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L’attività digitale

BRANCO ALBERO DEL DHAK

L’isolamento causato dal Covid e la soluzione trovata dai capi

All’inizio del 2020 l’emergenza da COVID-19 ci ha costretti ognuno nella propria casa.
Il virus ha portato morte e paura.
Io ero preoccupato che qualche persona a me cara si ammalasse e questo mi ha spinto a mantenere le norme di sicurezza per proteggerle.
È anche una parte della nostra Legge del Branco: “Il lupetto pensa agli altri come a sé stesso”.
Ho intervistato telefonicamente un lupetto per ogni anno per raccogliere informazioni su come è stato vissuto il periodo di isolamento.
Dei quattro lupetti intervistati la metà si sono sentiti sereni nonostante l’isolamento in casa, uno si è sentito annoiato per la mancanza di movimento ed un altro preoccupato. Tre su quattro hanno sofferto la solitudine perché non potevano più giocare con i propri amici. La solitudine vissuta ha permesso di conoscersi meglio alla metà dei lupetti. Anch’io ho sofferto la solitudine soprattutto per la mancanza di amici, poi per la mancanza di sport e movimento e di poter decidere a mio piacere quando uscire. La solitudine, però, mi ha permesso di passare più tempo con me stesso.
In questo tempo ho riflettuto e ho pregato.

Sono stato felice quando i Capi hanno annunciato che avremmo fatto attività a distanza tramite zoom.
L’attività digitale proposta dai Capi mi è piaciuta e sono riuscito a seguirla bene anche attraverso lo schermo. Dal vivo ci si diverte di più, ma dato che non era possibile, apprezzo molto l’impegno per non interrompere il nostro percorso e farci sentire così di poter andare avanti… nonostante tutto!
Concordano con me tre lupetti. Ad un lupetto, invece, non è piaciuta l’attività per il tempo passato davanti allo schermo. Lo stesso lupetto però, insieme ad altri due riconosce di aver imparato a divertirsi insieme anche a distanza.
Dall’attività ho imparato che anche se sei in una situazione difficile non devi arrenderti o disperarti ma trovare una soluzione. C’è sempre una soluzione ad un problema ma per trovarla bisogna sforzarsi e i Capi, come sempre, l’hanno trovata.
Cosa dovremmo fare, quindi, per uscire da questa difficile situazione?
Non dobbiamo aspettare che qualcuno risolva i nostri problemi, ma cominciare noi di nostra iniziativa a trovare soluzioni.
Secondo me dobbiamo imparare a non pensare solo a noi stessi ma anche a quello che noi possiamo fare per gli altri, per i fratellini e le sorelline, per i compagni di classe, per la nostra famiglia. Pensare di appartenere ad un unico gruppo, “pensare agli altri come a noi stessi” perché come dice il Papa “peggio di questa pandemia c’è solo il dramma di sprecarla” e noi non lo vogliamo.

Pietro Spoletini

22 febbraio 2021 – Giornata del Pensiero

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Messaggio della Capo Guida e del Capo Scout d’Italia

Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
(2Cor 4, 7-10)

Carissime e carissimi coccinelle e lupetti, guide e esploratori, scolte e rover, capo e capi, genitori e famiglie delle guide e degli scout,
in questo ultimo anno è stato un po’ triste vedere il mondo meno colorato dalle uniformi scout. Nelle città, nei boschi e sulle montagne, al mare e nelle campagne. Ma dove eravamo finiti tutti? Dispersi dalla tempesta? Smarriti e confusi dalle dure prove? Assolutamente no! Tutte le guide e gli scouts sono stati impegnati nel tenere accesa e viva la fiammella delle loro lanterne. Con sacrificio, con passione, con generosità, con creatività e fantasia. Come nel tempo eroico della “Giungla silente”, tesi nello sforzo di resistere “un giorno in più”!
Dal più profondo del cuore: GRAZIE!

