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La coppia-mito Zana e Nic

Questo è forse il numero più significativo di tutti i Tuttoscout dell’anno perché riassume così intensamente e a fondo tutto il nostro percorso nello scoutismo, tutte le nostre tappe attraverso cui passiamo e in cui cresciamo.
In questo numero troverete i racconti e i saluti di quelli che sono “passati”, di chi dopo un periodo di crescita più o meno continua si trova a dover compiere un salto, una nuotata, attraversare un ponte…

Per tutti si tratta di un momento, un giorno speciale, ma in realtà attraverso questo Tuttoscout si può “leggere” il percorso per intero: i castori diventano lupi, l’uomo torna all’uomo e si indossa lo zaino per affrontare la Strada.
È quindi bello poter raccontare di due persone, due amici, che hanno condiviso questi momenti insieme da quando erano lupetti nei Seeonee a quando si sono trovati come capi nel Reparto Pegaso. Sto parlando della coppia-mito Zana e Nic, con cui mi sono trovato a condividere prima il Clan e poi l’essere capo.
Ho voluto chiedergli di raccontarci alcuni degli episodi più significativi della loro amicizia scoutistica ed ecco cos’hanno risposto:
niczana
Nic: il ricordo più nitido che ho di Zana al tempo dei lupetti è sicuramente l’ultima notte da CDA al campo estivo. Eravamo solo noi due e dovevamo alternarci a curare il fuoco… Un disastro! Al momento della sveglia io mi giravo dall’altra parte… E lui non era da meno! E non potevamo nemmeno ripiegare sullo svegliare qualche altro CDA perché… Eravamo solo noi 2!
Questo è sicuramente il primo ricordo indelebile che ho della coppia Zana-Nic.

Zana: il ricordo più forte, e forse più doloroso, che ho di Nic nei lupetti è quando, dopo quattro o cinque anni di branco insieme, lui è passato in Pegaso. Subito dopo di lui i passaggi al Pegaso si sono chiusi e ho capito che non saremmo stati insieme. È stato un momento molto forte perché eravamo molto legati e avevamo vissuto tanti bei momenti insieme.

In reparto, purtroppo, ci si separa: Nic in Pegaso e Zana in Orione (dove l’ho conosciuto), ma, come sui sentieri di montagna, ci si divide per rincontrarsi un po’ più avanti… nel Clan del Brugo.

Nic: di ricordi di Andrea in clan ne ho parecchi: 4 route insieme, una felpa gialla che aleggia ancora come un incubo nelle teste dei capi clan, il fazzolettone storico del clan tenuto in ostaggio a casa sua per anni, la nostra pattuglia logistica specializzata nella sottile arte de “l’improvvisazione”. Ma l’episodio che ricordo meglio risale alla route di pasqua ad Assisi. Tornando verso il clan dopo aver fatto spesa cominciò a tuonare. Il buon Andrea, spavaldo, punta il dito al cielo e urla: “è tutto qui quello che sai fare?”. Mezzo secondo dopo la grandine ci stava già incrinando le costole e noi stavamo correndo come dannati, senza riuscire a smettere di ridere.

Zana: con Nic non ci siamo ribeccati subito in Clan perché io sono passato in noviziato un anno prima. Poi ci abbiamo messo un po’ a riavvicinarci perché ci eravamo lasciati da bambini e ormai eravamo ragazzi, con due diversi bagagli di amicizie ed esperienze. Una volta riallacciati i rapporti abbiamo costruito un gruppo di amicizie che dura tutt’ora, nonostante i tira-e-molla tipici di quell’età. Dentro e fuori le riunioni eravamo sempre insieme.
Ho un sacco di ricordi delle route (ed è meglio se non li racconto tutti) ma forse il più divertente è quello del viaggio per Assisi [in cui Zana e Nic arrivarono dopo in treno] in cui per circa 8 ore Nic è riuscito a far passare il tempo nei modi più comici mentre io mi annoiavo a morte.
Ricordo anch’io qualcosa a riguardo uno strano pupazzetto di plastica di nome “Pino” usato per intrattenere gli altri ospiti della carrozza, anche se ovviamente l’ho solo sentito raccontare…

Dopodiché arriva la scelta, fondamento del cammino di rover e scolte: partire o non partire? E, nel caso, restare o no?
Anche qui prima ci si separa, perché ognuno ha i suoi tempi, ma poi ci si ritrova ancora insieme:

Nic: di ricordi di Zana in Pegaso ne ho una vagonata! Ma il più bello è sicuramente uno dei più recenti: era l’ultima sera del campo estivo e avevo appena annunciato al reparto la fine del mio servizio. Dopo l’urlo (che ha rimbombato nella valle per mezz’ora, ovvio), il “momento abbracci” è stato uno dei più emozionanti che io abbia mai provato. E l’abbraccio tra me e Zana è stato come un riassunto di 16 anni passati a calpestare quasi sempre le stesse strade, da ragazzi come da capi (mo’la lacrimuccia gliela faccio scendere all’uomo d’acciaio!)

