasione per la felice giornata, che ha visto riuniti scout di ogni generazione, è data dalla traslazione della salma di Kelly dal cimitero monumentale di Milano alla cappella di via Burigozzo dove, per volontà della famiglia, riposerà insieme all’amico mons. Andrea Ghetti – Baden. L’impresa è magnificamente riuscita grazie all’operoso e instancabile impegno dei fratelli dell’Ente e Fondazione Baden (“Fondente” per gli amici) che hanno speso molte energie in questo progetto.
Al solito, non è mia intenzione fare un resoconto giornalistico dell’incontro. Piuttosto vorrei condividere qualche pensiero che, spontaneamente, si è fatto largo nel brulicare delle emozioni. Ecco il primo, che è una domanda: perché ricordare? Il puzzo della retorica già si insinua nelle narici: il tema del ricordo è assai inflazionato e nessuno vuole correre il rischio di passare per nostalgico. Peggio: vecchio nostalgico. Peggio ancora, nel mio caso: giovane e già vecchio nostalgico.
Lungi da me: non ci serve a nulla ricordare Kelly, se questo sforzo di memoria non ha risvolti immediati sul modo in cui, visto il personaggio, intendiamo il servizio nel movimento scout o, meglio ancora, l’essere scout, più semplicemente. Bisogna partire da cose concrete; l’attenzione all’uniforme (che non è vezzo paramiltare, ma educazione all’ordine: soprattutto all’ordine interiore, del quale l’uniforme perfetta non è che un segno), la fede viva (che sostiene tutte le attività, non è ridotta “al momento fede”, pur sempre necessario), la competenza nelle tecniche scout (senza le quali non si può fare vita rude all’aria aperta).
Il secondo è un pensiero di stupore: quei ragazzi alle soglie degli 80 anni, fieri nello splendore delle consunte divise Asci, mi hanno riportato alla mente l’esigenza che grandi ideali debbano necessariamente passare attraverso piccoli uomini, quali siamo noi. Gli esploratori di Kelly erano presenti per il loro capo, non per l’ideale. Ma il loro capo era l’ideale, lo aveva incarnato. Risulta, infatti, più facile essere fedeli ad una persona, che non ad una parola o ad un concetto. Kelly, evidentemente, lo aveva capito ed è per questo che si faceva sempre prossimo ai ragazzi (in un episodio de L’inverno e il rosaio, libro che racconta le avventure delle Aquile Randagie al tempo del fascismo, è descritta la storia di Lucianino, giovane esploratore ammalatosi gravemente e poi defunto al quale Kelly, durante la malattia, non fece mai mancare il suo affetto, con visite quotidiane e piccoli regali).
Al termine del “Kelly Day”, in una Milano dove il sole inizia a tramontare gettando una luce diversa che sa di primavera, sulle note dell’inno nazionale cantato all’ammainabandiera, una sola parola rimane: tradizione. Che non vuol dire adorare le ceneri, bensì, come diceva Gustav Mahler, custodire il fuoco.
Carlo Maria
Hanno lasciato una traccia: Giulio Cesare Uccellini
Pare giusto cogliere l’occasione del Kelly Day raccontato su questo numero per parlarvi di Giulio Cesare “Kelly” Uccellini, nome totem “Tigre”, il “Bad Boy” che aiutò a tenere viva la fiamma dello scoutismo in Italia (insieme a tanti altri) durante il buio periodo fascista.
Nacque a Milano l’11 marzo 1904 e, contro il volere del padre, entrò nell’ASCI Milano 2 nel 1917.
Il suo senso civico, la profonda fede religiosa e l’amore per lo scoutismo lo spinsero a rinunciare alla carriera professionale nella Banca d’Italia e alla creazione di una famiglia per dedicare la sua vita allo scautismo e ai suoi ragazzi. Il suo impegno continuò anche dopo il 1928, quando le Leggi Fascistissime dichiararono illegale il movimento scout.
Quando nel 1927 fu imposto all’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani, che insieme all’Associazione Guide Italiane diede poi vita alla nostra AGESCI) di apporre sulle proprie insegne lo stemma dell’Opera Nazionale Balilla, Uccellini si rifiutò, e di nuovo rifiutò di consegnare le insegne quando nel 1928 lo scautismo venne definitivamente soppresso.