Il nostro primo e più grande ringraziamento va a voi tutti, coccinelle e lupetti, guide e esploratori, rover e scolte. Senza i vostri “eccomi!”, “del nostro meglio!”, “estote parati!”, “servire!”, non sarebbe stato possibile continuare a vivere il nostro entusiasmante Grande Gioco. Se lo scautismo continuerà a percorrere la sua pista, il suo sentiero e la sua strada per rendere il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, lo dovremo soprattutto a voi.
Ringraziamo di cuore tutte le capo e tutti i capi, per aver tenuta viva, con audacia e creatività, la relazione educativa con i ragazzi, per non aver mollato mai lo sguardo su di loro, per aver vissuto lo scouting, nella sua essenza e profondità, per aver testimoniato la bellezza del mettersi a servizio degli altri secondo le scelte delle Comunità capi e le possibilità consentite nei diversi territori. Fare l’educatore è oggi stare nell’Esodo, essere profeti e sentinelle, accogliere, dare senso, camminare insieme, cercare segni di futuro e speranza insieme alla Comunità! È questo a cui siamo chiamati oggi: a testimoniare il coraggio della presenza e della speranza, nonostante tutto! Oggi il capo educatore ha proprio il ruolo di “garante della speranza”, con la consapevolezza che “siamo in una notte che già contiene l’albore del giorno”.
Quali sono le sfide che ci stanno davanti? Come Associazione siamo chiamati oggi a fare “resistenza educativa”:
- essere accanto alle ragazze e ai ragazzi, rimettendo al centro la relazione educativa, ciò che, più di ogni altra cosa, ci rende “una parte preziosa della società italiana”;
- difendere la socialità delle nostre bambine e dei nostri bambini, delle ragazze e dei ragazzi, da tutto ciò che la ostacola e ritornando ad offrire esperienze di vita all’aperto;
- affermare il valore e la forza rivoluzionaria dell’educazione, unica realtà che può produrre cambiamenti, in un tempo generativo come quello che stiamo vivendo;
- assumersi la responsabilità della cura e della custodia di ognuno e soprattutto di coloro che sono più fragili e più deboli, nella fedeltà al mandato di “Fratelli tutti”;
- costruire coesione sociale, cercando tutte le opportunità possibili, insieme agli altri;
- annunciare che l’amore non è una proposta, ma è un mandato; non è una strada possibile, ma è l’unica Via (dal documento “Chiamati ad annunciare” del Consiglio generale 2020).

Cerchiamo di testimoniare, tutti insieme, che ci siamo e che siamo sempre pronti a servire il nostro Paese. Sentiamoci sempre uniti e sostenuti da tutti gli altri: sarà più facile affrontare le sfide che ci stanno davanti.

Buon volo, buona caccia e buona strada!
Daniela Ferrara
La Capo Guida d’Italia
Fabrizio Coccetti
Il Capo Scout d’Italia

Buona Strada Don Claudio!

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Caro Don Claudio, ufficialmente questo sarà il nostro saluto per te! Ci siamo già salutati di persona con la Comunità Capi e il Clan durante l’ultima messa che hai celebrato a Sacconago. Dopo qualche anno ci salutiamo, a malincuore, ma consapevoli che come per noi e per la tua parrocchia sarai una colonna portante anche per la nuova realtà che ti è stata affidata. Ci hai accompagnato in questo percorso per anni ed è giunto il momento di ringraziarti di cuore da parte di tutti noi.
Sei entrato in questo mondo quasi sconosciuto (anche se la tua indole era già scout dentro) con molta voglia di scoprire, di conoscere, di portare un po’ di te e della Fede in noi. Fin da subito ti sei tuffato di testa senza pensare se avessi potuto farti male. Hai dato tutto te stesso: la voglia, il tempo, l’inchiostro della stampante, la tua gioia. Noi speriamo che questa tua avventura iniziata con noi, che speriamo tu decida di proseguire con altri gruppi, ti abbia lasciato anche solo una minima parte di tutto quello che tu hai lasciato a noi. Ci hai insegnato a volerci bene, ad essere fratelli, a condividere ma soprattutto ci hai reso dei Cristiani migliori. Ti ringraziamo davvero tanto per questo dono che ci hai fatto con la tua presenza e il tuo servizio, per l’esempio che in questi anni sei stato per noi. Sappi che comunque vada un posto per te nel nostro gruppo ci sarà sempre.
Grazie davvero di cuore.

