Il 15 maggio 2016 il Cerchio Arcobaleno del nostro Gruppo AGESCI Busto Arsizio 3 ha aderito all’iniziativa “Illuminiamo il futuro dei bambini in Italia” promossa da Save the Children.
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Messa mariana – 26 maggio
Coccinelle e Save the Children
Il 15 maggio 2016 il Cerchio Arcobaleno del nostro Gruppo AGESCI Busto Arsizio 3 aderisce all’iniziativa “Illuminiamo il futuro dei bambini in Italia” promossa da Save the Children (qui tutte le informazioni).
Divisi in squadre proporremo vari giochi di movimento per condividere la bellezza di giocare insieme. presso il Museo del Tessile in via A. Volta n. 6.
VIA A. VOLTA N. 6 BUSTO ARSIZIO – colombocaterina@virgilio – 347-4066185
La Freccia Rossa all’Università Cattolica
La storia della Freccia Rossa della Bontà, l’impresa scout del 1949 raccontata dal Clan Zenit insieme a Federica Fratini, è arrivata anche all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
È stata la professoressa Carla Ghizzoni ad invitare, giovedì 12 maggio, Ilaria Scandroglio ed Enrico Gussoni all’interno di una lezione del corso di Storia delle Istituzioni Educative. Gli ex scolta e rover anziani dello Zenit hanno agganciato il loro intervento alla lezione sulla disputa educativa e politica tra la Chiesa Cattolica e il regime fascista culminata nei “fatti del ’31”. Partendo da un doveroso accenno all’attività dello scoutismo clandestino tra il 1926 e 1945 e un riferimento all’attività di soccorso e aiuto a rifugiati e perseguitati politici dell’OSCAR, si è introdotto il discorso della nascita del roverismo italiano e della vocazione al servizio tipica di questa branca.
Da lì all’incontro con Don Gnocchi, una figura che gli allievi delle materie pedagogiche rincontreranno nel proseguo dei loro studi, il salto è guidato dalle condizioni della Milano dell’epoca, in cui “il sindaco Greppi indisse una colletta tra i più agiati per pagare i vaccini contro la tubercolosi” e dove “c’erano bambini che morivano di poliomielite”.
Con un accenno alla scoutismo “Malgrado Tutto” e all’attuale impegno di AGESCI nell’accogliere la disabilità, si è quindi arrivati all’impresa vera e propria: mentre le immagini scorrevano sul proiettore si ripercorreva la strada e gli incontri compiuti da quei rovers e dai loro tre capi, coraggiosi in primis ad accettare e proporre questa sfida educativa.
Non si è trascurato di menzionare l’appoggio istituzionale ed ecclesiastico al “Raid Milano-Oslo”, ne i suoi significati più profondi. Al di la dell’impresa avventurosa e “sportiva”, infatti, centrale rimane la meta del “Moot della riappacificazione”, l’incontro che per primo dopo la guerra riunì rover da tutto il mondo, e la connessa visione pacifica e profetica di un’Europa unita in pace e solidarietà.
Ovviamente, parlando a giovani coetanei di coloro che quest’impresa l’hanno vissuta e di cloro che l’hanno poi raccontata nel volume “La Freccia Rossa – 1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa” non si è potuto dimenticare di menzionare il significato presente di questa impresa e l’ottica di “diritti al futuro” con cui si è deciso di raccontarla durante il Capitolo e Route Nazionale 2014: il fatto che questi ragazzi non aspettarono di essere “adulti” per essere cittadini, ma si misero in gioco appena possibile per un obbiettivo grande.
L’intervento, come il libro, ha destato stupore e interesse tra gli studenti e i complimenti della professoressa Ghizzoni per la “ricerca storica svolta fuori dell’ambito universitario […] analizzando tutti i tipi di fonti: iconografiche, stampate e orali…”
La prossima occasione per raccontare della Freccia Rossa sarà a Marnate il 2 luglio, nella sera di una due giorni che unirà scoutismo e volontariato presso la Casa di Alice.
PartecipAssociAzione
Dove inizia la PARTECIPAZIONE
Nella storia associativa abbiamo sempre creduto che la partecipazione di ognuno sia fondamentale. La discussione, il confronto, l’ascolto, il saper proporre e il poter decidere insieme sono sempre stati il nostro stile.
E’ così che viviamo il nostro essere educatori.