Zana: qui c’è ancora di più da raccontare, forse anche perché sono ricordi più recenti. Sicuramente però uno dei più divertenti e che racconterò sempre è di quando Nic si è scofanato un chilo di polenta da solo durante un campo di Pasqua. È sempre stato una buona forchetta…
È sempre stato un compagnone e molto bravo a fare gruppo e, soprattutto, a mantenere la calma anche nelle situazioni più disperate. Si agita molto difficilmente ed è per questo che è stato bello prendere in mano il Reparto insieme a lui. Queste nostre due personalità “complementari” sono state molto utili nel rapporto con i ragazzi e nel rapporto leggero e allegro che si riusciva ad avere in staff.

Quindi, se dovessimo fare una sintesi di tutto ciò?

Nic: poche parole non bastano a descrivere tutti questi anni. Siamo persone molto diverse: Zana è più metodico ma talvolta incredibilmente impulsivo. Io sono sicuramente meno organizzato, e a volte lascio che sia “il karma a occuparsi di come andranno le cose”. Però sono il più tranquillo dei due e mi tocca frenarlo un po’.
Al di là degli aneddoti stupidi e di episodi divertenti, siamo cresciuti insieme, sia come bambini che come ragazzi, e infine come capi, con tutto ciò che ne consegue: momenti belli, alcuni meno belli, incomprensioni (nelle amicizie c’è anche questo), affrontando le situazioni più disparate sempre con il sorriso. Non avrei mai potuto immaginare compagno di staff migliore… Compagno di avventure migliore…

Zana: per tirare un po’ le fila del discorso, insomma, c’è da dire che il bello dell’amicizia tra me e Nic è che ci siamo prima conosciuti da bambini, poi da ragazzi e infine abbiamo imparato a condividere anche le responsabilità da adulti che l’essere capo ti richiede. In più siamo diventati amici anche fuori dall’attività e penso che questo sia una cosa molto importante dello scoutismo in quanto ti permette di costruire dei legami e relazioni che ti porti dietro per la vita.
Adesso che Nic è uscito dalla staff si sente perché lui era molto bravo a portare leggerezza mentre a me non riesce altrettanto bene.
Sono sicuro che continueremo ad essere amici fuori di qui come lo siamo sempre stati nonostante gli impegni di lavoro che lo hanno portato a prendere questa scelta.

Dal canto mio posso dire di essere stato fortunato testimone (oserei dire “privilegiato” in quest’ultima parte) della straordinaria compatibilità tra due persone così apparentemente diverse. Con loro sento di aver imparato molto e molto bene sostanzialmente perché il loro approccio alle cose decisamente diverso dal mio mi ha spinto a sperimentarmi sempre più e, soprattutto, perché ci siamo divertiti un mondo.

 

Geco Coinvolgente

Prossimamente al campo scout

Chi seguisse questa rubrica da qualche tempo saprebbe che, benché non mi possa definire un esperto, provo sempre un grande piacere nel guardare e riflettere sui prodotti della settima arte, Il che non mi risulta per nulla difficile d’Estate, periodo dell’anno durante il quale escono la maggior parte delle pellicole dell’anno.
E tanti film significa naturalmente tanti, tanti trailers. Vedere un trailer a volte è divertente quanto vedere un film, perché questi ti dona una serie di piccoli elementi che, un po’ come mattoni, possono essere assemblati dalla fantasia dallo spettatore per creare il proprio film, più o meno dissimile da quello reale.
C’è sempre stato un mattone, però, a cui la mia fantasia di spettatore ha sempre faticato a trovare una posizione consona, cioè quella frase tipica dei film d’amore che fa più o meno “Quell’Estate che non potranno mai dimenticare”.
L’Estate è sempre un periodo estremamente piacevole, ma mai mi è capitato di viverne una che davvero, per utilizzare un’altra variante della frase in questione, mi rimanesse dentro.
Insomma, che fosse davvero memorabile.
Così ho continuato a vivere la mia vita senza preoccuparmene troppo, limitandomi a bollare mentalmente quella frase come una trovata pubblicitaria particolarmente efficace ma di per sé vuota.
Almeno fino a questa particolare Estate.
Quest’anno ho vissuto molte esperienze, alcune delle quali hanno avuto un forte impatto sulla mia persona, ed una di queste è stato il fatto di aver vissuto il mio primo campo da capo scout.
Un campo non semplicissimo che, per rispettare il progetto proposto dai ragazzi durante l’impresa, è stato fatto all’estero (Svizzera, ma pur sempre un altro stato), senza cambusa e con un ricambio costante tra capi e rover/scolta di servizio per riuscire a tenere fede ai diversi impegni lavorativi.
Premesse non particolarmente incoraggianti insomma, ma che non ci hanno impedito di svolgere il campo al meglio.
Abbiamo avuto degli imprevisti, certo, come quando un’improvvisa tempesta di vento ci ha quasi strappato via le tende, o dei momenti di sconforto quando i ragazzi ci hanno fatto capire che non avevano apprezzato alcune attività, ma affrontando i primi e riflettendo sui secondi siamo riusciti a portare a termine un gran bel campo, ed io credo di aver finalmente trovato quell’Estate che mi “rimarrà dentro”.
Mi rimarrà dentro perché è in questa Estate che finalmente ho visto morire la mia paura di mettermi davvero in gioco ed ho visto nascere una voglia, e soprattutto una capacità di fare che non credevo minimamente di possedere e, chissà, forse effettivamente non possedevo prima di quest’esperienza.
Questa nuova rivelazione potrebbe fare quasi paura, soprattutto considerando che è nata da una piccola frase stereotipata inventata per vendere qualche film sentimentale. Ma in fondo il marketing per funzionare davvero deve fare leva su qualcosa di vero, ed è vero che l’amore, vuoi che sia per una persona, per uno stile di vita, o anche per un ideale è un qualcosa che, quando lo scopri, ti cambia profondamente dal dentro.