Preghiera per quando ci stanchiamo degli altri

Signore, come mi stancano tutti. Come mi stancano quelli che mi hai dato per fratelli!
I miei fratelli… Non sono sempre divertenti. E poi, sono tutti diversi. Questa è la cosa più dura. Diversi, tutti diversi; e ciascuno mi impone qualcosa di particolare, qualcosa di singolare che mi turba, mi disorienta, o mi urta.
Ciascuno di loro mi impone qualcosa.
E non è facile ammettere che gli altri siano fatti in modo diverso.
Ciascuno di loro mi impone qualcosa da capire. Non ne ho sempre voglia, Signore. È faticoso.
Ciascuno di loro mi impone qualcosa da amare, da fare entrare in me tale e quale. Anche se trovo questo penoso, fastidioso, assurdo.
Quanto è faticoso, Signore, amare i propri fratelli! Ho tanto desiderio, a volte, di chiudermi nel cerchio intimo di un piccolo gruppo di amici, che comprendo immediatamente, che conosco così bene, la cui presenza ha sempre lo stesso calore di simpatia, la stessa pace rassicurante, stavo per dire confortevole.
Ma tutti gli altri, Signore, quanto mi costa accoglierli!
Signore, fa’ che io non chiuda mai il mio cuore agli altri. Fa’ che io non dica mai: “Non vi capisco”, prima di ritornare in pace al mio regno ben ordinato, dove non c’è posto per loro.
Fa’ che non appunti mai su nessuno un’etichetta da museo, una scheda di informazioni: “Costui è questo, o quello”. Signore, aiutami a non classificare mai i miei fratelli.
Aiutami piuttosto a saper ritrovare sul volto di ognuno di loro i lineamenti cancellati del fanciollo che egli era un tempo.
Allora, soltanto allora, Signore, io “comprenderò”.

(L. Jerphagnon)

Speranza post-apocalittica

21GENERAZIONE X

Buongiorno cari amici ed amiche e bentornati ancora una volta sulle pagine di Generazione X.
All’inizio, pensavamo che quella sarebbe stata una giornata di febbraio come tante altre. Un inverno ormai sempre più mite ci permetteva di muoverci liberamente per le strade senza preoccuparci troppo del nostro vestiario, al punto che la nostra più grande preoccupazione era impedire che i ragazzi si perdessero, o che evitassero di ferirsi mentre raccoglievamo l’immondizia lasciata lungo la strada. Ma il destino continuava a tessere la sua tela e, mentre ci dissetavamo passandoci l’un l’altro un unico bottiglione di Coca-Cola offertoci dal ristorante di fianco, gesto che non pensavamo sarebbe presto diventato un lusso, arrivò: non con l’assordante suono di sirene d’emergenza o col rombo di eventuali aereoplani nemici ma attraverso le brevi esplosioni dei suoni sintetici dei cellulari, messaggi da parte delle istituzioni, ma molto più spesso di amici e parenti, che ci avvisavano di come la quarantena fosse iniziata.
Tutti a casa, porte chiuse e finestre ben pulite perché, per molti, il mondo lo si sarebbe potuto vedere solo attraverso quel vetro, o quello delle televisioni, per un tempo ancora non meglio definito.
Questo testo (da leggere con in sottofondo la colonna sonora principale di Terminator) è una narrazione volutamente esagerata, che però aiuta a rispecchiare come mi sono sentito, quel fatidico 23 febbraio, quando la Lombardia subiva per prima quelle necessarie misure di contenimento che presto sarebbero state estese a tutto il paese, ed in particolare credo che tutti abbiano avuto un momento come il mio quando, mentre mi mettevo uno scarpone pronto a tornarmene a casa prima del previsto e riflettevo su cosa avrei fatto il giorno dopo, mi sono reso conto che tutti i miei impegni futuri erano inevitabilmente saltati, cancellati o messi in dubbio da un futuro che appariva di un’incertezza così profonda da essere avvolgente e così imperscrutabile da suscitare sentimenti di tranquillità e rassegnazione, piuttosto che di paura.
Altra prova dell’universalità delle mie sensazioni è come da qualche mese per definire quegli impegni che ormai sono solo un ricordo, dico che dovevano accadere ma “poi è finito il mondo”. “Avevo appena comprato una bella camicia nuova per gli scout… ma poi è finito il mondo”, “Sarei dovuto andare alla fiera del fumetto ma è finito il mondo”. All’inizio era una sciocca frase che usavo per rendere il mio vocabolario più interessante, ma la cosa che davvero mi ha stupito, e che ha reso questa frase parte del mio vocabolario comune è che le altre persone spesso capivano, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, esattamente di quale periodo stessi parlando.
E questo, in realtà, un po’ mi rallegra e mi dà speranza. Quando si parla di post-apocalittico vengono in mente le immagini del videogioco di Fallout, e dei film di Mad Max o di Ken il guerriero, ma la verità è che un periodo post-apocalittico l’umanità l’ha già vissuto: era il medioevo e, benché nessuno vorrebbe augurarsi di vivere nel medioevo, è stato comunque un periodo in cui la popolazione europea è riuscita a sopravvivere nonostante le immense difficoltà, ed è stata un’epoca che si è rivelata fondamentale per gettare le basi delle nazioni moderne prima di finire: anch’essa con la sua piccola apocalisse della peste del ’1300-’1400 che, e non è un caso, coincide con l’inizio del rinascimento.
Non lo so se ci troviamo davanti ad un nuovo medioevo o ad un nuovo rinascimento, e la verità è che nessuno può saperlo, ma quello che so è che, comunque nel rispetto di tutte le normative, possiamo finalmente tornare a muoverci e ad incontrarci, a celebrare le nostre tradizioni scout e a condividere noi stessi col mondo. Insomma, siamo persone diverse di quelle che eravamo il 22 febbraio, e, credo, migliori. Ora siamo consapevoli di quanto difficile sia rimettere in sesto il clima del nostro pianeta che noi stessi abbiamo danneggiato, considerando che mesi di isolamento e stop alle macchine hanno appena scalfito il livello di inquinamento prodotto dalle fabbriche. Adesso siamo anche più consapevoli di quanto tutti quei lavori che definiamo “umili”, siano in realtà essenziali per il funzionamento della nostra società e meritevoli, di conseguenza, di rispetto e di diritti migliori. Siamo più consapevoli di quanto alcuni propagandisti siano disposti a giocare con la stessa vita umana solo per ottenere consensi e, spero, siamo ora anche meglio capaci di empatizzare col prossimo, ora che sappiamo cosa vuol dire vivere un’esperienza quasi traumatica.
Spero che siamo, come ho detto prima, persone migliori, e sono queste le persone che, credo, riusciranno a lasciare il mondo un po’ migliore di come lo hanno trovato.
Io cercherò di fare altrettanto, non deludetemi.