Partiamo di qui per ricordarlo a noi stessi. L’AGESCI è un’associazione educativa, non un movimento; operiamo tutti per una missione concreta, condizione che permette ai singoli di compiere in autonomia le proprie scelte politiche.
Perciò, per parlare di partecipazione e rappresentanza in AGESCI occorre partire dall’esperienza vissuta in Comunità Capi. Condividere in Co.Ca. l’avventura dell’educazione – parlando tra capi dei nostri ragazzi, comprendendone i problemi, verificandone i bisogni, elaborando delle proposte per loro e insieme a loro - è un’ esperienza di partecipazione. La partecipazione in Co.Ca. si concretizza nel progetto educativo e tutta la Comunità Capi ne è responsabile.
Viviamo così uno dei momenti più complessi e più ‘magici’ della nostra esperienza di capi: quando parliamo dei nostri ragazzi, di come si stanno inserendo in branco/cerchio, di come vivono il ruolo di responsabilità da Capo squadriglia, dei timori per le missioni, delle proposte di servizio fatte per loro in Comunità R/S, l’esperienza condivisa della responsabilità educativa è il senso più alto della partecipazione. Non può essere altrimenti. Il fatto che questo processo prescinda dal metodo del voto o dalla definizione di una maggioranza, da mozioni e verbali, non ne riduce il valore. Andare a fondo nel comprendere un problema, restare nel confronto per il tempo necessario a scegliere insieme: questo è il metodo che adottiamo.
La partecipazione associativa – che viviamo a partire dalla Co.Ca. – ha il proprio fondamento nella fiducia. Merita fiducia chi, fratello o sorella scout, condivide l’avventura di educare e contribuisce a migliorare il mondo. Merita fiducia e ci rappresenta. Non per quel che pensa, nei suoi personali orientamenti politici, ma in ciò che abbiamo scelto insieme e che dà l’impronta al suo stile vita.
Partecipare in ASSOCIAZIONE
Non diversamente accade ad ogni livello associativo. Ogni scelta è orientata a rendere la nostra proposta educativa la migliore possibile, ed è sempre compiuta con lo sguardo rivolto ai ragazzi.
Si discute nelle assemblee di zona, in regione, a livello nazionale: dal confronto alla scelta, dalla scelta all’azione, ovvero l’educazione. Ogni livello e organo associativo, ciascuno per il proprio ambito di competenza, per quanto Statuto e Regolamento gli attribuiscono. Ogni scelta così compiuta, ad ogni livello e secondo quanto stabilito, vale come volontà dell’Associazione.
Crediamo nei processi assembleari, nelle scelte di ampio respiro affidate a collegi ristretti, Consigli e Comitati, chiamati a concretizzarle. Sono queste le scelte che ci rappresentano, compiute nella fedeltà al Patto Associativo che ci unisce.
In forza di ciò gli organi associativi ci rappresentano e parlano per noi.
Partecipazione, AZIONE o attivismo
È un dubbio ricorrente. Possiamo sottoscrivere documenti e petizioni? Perché non prendiamo posizione sui temi che riguardano, più o meno direttamente, l’educazione ed i valori che orientano la nostra proposta?
Viviamo un tempo in cui spesso si confonde la modalità comunicativa con il contenuto della comunicazione, ci si trova costretti a comunicare, sotto la tirannia del tempismo, prima ancora di aver chiari contenuti e intenzioni.
Questo non è il nostro stile. Noi spesso siamo in ritardo nel dibattito pubblico, perché l’educazione ha bisogno di opinioni ragionate, a volte di sospendere il giudizio, di pensare bene, di confidare nella riflessione, nello studio e nel confronto. Chi ha la pretesa di fare educazione deve imboccare spesso una strada lenta, perché deve essere quella giusta.
L’AGESCI è interpellata in maniera esigente dal contesto storico che la Chiesa italiana e il nostro Paese vive. Non possiamo essere indifferenti a ciò che accade in questo tempo, alle questioni che interessano il presente e il futuro dei ragazzi, ai temi che orientano la vita.
Il nostro agire è politico, ma il nostro compito non è amministrare né governare.
Il nostro compito è accompagnare ragazzi e ragazze a vivere pienamente la propria cittadinanza. Noi non erigiamo barricate, noi costruiamo ponti, non ci interessa indirizzare opinioni, ma formare coscienze mature.
Crediamo che, in tempi di attivismo e di relativismo, operare in favore dell’educazione, orientati al bene comune, fedeli all’insegnamento sociale della Chiesa sia una scelta controcorrente: occorre impegno, creatività, competenza. Occorre essere liberi.