 
Tricheco birbante

Un anno a bocca aperta

In famiglia, mi prendono tutti in giro, perché la mia esclamazione più frequente è “ooooooh! ”.
Occhi e labbra si muovono indipendenti dalla mia volontà, e così mi ritrovo spesso a sentirmi dire che parlo con gli occhi e che non sono in grado di nascondere quello che provo.
Non so le volte che, a bocca aperta, ho ascoltato i racconti del “Libro della giungla”, da Bagheera e da Akela, come un bambino e mi sono ritrovata a chiudermela, la bocca, con le mani…
E le lacrime di commozione nel veder cantare la mia comunità capi… preciso che sono intonati…
A 46 anni ho vissuto un anno di “ooooooh”, inaspettato, voluto e vissuto, pian piano, con gioia.
Non ero scout, pare che ora io lo sia.
Bè, voglio tenermi per me i ricordi del campo estivo con il mio branco e non dimenticare i visi dei lupetti durante le avventure dell’anno trascorso. Esperienze belle e troppo grandi per scriverne e raccontare.
Grazie!

 
Una tartaruga che ora ha le ali

È la strada di chi parte… ed arriva per partire

Cantami o musa, degli eroi coi calzoni corti (acacciadiventoisemplicicanti)
Che molto vagarono, dopo aver lasciato il porto sicuro di Casier,
di molte meduse conobbero la specie e sperimentarono le punture,
molte canzoni cantarono sulla laguna, imparandone il dialetto,
per raggiungere la Meta, e far comunità coi compagni…

Ma dico la sentite?
Questa storia la fa sembrare un tragedia greca! Alleggerisci bella!
Da qui attacchiamo noi, cara… Non molto tempo fa, sulle sponde del Sile, il clan Kypsele era pronto a salpare alla volta di Venezia: avevamo chiara la nostra meta! A bordo di colorati kayak (bizzarri aggeggi di cui tutt’ora il funzionamento ci rimane oscuro), pagaiata dopo pagaiata, siamo giunti a Casale sul Sile. Da lì, il giorno seguente, con coraggio ci siamo imbarcati, nonostante il cielo plumbeo non promettesse nulla di buono. Dopo circa 2585 pagaiate e mezza, un fulmine (segnale dell’ira di Zeus!) ha squarciato l’etere e il terrore si è diffuso tra di noi tanto che sbarcammo, in tutta fretta, al sicuro, sul terreno paludoso. Riuscite ad immaginarvi la scena? Siamo pronte a scommettere di no: fradici, infreddoliti abbiamo iniziato a “sorridere e cantare anche nelle difficoltà”, saltando gioiosi nel fango. Ripresa la marcia in compagnia di mantidi e lumachine, nei giorni seguenti abbiamo esplorato le lande di Mazzorbetto e Sant’Erasmo, scorso il canal grande di Murano, rischiando la vita ad ogni ansa e visitato la variopinta isola di Burano, caratterizzata da casette di colori diversi perché i pescatori, con la nebbia, potessero riconoscerle con facilità. Gli ultimi due giorni abbiamo sostato a Mestre dove, tra giochi e docce fredde, ci siamo confrontati sul nostro punto della strada: un momento unico, molto toccante, che ci ha coinvolti in prima persona, incoraggiandoci a far cadere le maschere, a metterci a nudo di fronte alla comunità, a spogliarci dei pregiudizi, a guardare l’altro con occhi nuovi e fraterni. È stato in questo istante che abbiamo sentito di far parte di qualcosa di grande ed importante; ci sentivamo come i pescatori di Burano in ritorno dal mare: a casa. Venezia era stata raggiunta, la comunità di Clan formata: eravamo arrivati… o forse no. Il percorso di fede della route ci ha portato a riflettere su cosa voglia dire raggiungere una meta, o sulla dubbia esistenza di essa. Ci si può mai dire arrivati nel rapporto con gli altri? Giungiamo mai ad un punto in cui non possiamo diventare una versione migliore di noi stessi? Esiste un traguardo nella fede, oltre il quale le domande si esauriscono? O forse la nostra vita si fonda su una continua progressione che trova, sì, porti sicuri in cui rifugiarsi, ma non la sua Itaca. Il viaggio arricchisce; le esperienze che viviamo, le persone che incontriamo rappresentano sempre una svolta nel nostro cammino che è, quindi, destinato a proseguire imperituro.
Una risposta è un tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle, solo una domanda può puntare oltre.”