Tricheco Birbante

Una questione di scelte consapevoli

CLAN KYPSELE

Finalmente eccoci ritornati! È stato un lungo e difficile momento per tutti, ma ora siamo qui, più forti e decisi di prima a continuare la nostra avventura scout; e parlo per tutti: dai più piccoli ai più grandi.
Quanto è bello uscire di casa, entrare in sede e rivedere dopo tanto tempo questi volti familiari, che riconosciamo nonostante la mascherina? Quanto vi è mancato venire agli scout, fare attività e stare insieme? A me tantissimo. La prima volta che ci siamo trovati dal vivo dopo tutto questo tempo non potevo quasi crederci: ero contentissima. Figurarsi quando abbiamo deciso di fare la route! Ma di questo vi parlerò più tardi.
Adesso concentriamoci su qualcos’altro, qualcosa che ci ha sicuramente cambiati, si spera in meglio ovviamente: la quarantena. Altro che 40 giorni, questi sono stati 4 mesi davvero davvero strani, soprattutto per chi era abituato ad uscire giornalmente. Non penso che in molti siano stati felici di vedersi chiusi in casa senza poter andare al parco o dagli amici, addirittura senza poter andare a scuola, al lavoro o agli scout. Insomma, è stato un periodo di lontananza, ed anche sono sicura che non mancava pensare ai propri amici, soprattutto quando abbiamo tutti, o quasi, un telefono per chiamare e parlare come se fossimo vicino per davvero, penso non sia difficile rendersi conto che non è la stessa cosa del vedersi dal vivo, del battersi un 5 o dell’abbracciarsi, perché in questo periodo ci è proprio mancato il contatto fisico.
Se la quarantena mi è stata utile in qualche modo è proprio questo: mi ha fatto capire l’importanza dei piccoli gesti, di un sorriso, di un abbraccio, del tenersi la mano, del stare vicini anche se non si fa nulla… del dirsi queste parole che ormai si danno quasi per scontato, quali “Ti voglio bene.”, “Mi manchi.”, oppure anche solo un “Come stai?” ma chiesto col cuore e per puro interesse, non perché non si ha altro da fare, non per aspettarsi un semplice “Bene grazie, tu?”, ma per sapere davvero cosa prova l’altro.
Penso il lockdown sia stato tra i peggiori periodi che abbiamo mai vissuto. Certo, c’è chi l’ha passato meglio di altri, ma voglio farvi riflettere su una frase che ha detto il mio prof di italiano al rientro. “Ragazzi, per uno Stato chiudere le scuole è un grave segno di crisi: per dirvi, sono rimaste aperte anche durante la seconda guerra mondiale!”.
Ecco, questa frase, che magari a qualcuno non cambierà la vita, a me personalmente ha offerto uno spunto di riflessione. È come se la nostra quarantena fosse paragonata ad una battaglia, e forse lo è stata, in certo senso. Voglio dire, per fortuna non abbiamo usato armi, scavato trincee o combattuto fisicamente, però abbiamo lottato con tutte le nostre forze contro un nemico comune, anche se invisibile e stiamo facendo del nostro meglio per rispettare le norme di sicurezza che ci hanno comunicato, in modo da poter tornare il prima possibile alla normalità, anche se, ammettiamolo, sarà un po’ difficile.
Il virus è piombato tra di noi senza che ce l’aspettassimo, ci ha fatto soffrire ed ha ucciso molte persone, non ha fatto distinzioni: ha colpito e basta. Per questo è importante rispettare quelle poche regole che abbiamo: bisogna imparare ad essere responsabili degli altri e di noi stessi.
Ci ha fatto stare chiusi in casa, un po’ come i medievali nei castelli durante le guerre, non ci ha permesso di uscire e vedere i nostri amici e nemmeno il resto della nostra famiglia, ed in un certo senso ci ha lanciato una sfida, che noi abbiamo accettato e, tra alti e bassi, stiamo vincendo. Ci ha chiesto “Ce la farete?” e noi, sin dall’inizio, abbiamo gridato a piena voce, abbiamo scritto sui cartelloni, ed abbiamo riempito i social, abbiamo risposto di sì, “Ce la faremo!”. E, piano piano, ce la stiamo facendo davvero. Non erano solo parole buttate al vento, bensì una promessa a noi stessi.
A proposito di promesse: mi piacerebbe anche ricordarvi la nostra, perché a tal proposito il vecchio e caro BP ci ha lasciato delle belle parole: “Spirito scout è ricerca, voglia di cooperare con gli altri, desiderio di progettare e costruire, impegno per risolvere i problemi. È andare a vedere cosa c’è oltre l’orizzonte, verificare il senso delle cose, rendersi utili agli altri, entusiasmo e intraprendenza per “lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato”. È sfidare se stessi per divenire persone responsabili, attive, competenti, autonome. È stile di vivere secondo i valori della Legge e della Promessa.