Di quella libertà che da educatori chiediamo ai ragazzi di sperimentare; di quella libertà con cui chiediamo ai capi di abitare i luoghi associativi.
Il Consiglio nazionale AGESCI
Misericordia e verità
In questo anno del Giubileo si parla di Misericordia un po’ in tutte le salse. C’è anche un po’ di buonismo, di solito, a condire il piatto. Si dice: misericordia è pazienza, voler bene, star vicino. E non si può dire che non sia vero. Si dice anche che per essere misericordiosi a volte bisogna chiudersi gli occhi, passar sopra ad alcune cose. Ma questo non è vero!
La misericordia è compagna di viaggio inseparabile della verità. Ma quale verità? Con quale misura si giudica il mondo, gli altri, noi stessi? Siamo noi il canone su cui misurare ogni cosa?
Uno scout sa che misura delle sue azioni è la legge. E la legge non è altro che un riflesso del Vangelo. È dunque il Vangelo che ci insegna qual è la verità. La verità del nostro agire, la verità sugli altri e sul mondo.
Guardiamo al mondo, agli altri e a noi stessi con occhi aperti, capaci di distinguere il bene dal male, la giustizia dall’ingiustizia, ma portiamo nel nostro sguardo la luce del Vangelo perché non ci capiti di giudicare in base al nostro capriccio o al nostro desiderio.
Questa è misericordia!
Dal Salmo 84
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra. Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a lui camminerà la giustizia e sulla via dei suoi passi la salvezza.
don Matteo
Telegramma #5
Parla Mafeking
Correzione fraterna è un metodo, non una premessa legittimante qualsiasi riprovazione Stop
firmato bad boy.
Hanno lasciato una traccia
Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe da una famiglia di proprietari terrieri.
Nel 1968 entra in seminario, vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Poi intraprende gli studi teologici nel seminario di Posillipo. Qui si licenzia in Teologia biblica e poi laurea in Filosofia alla Federico II.
Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani dove fa il caporeparto.
Nel 1982 è ordinato sacerdote. Diventa Assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente Assistente del settore Foulards Bianchi.
Dal 19 settembre 1989 era parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe.
Insegnava anche materie letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l’I.T.I.S. Alessandro Volta di Aversa.
Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sua chiesa, mentre si accingeva a celebrare Messa.
La sua morte non è stata solo la scomparsa di una persona vitale, di un capo scout energico, di un insegnante generoso, di un testimone d’impegno civile: uccidere un prete, nella sua chiesa mentre si accingeva a celebrare Messa è diventato l’emblema della vita, della fede, del culto violati nella loro sacralità. È stato il simbolo dell’apice cui può giungere la barbarie camorrista sui nostri territori. Il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana non possono essere dimenticati.
Uno dei suoi testamenti spirituali è il documento contro la camorra “Per Amore del mio popolo” scritto nel 1991 insieme ai sacerdoti della Forania di Casal di Principe: un messaggio di rara intensità e, purtroppo, di grande attualità.
Non dimenticare don Giuseppe Diana significa non solo ricordarlo per quello che era, ma soprattutto testimoniare quotidianamente il suo messaggio d’impegno civile, di lotta alla criminalità organizzata, di costruzione di giustizia sociale nelle comunità locali, d’amore per la propria terra.
Chi di LEGO ferisce…
Ciao a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di generazione X.
Di solito quando narriamo un aneddoto, e soprattutto se vogliamo dargli una morale o trasmettere con esso un insegnamento, noi che lo raccontiamo ci troviamo nella parte dei protagonisti.
Questo serve per creare un effetto di emulazione, sperando che l’ascoltatore (o, in questo caso, il lettore) si senta spronato ad agire come abbiamo fatto noi, conscio del fatto che una persona vera, fisicamente presente davanti a lui, ha davvero compiuto le azioni che gli sono state raccontate.
Un altro motivo è che questo genere di narrazione fa sì che colui che ascolta (o legge) riesca più facilmente ad immaginarsi la situazione, e se ne senta più immerso. Quante storie dell’orrore, dove l’immedesimazione è fondamentale, iniziano con qualcosa come “alcuni ragazzi della nostra età…” se non addirittura dovete sapere che un giorno, mentre camminavo in un bosco… “!