Uccellini non accettò la fine dello scautismo, e con alcuni ragazzi continuò a mantenere vivo clandestinamente il suo gruppo, al quale diede il nome di “Aquile randagie”. Continuò a portare avanti le sue idee di libertà e non-violenza, proponendo ai ragazzi un modello di capo gioioso e coraggioso, capace di continuare nel suo impegno anche dopo che la polizia fascista lo aveva picchiato fino a procuragli dei seri danni all’udito.
Il suo gruppo, che nel frattempo aveva accolto anche nuovi ragazzi e scout appartenenti agli altri gruppi ormai disciolti, seguitò le attività di nascosto, con campi estivi annuali e partecipando anche ai jamboree mondiali. A quello di Vogelenzang (Paesi Bassi), il 9 agosto 1937 Uccellini incontrò B.P. in persona, il quale rimase colpito dalla storia delle Aquile randagie ed esortò Kelly a proseguire nella sua impresa.
Durante la seconda guerra mondiale, e specialmente in seguito all’8 settembre 1943, Uccellini, insieme agli altri capi delle Aquile randagie, cercò dei modi per aiutare le persone ricercate dai fascisti. Partecipo’quindi alla nascita di O.S.C.A.R. (Organizzazione scautistica cattolica di aiuto ai ricercati). Come membro di questa organizzazione partecipo’all’espatrio in Svizzera di 75 prigionieri africani evasi, anche se l’azione più eclatante forse fu la liberazione di un bambino ebreo dall’ospedale in cui era tenuto prigioniero dei tedeschi in attesa di essere inviato a un campo di sterminio.
Kelly morì il 23 marzo 1957 a 53 anni per un tumore allo stomaco. Lasciò scritto di essere sepolto in uniforme, con al cuore il giglio scout e al collo il fazzolettone di Gilwell (che distingue i capi in tutto il mondo), a testimonianza del suo attaccamento a un movimento al quale aveva dedicato la sua vita.
In quello stesso anno gli viene conferita alla memoria la medaglia d’oro della provincia di Milano per il merito educativo.
Enrico Gussoni
Festeggiamo come se fosse il 1899
Buongiorno a tutti, gentil signori e gentil signorine e bentornati ancora una volta sulle nostre pagine di “Generazione Perduta”.
Con la Grande Guerra che da ormai due anni infiamma i nostri confini e rivoluziona la nostra industria metallurgica può sembrare difficile trovare spazio per diffondere notizie di gioia, ma per questo numero la nostra spumeggiante redazione ha voluto fare i salti mortali e ve ne ha trovate addirittura due:
La prima, che in realtà al momento si configura più come una voce di corridoio, è che le nostre coraggiose truppe stiano preparando un’azione militare che riuscirà finalmente a spennare la biteste aquila asburgica ed assicurarci la vittoria del conflitto!
Al momento nulla ancora si sa dell’attacco, se non che probabilmente avverrà verso fine anno dalle parti di Caporetto.
L’altra notizia riguarda invece la nascita di una nuova associazione all’interno del nostro abitato di Busto Arsizio: Sono infatti arrivati gli Scout dell’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani)!
Questa anglosassone associazione (nata dalla fervida mente del Tenente generale Robert Baden-Powell) ha sulle sue spalle appena dieci anni di vita ma ben più numerosi kilometri, con gruppi scout già attivi in tutto il Commonwealth, nonché in diverse nazioni del Sudamerica, d’Europa e da quasi sette anni anche nella nostra bella penisola.
Al momento il primo gruppo scout che è venuto a formarsi nella nostra industriosa città dalle cento ciminiere è piccolo, ma determinato a “lasciare la città meglio di come l’hanno trovata” o almeno così hanno detto a noi. Non sappiamo ancora quale sarà il destino di questi giovani dai calzoni corti e del loro gruppo, se riusciranno a mantenere la promessa che ci hanno fatto, se riusciranno a conquistare i cuori degli abitanti di questa città, ingrandirsi e magari arrivare addirittura a festeggiare il loro personalissimo decimo anniversario come quest’anno lo festeggia l’associazione di cui fanno parte.