 
Chiara Sidoti, Elena Banda,
Ilaria Scudeller

Grazie Clan

23Ciao clan.
Sembra quasi una lettera di Partenza. Forse perché non ne ho fatta mai una e dopo averne lette alcune per organizzare un deserto, ho iniziato a pensare che è un bel modo di salutare.
E’finito il mio tempo in branca R/S ed ora scelgo di rimettere il mio mandato alla CoCa che saprà cosa fare della mia disponibilità.
Vi saluto con il GRAZIE più gridato che posso, perché il dono della serenità che ricevo nella consapevolezza di aver dato del mio meglio, è qualcosa d’impagabile.
Ho commesso errori e conquistato fallimenti. Di questo chiedo scusa a chi si è sentito offeso e ferito per questo. Vi assicuro che il mio fare, il mio dire è sempre stato mosso dalla consapevolezza di aver avuto a che fare con campioni, con veri e propri “pezzi da 90”.
“da soli non siamo nessuno…” è una frase della Partenza di Giorgio. Da quanto avete conquistato ora siete comunità, il famoso “bueno porto”. Insieme potete tutto. Non perché siete protetti, perché siete al sicuro. Perché insieme siete capaci di proteggervi dalla tempesta. Insieme potete affrontare le onde. Insieme potete riempire il silenzio dell’indifferenza. Insieme potete affrontare la paura. Insieme potete sconfiggere la pigrizia. Insieme potete riempire le scorte di umorismo che salva dalla disperazione. Insieme potete tentare e ritentare senza cedere all’abbattimento. Insieme scoprite la gioia di essere amici.
Non sprecare e non sprecatevi. Abbiate il coraggio del vostro talento perché cavolo se ne avete! Siate fieri della comunità che avete così faticosamente costruito: Un alveare dove ognuno è prezioso. Cercate di dare tutto, ogni volta che farete una scelta: avete la cosa più invidiata al mondo e cioè il tempo. Non risparmiatevi e “alzate più su l’asticella”. Insomma vivete, non vivacchiate. Ne vale davvero la pena!
Vi saluto con il GRAZIE perché per un adulto è un dono aver a che fare con i giovani che sono il futuro, la speranza.
Grazie clan per ogni momento: Dai grilli assordanti di certe riunioni, alle canzoni “urlate contro il cielo” carico di fulmini mentre eravamo in laguna.
Sono arrivata in un mega clan, c’ero quando i clan sono diventati due. Ho vissuto la Route Nazionale e il capitolo Freccia Rossa. Ho assistito alla nascita di un unico e nuovo clan, il Kypsele e ora certifico che è Comunità.
Che la Strada sia propizia e che vi porti insieme alle prove, anche la capacità e il coraggio di affrontarle e che abbiate la certezza di non essere mai soli e avvertire che Dio è accanto a voi sempre.
Sempre pronta a servirvi.

 
Marisa,
Orsa Energica

Capitolo 1

Cari lettori, non siamo certo scrittori, ma ci piace ugualmente fare dei Capitoli. Ci sono però alcune sostanziali differenze: il Capitolo di un Clan è un percorso finalizzato ad informarsi riguardo uno specifico tema che approfondiamo, dal quale traiamo delle conclusioni e agiamo di conseguenza mediante una soluzione concreta.
In una giornata (si potrebbe gridare al miracolo dato i consueti tempi di decisione) quello che abbiamo fatto è stato selezionare i possibili argomenti trattabili grazie ad una attività della pattuglia “Menate”, ovvero la componente del Clan che si occupa di organizzare le attività e i giochi.
Il risultato di questa scrematura è stata “Politica: informiamoci e conosciamola”, un tema molto vasto, troppo forse. Vi chiederete: come avranno fatto i nostri eroi?
Ognuna delle pattuglie già esistenti ha sviluppato per il resto del clan un’attività sul tema affidatogli e che ha scelto tra: Etica e Politica, Costituzione e Organi, Politica e Religione, Partiti e Politica Locale.
Nelle successive riunioni tramite vari strumenti (scenette, quiz, giochi di movimento ecc…) le pattuglie hanno arricchito il bagaglio culturale di ogni membro del clan, anche in vista delle allora imminenti elezioni comunali.
Dopo la fase dell’Informazione siamo passati a quella della Deduzione: infatti il giorno della festa di chiusura abbiamo tirato le somme con un’interminabile discussione (i tempi mastodontici sono tornati). Attraverso l’analisi del nostro rapporto con tutto ciò che concerne la politica ed il costante tenersi informati sulle sue quotidiane e mutevoli dinamiche, abbiamo capito che il problema non era la semplice “mancanza di voglia” (che brutta parola, come direbbe Don Matteo) che attanaglia ogni adolescente, ma che esso era da ricercarsi più a fondo. Tale ostacolo potrebbe essere la mancanza di interesse? O l’insufficienza di strumenti adatti? Oppure la quotidianità piena e frenetica? NO! Non è questo il punto! Il vero e primo freno alla volontà di informarsi non è nessuna di queste cose, perché un elemento le genera più a fondo: la mancanza di un forte senso di appartenenza. Esso è la scintilla che genera l’interesse, che ti spinge a trovare gli strumenti giusti e che trova un posto nella tua quotidianità.
Perciò abbiamo concretizzato la fase di Azione prendendoci un impegno riguardante ciò che ci accomuna tutti e verso il quale sentiamo un forte senso di appartenenza: lo Scautismo e il nostro gruppo. È per questo che vi annunciamo l’apertura di una nuova rubrica sul Tuttoscout interamente gestita dal Clan Kypsele che parlerà sia di attualità generale sia di temi Scout vicini a noi.
Il capitolo 1 lo state leggendo in questo istante, gli altri stanno arrivando.
To Be Continued…