Eppure, nonostante tutti questi trucchi narrativi, stavolta non sarò io l’eroe della nostra storia, ma piuttosto colui che sì compie molte azioni in essa, ma che alla fine ne subirà tutte le conseguenze, e soprattutto la morale.
E siccome quello che sto per raccontarvi è personale e riguarda cose di cui un po’ mi vergogno, dimenticatevi tutto quello che ho scritto prima e ripetetevi che nella storia non ci sono io, ma un amico di un amico, o che io ve la sto raccontando ma in realtà io l’ho saputa dallo zio della cugina del fabbro del terzo cugino di ottavo grado del mio idraulico.
Fatto? Bene! Iniziamo la narrazione.
Molti di voi lettori si trovano probabilmente ancora in quella fase beata della loro vita fatta di spensieratezza e pomeriggi passati a casa di amici comunemente denominata “infanzia”.
A volte sembra difficile immaginarselo ma tutti, in un modo o nell’altro, hanno avuto un’infanzia e, quella del vostro qui presente è avvenuta, più o meno, ad inizio duemila.
Era un’epoca diversa e ancora un po’ confusa, contraddittoria e talvolta insicura.
Un’epoca in cui tutti credevano che Bill Gates avesse inventato internet da solo, in cui nei film d’azione non si poteva far vedere palazzi che crollavano per via di un certo fattaccio accaduto ad inizio millennio ed in cui tutti credevano davvero, anime sciagurate, che i videofonini fossero una buona idea.
Uh? Cos’è un videofonino? Ecco, appunto.
A quell’epoca, ogniqualvolta avessi un pomeriggio libero, a prescindere che il clima fosse caldo come su Venere o freddo come su Plutone, io ero solito inforcare la mia bicicletta e pedalare fino a casa di un mio carissimo amico, dove poi avremmo giocato fino ad essere esausti.
Uno dei giochi che preferivamo erano i LEGO. Non che costruissimo chissà quali cose, la parte più divertente era mettere insieme quattro pezzi, due personaggi, e poi lasciare che tutto il resto lo facesse l’immaginazione.
Certo però che la collezione del mio amico era bella. Molto bella. Aveva tanti, ma tanti pezzi che gli invidiavo tantissimo. E così, sapete cosa ho iniziato a fare?
Incomincio a rubarglieli.
Che, detta così magari alle persone più mature un furto del genere, tra bambini, sembrerà risibile, ma io ci tengo a ricordare che, comunque la si voglia mettere, stavo rubando ad un amico. Un amico che si fidava, e stavo tradendo la sua fiducia.
E sappiamo bene dove finiscono, almeno secondo l’idea dantesca, i traditori di quelli che si fidano.
Inutile dire che mi feci sgamare praticamente subito e che il mio amico, infuriato, smise di parlarmi per settimane. Pentito, provai più volte a chiedergli scusa, ma ormai sembrava che il nostro rapporto si fosse rotto per sempre.
Eppure un giorno, mentre sono all’oratorio, ecco che questo mio amico mi si avvicina e mi dice: “ciao”.
Che belle che furono quelle parole, e quanta speranza mi diedero! Ancora oggi non so cosa abbia spinto il mio amico a perdonarmi, se solo il suo buon cuore o forse il fatto che il sangue (perché i nostri amici più cari diventano ad honorem membri della famiglia, almeno per me) sono più densi dell’acqua.
E la cosa più bella, è che siamo amici tutt’oggi.
A conclusione di questo articolo sulla misericordia, voglio solo augurarvi, quando magari vi capiterà di trovarvi in una storia come questa, di essere nella parte del mio amico.
Tricheco birbante
La misericordia
La misericordia è un sentimento generato dalla compassione per la miseria altrui (morale o spirituale). Tale termine deriva dal latino misericors (genitivo misericordis) e da misereor (ho pietà) e cor -cordis (cuore). È una virtù morale tenuta in grande considerazione dall’etica cristiana e si concreta in opere di pietà o, appunto, di misericordia.
Questo è ciò che ci dice la nostra carissima Wikipedia.
Per spiegare il significato che questa parola ha per me, vi racconto un’esperienza di noviziato fatta qualche week-end fa.
L’uscita del 28 febbraio è stata dedicata ai ciechi dato che volevamo provare esperienze diverse da quelle che abbiamo sperimentato nelle domeniche e nei pernotti precedenti.
Ovviamente il tempo era contro di noi, ma un buon scout sa come attrezzarsi!