Queste parole mi hanno fatta un po’ pensare anche al momento che stiamo vivendo, perché è proprio vero che scout lo si è sempre. Noi ci stiamo impegnando, stiamo facendo del nostro meglio e stiamo costruendo il nostro futuro attraverso tutto ciò che sta succedendo. Stiamo trasformando la nostra vita e cerchiamo di rendere il mondo un posto migliore. Per esempio: quante volte capita che qualcuno, a volte anche voi stessi, abbia richiamato un amico perché non aveva la mascherina in un posto dove è obbligatoria? Quante volte, se mentre entrate in un negozio e si dimenticano di misurarvi la temperatura, lo ricordate? Quante volte rispettate le norme anche se non sempre è semplice? E sapete perché siete portati a rispettare queste regole? Perché essere scout significa essere obbedienti, rispettosi e onesti. E, per quanto difficile, cercate di essere positivi e di attraversare ogni momento con il sorriso, perché lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà.
A proposito di queste ultime volevo raccontarvi come noi (noviziato e clan) ne abbiamo attraversata una bell’e grossa, ma che non ci ha abbattuti. Penso che pochi oltre a noi abbiano fatto il campo estivo e, credetemi se vi dico che organizzarlo e viverlo non è stato facilissimo, soprattutto dopo questo lockdown chiusi in casa. Ma sapete cosa? Noi abbiamo voluto provarci, e ci siamo riusciti. Abbiamo cercato di mantenere le distanze, tenere la mascherina, igienizzarci le mani spesso, ognuno aveva la sua tenda, il suo cibo, il suo fornellino… Non è stato semplice, però non ci siamo arresi, abbiamo lottato fino all’ultimo e siamo sopravvissuti lo stesso.
Mi ricordo che la prima volta che ho pensato alla route è stata in reparto, al mio primo anno, cercavo di immaginare come sarebbe stata, dove saremmo andati, cosa avremmo fatto… ma alla fine, diciamolo, avevo sempre un po’ di paura e tornavo a concentrarmi su altro. Ma questo anno no, non potevo scappare, era l’occasione che aspettavo da tanto e non volevo dire no proprio ora.
Ho passato le settimane prima a pensare a quei fatidici giorni, avevo ansia, ero nervosa, ma allo stesso tempo non vedevo l’ora: ero anche entusiasta! Ho comprato la tenda, il fornellino, ho preparato il menù ed infine lo zaino. Mi sono ripetuta tantissime parole, tutte d’incoraggiamento. La sera prima ho fissato la sveglia, ho dato un’occhiata rapida a tutto e sono andata a dormire, pronta per quest’avventura. Ma non poteva di certo andare tutto liscio come l’olio. Alla mattina della partenza mi era salita un’ansia tremenda, ero spaventata dall’idea di partire, di andare in route. Ho provato ad alzare lo zaino ma non ce l’ho fatta, ero ancora più disperata. Ma piangere non serve a nulla, così ho preso il telefono ed ho scritto a Klaudia, una mia amica, e le ho detto che non riuscivo ad alzare lo zaino, che pesava sui 20 chili, che avevo paura di non farcela… ed ecco la mia ancora di salvezza, il motivo per cui alla fine mi sono fatta coraggio. Non penso sia semplice spiegarvi cosa si prova quando si ha paura di non farcela, di non essere all’altezza di qualcosa, è una sensazione che per capirla va provata e, sinceramente, spero non vi capiti perché è davvero brutto. Ma la cosa bella di tutto ciò è quando trovi una persona che riesce a starti vicino ed a trasmetterti il coraggio di cui avevi bisogno, che ti dice “Non preoccuparti, io ci sono.” e poi c’è sul serio.
Quando le ho detto che avevo paura e le ho spiegato ciò che pensavo, lei mi ha risposto così: “Ti posso capire. Ma ce la farai, be positive! Nel caso stai davanti a tutti e teniamo il tuo passo, e quando hai bisogno chiedi a chiunque perché tra di noi ci si aiuta. Ricorda una citazione scout, <la fatica aiuta a crescere>. E dajee!”.
Questo è il tipo di messaggio che ti aiuta a rialzarti dopo una caduta, e leggere queste righe ti dà sul serio la forza di tornare in piedi e continuare a camminare. Perché è proprio quando toccate il fondo che dovete risalire e scalare la montagna, non lasciate che la paura vi sottragga ciò che è vostro di diritto.
Ah, quasi dimenticavo di raccontarvi del campo. Cos’è successo dopo?
Beh, siamo partiti in ritardo, si è rotto uno dei due autobus che ci avrebbe dovuto portare in un punto da cui iniziare la camminata, che si è magicamente allungata da 4 a 7 ore… ma, in compenso, devo dire che da quando siamo arrivati al campo le cose sono andate abbastanza bene, a parte qualche goccia d’acqua ogni tanto. Però va bene… inoltre il paesaggio non era niente male. Abbiamo iniziato subito in quarta, abbiamo svolto le nostre attività senza troppi problemi, ci siamo molto divertiti, abbiamo vissuto pure dei momenti un po’ più seri, abbiamo stretto amicizia e, purtroppo, anche salutato alcuni capi ed il don perché avrebbero terminato con quest’anno il loro servizio.