 
Grillo Cangiante
Canguro Amletico

Vale la pena

Perché non è facile fare i capi scout! È bello, davvero tanto! Ma molto impegnativo, se lo vuoi fare bene. E, sempre se lo vorrai fare bene e a lungo, avrai da soffrire, perché non ti andrà sempre bene con i ragazzi, perché non incontrerai sempre il favore dei genitori, ma soprattutto perché a volte la tua associazione sembrerà non comprenderti. E capiteranno i momenti in cui, di ritorno da un’uscita proprio andata male, ti verrà da domandarti: “Ma perché? Mi ricordate chi me lo ha fatto fare?”.
Non sappiamo dirti quali risposte ti verranno. Forse la prima sarà il ricordo che non ti è sempre andata male: tornerai con la fantasia a quel campo davvero ben riuscito, a quell’impresa dei tuoi esploratori che ti ha sorpreso, a quel punto della strada dove ti è sembrato di vedere i cuori dei tuoi rover e delle tue scolte. E dirai: “Ma sì! Ne vale la pena”. E’vero: ne vale la pena davvero per le tante esperienze belle che hai vissuto, e che speri si ripetano. Ma non basta.
E… sai cosa ti diciamo? Forse una cosa che sembra quasi contrastare con tanti discorsi che abbiamo fatto fino ad ora: non basta nemmeno la fede, o la voglia di cambiare il mondo con la speranza! Una fede cieca si chiama fondamentalismo, e una speranza sbarazzina si chiama illusione. E noi non possiamo vivere di fondamentalismi ed illusioni.
Il Signore ci scampi da capi fondamentalisti, che in nome della fede in Cristo non vedono più le persone in faccia! Conosciamo fin troppi capi clan che, in nome di una fede di cui solo loro si sentono i custodi, cacciano rover e scolte dai clan e dai fuochi, con le più sottili tecniche. Conosciamo fin troppe comunità capi dove “i vecchi” si sentono paladini del Vangelo e accusano i giovani di mancare di scelte di fede autentiche, ma conosciamo anche comunità capi dove i giovani ritengono di essere i depositari “dell’ultimo vangelo”, quello nuovo, quello adatto a questi tempi, e gli altri invece sono rimasti al medioevo. Conosciamo anche comunità capi dove si parla di fede, si dicono le preghiere, ma il vangelo non è poi così rilevante e la fede resta qualcosa sullo sfondo di vago e di non definito. Ma fa onestamente paura una fede cieca, che non vede nulla e non guarda in faccia a nessuno, … forse non è fede, o almeno non quella che ha Gesù Cristo come autore e perfezionatore.
Ma non basta nemmeno la speranza, se non è ben fondata. Conosciamo zone e gruppi dove un po’ di parresia, un minimo di franchezza e la voglia di nuovi inizi potrebbero far bene, e invece si spera che andrà meglio. Conosciamo gruppi che sulla carta non possono riaprire l’anno dopo, non hanno né capi né ragazzi, poi un colpo di fortuna e si andrà avanti così per un po’, fino alla chiusura, di speranza in speranza. Oppure conosciamo gruppi che spendono tantissime energie per essere presenti ad ogni manifestazione del territorio, che non mancano di sottoscrivere mille campagne, di organizzare sensibilizzazioni per mille questioni, perché vogliono lasciare il mondo un po’ migliore di come lo hanno trovato, e poi magari non si accorgono che il lupetto del branco non viene in uscita e inventa mille scuse solo perché non può pagare la quota.
Non mancano capi che lo fanno per una sorta di “accademismo scout”. Ne abbiamo già parlato: sono quelli che sanno regolamenti e statuti a memoria. Perché lo scoutismo ha un aspetto affascinante dal punto di vista metodologico, è una macchina bella da veder funzionare, e può regalarti anche diverse soddisfazioni. Conosciamo degli accademici dello scoutismo, che hanno la soluzione per ogni cosa, e hanno unità impeccabili, nel vederle… poi il problema è che il gioco finisce non appena i ragazzi reclamano di essere uomini, e non soldatini.
Ci lasciamo suggerire da san Paolo un motivo per cui vale la pena fare tutto: “Tre cose rimangono: la fede, la speranza e l’amore. Ma di tutte più grande è l’amore”. Serve la fede, occorre sperare, anche oltre ogni speranza, ed è decisivo il metodo. Non ritrattiamo quello che abbiamo detto fino a qui, ma solo l’amore è credibile. Ci piace pensare allo scoutismo come ad un grande atto d’amore per le giovani generazioni e per il mondo. Occorre volere bene ai nostri ragazzi: solo per questo vale la pena. “Scoutismo” è solo il nome proprio dell’amore che vogliamo ai nostri lupetti e alle nostre coccinelle, ai nostri esploratori e alle nostre guide, ai nostri rover e alle nostre scolte. E loro se ne accorgono! I ragazzi capiscono se loro e lo scoutismo sono solo un mezzo per altri fini, o se gli vogliamo bene.