In mattinata, stando in sede dopo la messa, abbiamo cominciato ad approcciarci al mondo dei non vedenti con attività preparate da due nostri compagni di avventure.
Ebbene sì, un certo signor M ed una certa signora E, come prima cosa ci hanno fatto ascoltare un brano. La protagonista era una ragazza che aveva perso la vista.
Noi abbiamo chiuso gli occhi, abbiamo spento le luci, abbiamo ascoltato la sua voce e tramite essa ci siamo immedesimati.
Questa ragazza, il cui nome era indefinito, raccontava di una sua normalissima giornata al mare. Ovviamente non descriveva ciò che vedeva con gli occhi; ma ciò che vedeva con le orecchie, con il naso e con il tatto: ci ha fatto capire quanto noi, vedendo le cose, a volte ci dimentichiamo di avere altri quattro sensi.
Una dimostrazione è stato il rumore che producevano le onde infrangendosi sulla spiaggia, il verso dei gabbiani, la temperatura che diminuiva con il tramonto ed aumentava con l’alba, il suono armonioso di una chitarra e le emozioni che tutto ciò riusciva a scatenare in questa ragazza.
E’ stato un momento splendido, mi sembrava di essere sulla spiaggia accanto a questa nostra amica che ci raccontava ciò che lei purtroppo non poteva vedere. Sentivo l’odore e il rumore del mare come quando annusi e porti all’orecchio una conchiglia trovata sulla sabbia. Sentivo la brezza sulla pelle e il verso dei gabbiani. Quante cose si possono vedere anche se si è non vedenti, quanti colori, quante emozioni, quanta gioia anche in una cosa così triste.
Finito questo momento ci siamo bendati tutti, ed i due organizzatori della giornata hanno fatto dei rumori con degli oggetti e noi per alzata di mano dovevamo capire che cosa fosse. Porte che sbattevano, sedie trascinate, penne sbattute sui quaderni di caccia, chiusura della cover del telefono, rumore di pagine di giornale sfogliate…
Successivamente ci siamo divisi in gruppi da tre e dovevamo mettere in atto una scenetta totalmente inventata da noi nella quale dovevamo far capire ai nostri compagni bendati, attraverso un narratore e degli attori che producevano i rumori di ciò che stavano recitando, ciò che la nostra scenetta prevedeva.
Dopodiché abbiamo fatto un gioco, ma ovviamente sempre in tema: mosca cieca!
La prima mosca è stata Luca che dopo un po’ di tempo e qualche testata al muro del porticato è riuscito a prendere Pier. Poi abbiamo continuato a giocare fino all’ora di pranzo.
Nel pomeriggio abbiamo preso un “ciuf ciuf” e siamo andati a Milano per partecipare al “percorso al buio”.
Per chi non c’è mai stato è un posto dove si può vivere un’esperienza da non vedente.
Prima di tutto ciò, però non può mancare l’aneddoto divertente della giornata.
Marco ha preparato un bella “Lista dei monumenti” che Luca Deveronico e Alex avrebbero dovuto visitare, mentre tutti gli altri facevano il percorso (una specie di caccia fotografica). Ovviamente pioveva quindi immaginate la gioia sul volto di Luca e di Alex che dovevano farsi questa bellissima attività alternativa. Abbiamo riso per tutto il resto della giornata pensando alle loro due facce che tramutarono dallo stupore, alla rabbia e alla tristezza!
Dopo di che ci siamo divisi in due gruppi e abbiamo iniziato l’attività.
La guida del nostro gruppo era Nevina. Ci ha dato dei bastoni per non vedenti e poi siamo entrati. Era tutto completamente buio, non si vedeva nulla.
Quando i nostri occhi si sono abituati alla situazione abbiamo cominciato seguendo le indicazioni di Nevina, che era l’unica a sapersi orientare alla perfezione.
All’inizio era un po’ spaventata, ma la nostra guida è stata in grado di mettermi a mio agio in pochi minuti e di farmi rilassare.
Nella prima stanza ci siamo trovati in un bosco. Si sentiva profumo di terra, di sottobosco e di muschio. L’aria era umida, il pavimento coperto da sassi. Abbiamo annusato delle piante che siamo riusciti a riconoscere come l’alloro, la lavanda e il rosmarino. Abbiamo toccato un ruscello e delle rocce umide.
Abbiamo fatto anche un giro in barca!