Alla fine devo dire che è stato davvero fantastico perché nonostante tutto siamo riusciti a vivere una bella esperienza. Ricordatevi che anche quando si cade e ci si fa male la cura è un sorriso ed il conforto di qualcuno che vi vuole bene. Non sarà stato il campo perfetto, però di sicuro è stato indimenticabile.

Ultima cosa, ma non per importanza: voglio raccontarvi un fatto accaduto ieri sera. Come al solito prima di un pernotto ci siamo trovati in riunione, ma questa volta c’erano anche dei visi che non conoscevo, tra cui una ragazza che ha condiviso con il clan la sua scelta di terminare il percorso scout. Cosa voglio dirvi con ciò? Vorrei condividere le parole che ha detto, perché sono state una lezione per noi, ma vorrei lo fossero anche per altri. Ha detto che tra i vari motivi in clan c’era un clima diverso, in cui era come se le cose andassero fatte perché si dovevano fare, non perché lo si voleva. Non voglio soffermarmi su certe questioni, quanto farvi rileggere questa frase per poi farvi una semplice domanda, ma che ha in sè un significato più profondo di quanto non dimostri. Le cose vanno fatte perché lo si vuole, perché ci si crede e perché le si desidera, detto ciò… perché siete scout?

Potete pensarci quanto volete, non pretendo certo una risposta. Però pensateci, perché è importante sapere i motivi per cui si fa una determinata scelta e si intraprende un determinato cammino.
Perché io sono scout? Ho fatto questa scelta perché voglio condividere i miei valori, voglio essere un’amica ed una compagna di viaggio e, un giorno, anche essere un esempio per gli altri.
Come conclusione penso che questo articolo, contenente più argomenti, si possa in realtà generalizzare con questa frase “La vita è una questione di scelte, e non si possono ignorare perché anche il non scegliere ha una conseguenza. Bisogna quindi ragionare e prendere una decisione consapevolmente”.
Penso di aver detto abbastanza, perciò vi saluto.
Buona strada,

Canarino Stravagante

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È di nuovo route

CLAN KYPSELE

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Il 7 luglio in riunione abbiamo deciso di metterci in gioco e organizzare la Route. Abbiamo deciso di salire in montagna all’Alpe Biuse in Piemonte. Perciò, il 1° agosto, dopo un lieve problema tecnico con la sveglia di una scolta, verso le sette siamo saliti sul pullman che ci ha portato a Cavaglio e, dopo aver camminato sette lunghe ore, siamo arrivati a destinazione carichi per questa nuova esperienza. Eravamo molto emozionati e gasati perciò ci siamo messi subito all’opera facendo una bellissima serata di cucina trappeur. Durante la giornata, mentre salivamo, avevamo un obiettivo: dovevamo tenere conto di una persona del clan scelta dalla sorte e aiutarlo/a nel momento del bisogno.
Il giorno dopo ci siamo svegliati e abbiamo fatto colazione tutti assieme. La pattuglia giochini ci ha deliziato facendoci fare una prova di “mister Kypsele”: cantare una canzone. Ci siamo cimentati in “Stand by me” (lo so che l’hai appena cantata!). Dopo con tantissima emozione e serietà, ci siamo dedicati ai nostri punti della strada: è stato un momento molto serio e importante perché si tratta del nostro cammino dentro il clan e nella vita. Il poterne parlare con i propri compagni di clan, averne un riscontro e dell’aiuto per raggiungere determinati obiettivi è importantissimo. Dopo aver pranzato abbiamo fatto una revisione della carta di clan spiegandone i valori importanti che ogni rover e scolta deve avere sempre nella propria testa. Per farne capire l’importanza ai novizi come tecnica abbiamo usato il dover rappresentare fisicamente il significato di ogni punto della carta di clan. È stato un momento molto bello, utile e importante perché oltre a far capire ai novizi il vero significato “aiuta anche il clan a seguire la retta via”.