Ci permettiamo di dare alcuni suggerimenti. Cari capi, non parlate mai male dei vostri ragazzi. Quando fate due chiacchiere prima di addormentarvi ai campi estivi, non prendete in giro il tale per quel suo atteggiamento o il tal altro perché non ce la fa. Parlate sempre bene dei vostri ragazzi: tanti di loro non hanno nessuno che li stimi davvero; che abbiano la fortuna di avere capi scout che li fanno sentire stimati. Siate più portati a sottolineare le cose che sanno fare, e poi magari stimolateli a migliorare, a partire dalla cattedra migliore che avrete: il fatto che loro si sentiranno amati.
Organizzate i campi più belli e complessi di questa terra, ma se capita che vi trovate sdraiati su un prato a chiacchierare con i vostri ragazzi, va bene! Cercate i momenti in cui farvi prossimi, accessibili, amici. Non crediamo nel mito del capo che deve essere quasi inarrivabile e perfetto: non vergognatevi di essere stanchi e di riposare un po’ con loro, di non farcela e di dichiararlo. Non abbiate paura una sera a entrare nella tenda degli esploratori, anche quando è tardi, e a parlare un po’ con loro, a raccontare due idiozie: diventerete amabili, e loro sapranno che li amate.
Quando la tal guida o il tal rover non si fanno vedere da un po’, andate a trovarli! Non mandategli l’SMS, e non scrivetegli su Facebook: lo fanno tutti! Invece voi fategli capire che vi stanno a cuore: offritegli un gelato, perdete tempo con loro. Si, anche quel rover un po’ indisponente! Non mancherete di avere la vostra ricompensa.
Non siate “coccolosi”, ma ricordate che un abbraccio, una carezza, una pacca sulle spalle possono fare molto. Non siate ghiaccioli!
Pregate per i vostri ragazzi, tutti i giorni. Siano un pensiero fisso, un affetto importante. Devono mancarvi un po’, e dovete essere contenti di andare a riunione: non si è mai sentito che si voglia bene davvero a una persona che non si vuole vedere. Non sbuffate prima delle riunioni, non fategli percepire che sono un impegno tra i tanti. Se anche fosse vero, tenete bene in testa e fateglielo capire che loro sono un vostro affetto, non un vostro impegno.
Quando andrete a fare tutta la vostra formazione, ogni tanto passate in rassegna i vostri ragazzi, e ricordate che lo state facendo per loro, non per altro. E il giorno che vi arriverà il Gilwell, ricordate che pesa un sacco: è l’impegno ad amare facendo i capi scout. Non sia qualcosa che vi distacca, ma che vi stringe con ancora più decisione ai vostri ragazzi.
Solo l’amore è credibile. Solo per l’amore ne vale davvero la pena.

 

Da Caro Veritatis Cardo

Intenational day alla base militare N.A.T.O. di Solbiate

21-2

Tante persone pensano che lo scautismo sia inutile e che serve solo a far fare qualcosa a dei nullafacenti… ma noi scout sappiamo non è così!
Noi aiutiamo chi è in difficoltà, aiutiamo in casi di terremoti, incendi, ecc… Quindi noi al mondo serviamo perchè, anche se in piccolo, contribuiamo a renderlo migliore!
Infatti credo che sia questo il motivo del perché noi scout del reparto Phoenix siamo stati invitati all’International Day dalla N.A.T.O., per rappresentare lo scautismo e l’aiuto che noi diamo alla società. Ovviamente noi non siamo andati all’International Day solo per fare festa e mangiare, considerando che tutto il cibo era GRATIS!
Siamo andati anche per far divertire i bambini e i ragazzi presenti alla festa e… sapete con quali giochi?21
Ovviamente i nostri: stella, palla scout e roverino. Abbiamo anche allestito un tavolo dove si poteva imparare a fare gli origami e dove chi voleva poteva esser truccato. Per fortuna abbiamo anche potuto “esplorare” la base e mangiare. C’erano tanti stand gastronomici di diversi stati dove ognuno proponeva qualcosa di tipico del paese. Tutti gli stati che erano presenti fanno parte della N.A.T.O., la quale non serve per provocare guerre, ma piuttosto per evitarle e aiutare i paesi dove ci sono conflitti in corso. Questa giornata particolare mi è piaciuta molto perché s e di averli rappresentati nel loro meglio.