Ma di una cosa siamo sicuri: Questi ragazzi, con il loro buonumore, la loro uniforme pulita ed i loro giochi vivaci, sono riusciti a donarci una gioia che ci fa ben sperare per il futuro loro, e di questa città.
Da parte della nostra redazione non possiamo che fare loro i più affettuosi auguri, e sperare che non prendano freddo con quei pantaloni così corti!
Filippo Mairani
La strada della Partenza
Salve a tutti. Un mese fa ho preso la partenza e ora sono qui per dirvi che è andato tutto benissimo: bello il bivacco, bella la condivisione ed il mio momento mi sembra che sia uscito bene. Ma non è questo che voglio raccontarvi, in realtà. Voglio dire a tutti quanti perché e come mi sono deciso a fare questa scelta e, dal momento che ho già scritto una fantastica lettera per il mio clan, per semplificarmi la vita non farò altro che riportarne alcune parti. Ecco qua.
«Eccomi giunto al dubbioso passo, al tremendo interrogativo amletico di ogni partente: “Come cominciare la lettera della partenza?”. Prendiamo come inizio proprio questa parola: partenza. Il termine deriva dal latino PARTIRE che dall’originario senso di “spartirsi, dividere” passa nel volgare col significato di “separarsi da qualcuno e abbandonare qualcosa”. E la partenza è proprio questo: lasciare qualcosa che si è sicuri di possedere per qualcosa che si è incerti di raggiungere. Io lascio qualcosa, anzi, lascio qualcuno. Lascio un clan finalmente ricostituito e che cresce ogni giorno di più. Lascio un mondo, quello scout, che non è stato solo parte della mia vita, ma è stato la mia vita. Prima di cinque anni non mi ricordo nulla e tutti gli avvenimenti successivi sono misurati in anni-scout (primo anno di lupetti, terzo di clan e così via). La malinconia per questo distacco e la nostalgia per questi anni vissuti insieme ci sono e sono inevitabili; ma una volta fatta una scelta bisogna camminare dentro a questi sentimenti e uscirne fuori. Bisogna prendere una decisione, cioè DE-CAEDERE, tagliar via, prendere una strada e scartare l’altra. E questa è la scelta; non è una cosa facile, anche perché nella vita, in realtà, non ci troviamo quasi mai di fronte a un bivio, cioè un punto del nostro cammino in cui possiamo scegliere tra due strade (destra e sinistra, giusto e sbagliato, rosso e nero e così via). Possiamo parlarne in astratto forse, ma nella vita quotidiana, nella nostra esistenza particolare abbiamo davanti a noi solo ROTONDE. Sì: delle grandi e gigantesche rotonde che possono avere un numero di uscite variabile da un minimo di due a un massimo di x tendente a infinito. Certo, capisco che usare una rotonda come simbolo della scelta al posto della forcola potrebbe sembrare un po’ bizzarro. Ma credo sia così. Le scelte che ci tocca compiere (da CUM-PLERE, riempire completamente, quindi finire, portare a termine) ogni giorno non sono tra 2 cose, ma tra tante. Tutto questo può risultare sconfortante e irreparabile, ma c’è sempre una soluzione: quella di avere dei punti fermi e stabili. È fondamentale conoscere chi si è (γνωθι σεαυτόν) e sapere dove si vuole andare (τί δράσω). Altrimenti il nostro fiume rischia di perdersi in una palude.
Io so di essere un uomo che crede nei valori che lo scoutismo gli ha insegnato.
Io so che, uscendo dall’associazione, voglio portare questi valori nel mondo. Voglio impegnarmi concretamente per gli altri come ho imparato a fare in questi anni di servizio; per questo ho già preso i contatti con l’associazione “libera”, ho già partecipato ad alcuni incontri e vorrei intensificare ancora di più il mio impegno. Ho provato cosa sia il non-servizio in questi sei mesi e ho capito che la mia vita non vale nulla se non è spesa per gli altri.
Queste sono le sicurezze che ho: cosa lascio, chi sono e dove voglio andare. Sono convinto che con queste certezze riuscirò ad affrontare e superare ogni rotonda della mia vita.»
Questo è quanto. Auguro a tutti una buona strada anche quando il cielo non sarà sereno.
Moscardino sagace
detto Carlo