Più tardi, abbiamo fatto un’attività riguardante “il proprio centro”, cioè praticamente bisognava scrivere su un foglio per ogni componente del clan un suo pregio o un suo difetto e dopo ognuno di noi con il proprio foglio doveva capire quali secondo lui sono gli aggettivi che “sono in superficie”, che si notano subito, e quelli invece che sono più nel mezzo, cioè che in pochi gli notano. Nel centro bisognava aggiungere l’aggettivo che ci rispecchia. È stata un’attività molto bella che mi ha fatto riflettere molto su di me i sui miei difetti, sul modo per migliorarli e progredire.
Un’altra attività da raccontarvi è questa: era a tema zombie e io con la mia pattuglia abbiamo ricreato un fantoccio che era così realistico che i giocatori si sono spaventati convinti che fosse una persona vera! In quel momento ero entusiasta al massimo.

I giorni sono passati in fretta, ma prima di tornare Kikko, Zio Malak, Sara, Don Claudio, ci hanno annunciato che non faranno più parte della nostra comunità. Eravamo tutti in lacrime e, fidatevi, mentre sto scrivendo queste righe lo sono ancora. Io e il Clan ci teniamo a ringraziarvi perché siete i pilastri del clan e sarà dura andare avanti senza di voi. Per questo vi ringraziamo dal profondo dei nostri cuori augurandovi “buona strada”!

Civetta perseverante

La mia avventura letteraria con Teen Wolf

REPARTO PHOENIX

Ciao, io sono Giulia, qualche anno fa in uno dei tanti pomeriggi passati fra le mura della mia camera mi sono immaginata di scrivere un libro e di trovarmi a scrivere un articolo che ne parlasse (proprio come questo).
Quando ho iniziato, quasi per gioco, non avrei mai pensato ci volesse così tanto tempo; alla fine fra ricerche, stesura delle bozze, varie revisioni e stampe sono riuscita a portare a termine questo sogno dopo due anni.
Ecco com’è nata l’idea di questo libro: circa tre anni fa ho iniziato a guardare una serie TV quasi per caso. Poco tempo dopo, questa serie (Teen Wolf) è diventata il mio show preferito e non riuscivo a smettere di parlarne. Divorando un episodio dopo l’altro mi accorsi che era finita senza preavviso, lasciandomi sconvolta: troppe erano le cose lasciate in sospeso e i mille possibili scenari riempivano la mia mente.
La riguardai stupendomi ancora di tutti i colpi di scena e le magnifiche idee degli sceneggiatori. Sempre più presa da questa serie e curiosa su tutte le sue sfaccettature, feci mille ricerche sugli attori e sulla anche remota possibilità che gli autori di Teen Wolf avrebbero fatto una nuova stagione, purtroppo appresi che non sarebbe mai arrivata. Quella notte sognai l’inizio di una nuova possibile stagione e quando mi svegliai mi misi subito a buttare giù delle idee.
In estate ne parlai con le mie amiche, mi dissero che erano delle idee bellissime quindi le iniziai a scrivere su un taccuino che riempii in pochissimo tempo. Quell’anno chiesi ai miei capi di fare il brevetto di animazione espressiva e una delle prove era di finire di scrivere la mia storia. Purtroppo per loro, li assillai parlando di Teen Wolf per i due anni successivi.
Per me questo libro non è solo una delle prove del brevetto ma è uno dei miei sogni più grandi: continuare Teen Wolf.