 
Daniel Bertollo (opossum misterioso)

N.A.T.O. anzi, nati per far giocare

19 Oggi spetta a me raccontarvi l’ultima avventura (se così possiamo chiamarla) che abbiamo passato. Questa è stata un’esperienza nuova e completamente diversa dalle altre.
Sperando di riuscire a rendere l’idea e di trasmettere tutte le emozioni provate, cercherò di raccontarvela. Partiamo con il dire che l’organizzazione di questo evento è iniziata circa un mese e mezzo fa, quando la “Cara famiglia Giovannetti” ci ha proposto di prendere parte a questa giornata in caserma durante la quale avremmo potuto mostrare un po’ il mondo scout alle famiglie dei militari provenienti da molte zone del mondo. Chissà, magari avrebbero deciso di intraprendere a loro volta questo viaggio insieme a noi.
Questa proposta ci ha entusiasmato ed abbiamo deciso di accettarla.
Con il passare delle settimane ci siamo ritrovati in un lampo al fatidico giorno, così, dopo esserci incontrati alla caserma, i capi ci hanno subito spiegato come si sarebbe svolta la giornata: alla mattina ci saremmo dedicati alla costruzione di un portale che avrebbe rappresentato il nostro “stand”, e ci saremmo divisi tra di noi gli altri incarichi.
Nel pomeriggio invece, seguendo ognuno i compiti datici in precedenza, avremmo intrattenuto i visitatori con diverse attività. Queste erano: tipici giochi scout come roverino, palla scout e stella.
Per trasmettere anche delle competenze invece avevamo preparato attività come: insegnamento dei principali nodi, che possono sempre essere utili, e la creazione di carinissimi origami.
Ed infine, l’immancabile trucca bimbi. Perché si sa che tutti i bambini sono più felici con un po’ di colore in faccia.
Una volta decisi i compiti di ognuno abbiamo iniziato la costruzione del portale, il quale ha fatto sentire subito me ed alcune altre persone come se fossimo all’interno del mondo dei popolari libri di “Shadowhunters” e così, sentendoci un po’ degli eroi infallibili, abbiamo iniziato a lavorare. Ma come ben si sa, tra il dire ed il fare…, ed infatti il nostro caro portale, che aveva la forma più o meno di un ponte, ha deciso che non voleva rimanere in piedi e questo ci ha costretto a cambiare il progetto.
Ok, ok, forse non siamo proprio degli eroi invincibili, ma alla fine l’importante è che qualcosa lo abbiamo creato no?

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Dopo la stancante costruzione del portale ci siamo riposati ed abbiamo mangiato, sapendo che il pomeriggio sarebbe stato ancora più impegnativo della mattina. Infatti, dopo esserci rimpinzati, ci siamo di nuovo suddivisi in gruppetti ed ognuno si è separato per l’attività che avrebbe dovuto seguire. Ad esempio io e le altre ragazze che si sarebbero dovute occupare del trucca bimbi ci siamo sbizzarrite nel provare su noi stesse i trucchi disegnandoci l’un l’altra tigri, fiori, cani, farfalle, arcobaleni e… un’intera maschera di teschio in stile “dia de los muertos”. Dopo tutta la fase di preparazione iniziale la gente ha cominciato ad arrivare. Nei primi momenti non era molta ma col passare del tempo ha iniziato a diventare davvero numerosa. Io personalmente ho iniziato ad essere un po’ nervosa ed in ansia nel vedere tutte quelle persone che arrivavano ed io continuavo a domandarmi come avrebbero reagito i bambini se il loro trucco non fosse venuto bene e cosa avrebbero detto i loro genitori. Fortunatamente, con il tempo, la pressione e l’ansia se ne sono andate ed il pomeriggio è passato in un batter d’occhio.
Durante le attività, inoltre, una squadriglia alla volta, avevamo il tempo per girare e guardare gli stand degli altri stati e la cosa che è piaciuta a molti di noi è stata la presenza dello zucchero filato.
Verso le nove e mezzo, quando ha iniziato a farsi buio, abbiamo smesso le attività ed abbiamo avuto il tempo di cenare e svagarci un po’ facendo gli ultimi giri per gli stand. La fine dell’evento è stata contrassegnata da un bellissimo spettacolo di fuochi d’artificio, dopo il quale è iniziata la parte peggiore: la fase in cui bisogna smontare tutto.
Terminato anche questo ci siamo avviati alle macchine e la nostra giornata si è conclusa. A parer mio questa è stata veramente un’esperienza bellissima e da ricordare, se ne avessi la possibilità credo che la rifarei molto volentieri anche perché, tra l’altro, credo di aver appena scoperto un’inattesa passione per truccare i bambini.
Alla prossima!