Nella seconda stanza eravamo in una camera e dovevamo cercare dei mobili. Io ho trovato un divano, un comodino, un armadio e uno specchio.
Poi ci siamo radunati tutti attorno ad un tavolo rotondo e Nevina ci ha fatto riconoscere altre spezie: cannella, origano e chiodi di garofano. Poi ci ha fatto toccare degli animali giocattolo e noi dovevamo capire quale fosse. Io avevo l’ippopotamo, sarà una coincidenza?
La terza stanza simulava una strada. C’era tanto rumore, quasi dava fastidio.
Rumore di clacson, di macchine che sfrecciavano, di moto e di persone che parlavano. Rumore di treni sulle rotaie.
In quel momento ho avuto paura.
Mi sono immedesimata in una persona non vedente che deve affrontare tutti i giorni un caos del genere.
Io non ci ho mai fatto caso perché prima di attraversare la strada posso guardare a destra e a sinistra, perché prima di attraversare sulle strisce pedonali, davanti ad un semaforo, so se esso è verde, giallo o rosso. Perché so che un giorno potrò guidare la macchina e forse sentirmi un po’ più sicura per strada. Perché posso vedere quando sta per arrivare un treno o una metro e so quando si sta avvicinando un pullman.
Capisco che terrore possa provare una persona non vedente tutte le volte che esce dal cancello di casa.
Posso immaginare l’ansia che provi quel soggetto e purtroppo la tristezza magari nel non poter vedere con gli occhi ciò che vede con altri sensi. Ma ogni cieco, come dice Nevina, sogna. Perché ha tutto un modo suo di immaginare i colori, le forme degli oggetti, la faccia che una persona che sta parlando potrebbe avere.
L’ultima sala è un bar e tu puoi ordinare quello che vuoi. Arianna, la barista, mi ha dato un succo di frutta all’albicocca e ha preparato un caffè alle altre persone che erano con me, ed è non vedente.
Ci siamo seduti al tavolo e abbiamo avuto la possibilità di fare tutte le domande che ci venivano in mente a Nevina.
La prima cosa che le ho domandato era se lei fosse non vedente e lei mi ha risposto che è nata ipovedente (era in grado di vedere solo le ombre), ma che ora non vede quasi più neanche quelle.
Le ho chiesto anche qual è la cosa più difficile che fa ogni giorno e le esperienze più belle che ha vissuto.
Per la prima domanda ha risposto che in realtà ogni cosa che fa tutti i giorni è difficile. Anche già solo l’alzarsi dal letto. Ha detto che ora è in grado di cucinare le cose più semplici come un piatto di pasta al sugo, ma che per le cose più complicate fa fatica, sta ancora imparando insomma.
Ha fatto diverse esperienze che probabilmente quasi nessuno farebbe anche vedendoci benissimo: parapendio, paracadutismo, sci d’acqua e tante altre attività adrenaliniche.
Mi ha colpito la gioia che mi ha trasmesso questa ragazza di trent’anni, il calore della sua voce, le emozioni che è stata in grado di farmi provare e l’allegria che ci ha messo nel farci percorrere questo viaggio che è durato un’ora e mezza.
Anche se non ho mai visto la sua faccia, perché ci ha lasciati prima che potessimo vedere di nuovo, so che ha sempre parlato con il sorriso stampato sul volto, perché quando una persona sorride mentre parla si nota la differenza.
Ho capito grazie a questa esperienza quanta fatica faccia una persona non vendente e quanto debba concentrarsi per ascoltare la voce di una persona che guidi i suoi passi, e vi assicuro che nella durata del percorso ho preso trentadue spigoli con il mignolo del piede, almeno tre muri in faccia, avevo la sensazione di entrare da una porta girare in tondo e riuscire dalla stessa parte e ho preso più gomitate in faccia dagli altri ragazzi in un’ora e mezza che in quasi un anno di attività insieme.
È stata un’esperienza che mi ha lasciata a bocca aperta e forse toglierei come parole che principalmente ci vengono in mente associate alla misericordia come pietà e compassione.
Per me questa giornata ha permesso ad ognuno di noi di portare la luce a chi non ce l’ha e ha insegnato a noi che forse dovremmo un po’ crescere e smetterla di avere paura del buio.
“È una buona lezione quella di questa mostra che apparentemente non mostra e che, invece, insegna, a noi fagocitati delle immagini, anche il valore del buio per vedere davvero la realtà.”
Tigre energica