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Qui di seguito ho scritto un piccolo riassunto della storia:
Immaginate una bambina un po’ speciale, nata da un incontro casuale, immaginate sua madre che non riesce a prendersi cura di lei e la porta nell’unico posto che la avrebbe accolta. Aria ha 16 anni, da quando ne aveva 10 vive nel manicomio di Beacon Hills. Da un po’ di tempo però non sopporta più quel posto e una piccola foto riposta nella sua tasca continua a invitarla a trovare un modo per fuggire. Cosa succederà quando incontra nuovamente il mondo? E cosa ne sarà di tutti quegli anni passati in isolamento, di tutte le cose che ha visto in quel posto terribile? In quella città tutto per lei è nuovo, riuscirà a sopravvivere ai pericoli che si nascondono nell’ombra?
Per chi volesse andarlo a leggere lo si può trovare su wattpad, il titolo è “Il ritorno degli Argent” o se qualcuno volesse una copia cartacea chieda in segreteria.

Giulia Baraldi

Ri-cominciare

REPARTO PERSEO

Penso che lo scoutismo ci prepari ad abituarci a non avere una vita statica e ci aiuta ad affrontare al meglio i cambiamenti, i quali sono parte integrante del percorso scoutistico di ognuno di noi. Ogni anno si assume una posizione diversa e sempre più rilevante all’interno dell’unità di appartenenza, ogni anno vediamo andar via persone con le quali abbiamo condiviso importanti esperienze per anni e ci prepariamo ad accogliere volti nuovi con i quali sappiamo che condivideremo forti e nuove emozioni. Per quanto possa essere difficile ci riusciamo ogni volta e quest’anno, nonostante tutto, non saremo da meno. Durante la quarantena ci siamo dovuti reinventare, provare a continuare a fare attività tramite la tecnologia e fa strano pensare a come quanto ciò che prima era un oggetto del quale non ne era nemmeno concessa l’accensione in attività, sia diventato, in quel periodo, l’unico metodo che ci permetteva di restare in contatto e per continuare, per quanto possibile, a svolgere le attività.
Mi trovo a scrivere questo articolo alla fine di un percorso durato quattro anni e durante il quale ci sono state più occasioni nel quale è stato necessario “ri-cominciare”. Due anni fa abbiamo affrontato l’unione di due reparti e ci sembrava un ostacolo insormontabile e otto più grande di noi. Ricordo ancora la tristezza e la fatica nell’accettare il fatto che bisognava rimettersi tutti in gioco e creare un Reparto da zero assieme a persone che non conoscevamo. Ricordo ancora meglio, però, la soddisfazione nel vederci al campo di Natale uniti e come se fossimo un Reparto già creato da tempo e questa, secondo me, è stata la dimostrazione che insieme e con le persone giuste dover “ri-cominciare” sia solo una cosa positiva e spronante.
Iniziare un percorso nuovo o affrontare un cambiamento fa paura, iniziamo a metterci in dubbio, ci chiediamo se saremo all’altezza della novità, arriva la paura di non riuscire a rispettare le aspettative o che quello che c’è dall’altra parte non faccia per noi. Tutto ciò lo capisco, le sicurezze pian piano svaniscono e ciò ci destabilizza ma penso che dalle novità si creino delle consapevolezze nuove che ci fanno crescere, maturare e che ci plasmano.
Spero che questa strana ripartenza avverrà con la voglia di rimettersi in gioco, di riscoprirsi pian piano e tutti assieme anche se a un metro di distanza e con le dovute accortezze.

Buona fortuna e Buona strada,

Quokka empatico
Sofia Pendin