 
Cerbiatto loquace

Campo estivo in Svizzera 2016

OLYMPUS DIGITAL CAMERACiao a tutti amici lettori, sono Alessandro, il vostro cronista incaricato di raccontare a voi e alle generazioni future le avventure del reparto Phoenix.
Come al solito incomincerò dal principio: dopo un’agognata preparazione all’altezza di un reparto coi fiocchi, eccoci finalmente arrivati alla prova del nove: mettere in pratica quello che fino a pochi mesi fa era un’idea lontana. Era la prima volta nel reparto che facevo un campo all’estero e, se devo dirla tutta, l’idea non mi emozionava più di tanto dato che fino alla fine mi sono schierato nell’opposizione, ma mi sono dovuto ricredere.
Era un 9 Luglio di quelli afosi e soleggiati. Appena arrivato in sede venni sommerso da richieste e richieste d’aiuto fatte dagli altri repartisti che nel frattempo, come tante piccole formiche all’opera, avevano incominciato a spostare fuori tutto il materiale necessario per il campo. Dopo aver aspettato il resto del Reparto, caricammo tutto il materiale su di un pullman e partimmo verso la Svizzera. Ovviamente nulla è perfetto e, una volta superato il confine svizzero, dovemmo scendere in un parcheggio semideserto dato che il largo pullman non passava per le strette vie del centro abitato. Dopo una mezzoretta di cammino arrivammo al campo base dove dei capi ci stavano già aspettando impazientemente. La prima cosa da fare era quindi montare le tende, che sarebbero stati i nostri alloggi per il resto del campo, la nostra, con vista campo base, era però sopra la collinetta più alta quindi ogni volta che ci eravamo fatti la doccia, una volta arrivati in cima eravamo già sudati e sporchi.
Ben presto il lancio del tema ci fece intuire che la trama del campo estivo era incentrata su “Ritorno al futuro”, film leggendario che vede protagonisti Marty ed il suo inseparabile amico Doc.
Il pomeriggio passò velocemente sotto il cocente sole svizzero, anche la notte passò rapida e il giorno dopo eravamo alle prese con qualche altro gioco organizzato a giorni alterni dai capi o dalla pattuglia animazione, di cui io facevo parte. Le mie attività preferite si sono svolte nei giorni centrali del campo: uno è la progettazione e la fabbricazione della mitica DeLorean, che permise a Marty di viaggiare indietro nel tempo, che ci eravamo trascinati dalla sera prima.
Una volta costruita la macchina andava alimentata, ma non col Diesel bensì con l’uranio, che ci siamo guadagnati in una staffetta su e giù per le colline.
Ora le De Lorean erano pronte per il salto… ma non c’era un solo modello, bensì 4, quindi spettava a noi decretare la vincitrice scoppiando i palloncini attaccati nelle portiere delle macchine avversarie. Alla fine i modelli migliori si dimostrarono il nostro e quello dei Giaguari.

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Come al solito non potevano mancare i Libici. L’obbiettivo era quello di sparare dell’acqua colorata sugli avversari, ogni squadra ha abbinato un colore, alla fine una persona con un colore dominante valeva un punto per la squadra abbinata al colore.
Alla fine sembravamo delle tavolozze dipinte da Picasso!
Ovviamente il campo non fu sempre soleggiato e un giorno cadde sulle nostre teste un acquazzone che rischiava di soffiarci via le tende, alla fine con 3 picchetti per tirante riuscimmo a sconfiggere il maltempo.
Il nostro secondo nome è avventura, quindi, in occasione del sopralluogo dei dintorni Alan ci intrattenne con una sfida al medico migliore: dovevamo curare i nostri capo che si erano provocati delle fratture multiple, scomposte ed esposte ma alla fine con la nostra buona volontà riuscimmo a salvarli.
In un campo in tema anni ’50 non poteva mancare il ballo di gala, che comprendeva cena a buffet e balli più o meno stile anni ’50, insomma ci divertimmo come dei matti e andammo avanti a ballare fino a quando la fievole fiamma del braciere non si spense del tutto lasciandoci spazio per la veglia alle stelle dove riflettemmo su tutto ciò che era accaduto nel corso del campo.
Anche l’Hike passò senza difficoltà e anche se affaticati tornammo al campo base. I capi ci ritennero anche pronti per la cerimonia dei nomi totem, dove io venni battezzato: Turaco temerario.
Finalmente il campo era finito, ma una cosa ci aspettava ancora: la premiazione della squadriglia migliore del campo e con molta sorpresa la nostra squadriglia vinse il campo! Finite le premiazioni in cui alla fine mi avvolse un senso di gioia e compimento, tutti riabbracciammo i nostri cari e l’Estate che non era ancora finita!
Alessandro Baraldi
Turaco temerario