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Fratellanza scout

“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Questa è la semplice frase di Martin Luther King con cui ho deciso di iniziare il mio articolo. Innanzitutto mi presento: mi chiamo Martina e sono una futura CDA dei Tiko. Questa è la terza volta che scrivo sul Tuttoscout, e questo è l’argomento che fra i tre preferisco.
Tornando alla frase, se ci riflettiamo è proprio vero: alcune persone si odiano solo perché hanno la pelle di un colore diverso, perché non parlano la stessa lingua o perché credono in un Dio diverso.
Nella vita di tutti i giorni, per esempio a scuola, senza accorgercene lasciamo da parte quelli diversi da noi che poi si sentono soli.
Quando mi accorgo che qualcuno si sente solo, provo a mettermi nei suoi panni e mi rendo conto del disagio che si prova, è davvero molto brutto sentirsi esclusi! Ma perché si sentono esclusi? La risposta è una sola: perché sono diversi. Perché molte persone non hanno ancora imparato “l’arte di essere fratelli”.
Ora, se c’è una cosa che, vi posso garantire, agli scout imparerete, è proprio l’arte di essere fratelli. Nel mio branco, per esempio, ci sono alcuni ragazzi con difficoltà fisiche o mentali; all’inizio un lupetto può pensare: “no, ma che noia, io sono venuto qui per divertirmi e invece con loro mi annoierò e basta”. Ve lo assicuro, tutti, me compresa, all’inizio pensano questo, poi però scoprono che non è assolutamente vero.
Con loro ci si diverte allo stesso modo come con gli altri, anzi, dopo un po’ non si riesce nemmeno più a fare a meno di loro perché sono davvero simpatici. Imparare ad essere fratelli è molto facile agli scout, tuttavia tantissime persone non lo capiscono e forse non comprenderanno mai il significato della parola “fratellanza”.
Penso che se la maggior parte dei bambini e ragazzi andassero agli scout, il futuro sarebbe più bello e meno “razzista”. Uso questa parola per spiegare meglio il concetto, anche se è un termine che non mi è mai piaciuto perché tra gli uomini non esistono “razze”, ma solo lingue, tradizioni e religioni diverse.
Martina Simone (Lince determinata)

Fratelli migranti

Ogni sera la notizie che ci provengono dal telegiornale ci pongono dinnanzi ad un roblema che ricorderemo tipico del nostro tempo. Gli esodi di massa che da ogni parte del mondo si muovono verso la nostra Europa già in declino ci interrogano seriamente sul significato dell’essere fratelli in un unico Dio e su come questo si traduca in risposta concreta e consapevole. Possiamo sentirci fratelli in Dio in senso ampio, piuttosto che in Cristo, che nello scautismo; ma ciò che ci renderà tali sarà sempre la capacità che avremo di rinunciare ad un nostro personale beneficio in ragione di un bene che va oltre a noi.
Tutto ciò per promuovere un mondo che più che piacerci sia giusto e che lo sia per tutti. È così nella Chiesa, è così nello scoutismo. Questo andiamo ad affermare con il nostro servizio, non altro. “lo scoutismo è una forma di fratellanza; cioè un movimento che non fa alcun caso, in pratica, a differenza di classe, religione, nazionalità o razza per lo spirito indefinibile che lo pervade, lo spirito del gentiluomo di Dio. Uno scout è amico di tutto il mondo ed un fratello di ogni altro scout. Il modo per avere un amico è di esserlo per qualcuno.” B.P.
Fabio Peruzzo

La sindrome del nonno pantofolaio

Con un grande salto di Akela, all’inizio di questo anno scout, ho lasciato la Giungla e sono atterrato nel villaggio degli uomini: la branca EG. Un cambiamento di servizio inaspettato, accompagnato da molte curiosità: che cos’è il reparto oggi? Quali competenze mi occorrono per abitare la verde avventura? I ragazzi di oggi sono come ero io, come erano i miei compagni di reparto? A queste e a molte altre domande ho cercato di dare una risposta in questi primi tre mesi di attività.
È stato inevitabile paragonare la mia esperienza di reparto, di squadriglia, in generale di relazione, con l’esperienza vissuta oggi dagli esploratori e dalle guide del reparto Orione. Non posso dire di aver risposto a tutto, ma posso comunque proporvi una prima serie di considerazioni.

I ragazzi sono cambiati: pare un’affermazione scontata, ma occorrono delle precisazioni. Siamo un po’ tutti vittima, noi capi, della sindrome del nonno pantofolaio: “Non c’è più il reparto di una volta! Ai miei tempi…”. Veterani di innumerevoli campi invernali, di Pasqua ed estivi ci sentiamo forti nell’affermare il primato del reparto di allora contro la mediocrità del reparto di oggi. Non posso avere certezze, ma credo che si tratti soltanto di una questione di prospettiva. Ora che siamo noi i grandi, i ragazzi ci sembrano davvero piccoli. I ragazzi sono cambiati perché è mutato l’ambiente che vivono e perché i capi non sono più gli stessi. Ogni peggioramento, se c’è, è da ricondurre a questi due fattori. Esemplifico: quando ero io in reparto WhatsApp non esisteva ancora ed oggi la dinamica dei gruppi, delle visualizzazioni senza risposta e degli status influenza decisamente il modo in cui i ragazzi si relazionano (ecco allora il compito della Staff: leggere il fenomeno, tenere ciò che di buono c’è, buttare il superfluo…); quanto al fattore capi possiamo dire con saggezza Bellottiana: la squadriglia è lo specchio del capo squadriglia, il reparto è lo specchio dei capi reparto (da qui si deduce che ogni staff ha uno stile, predilige aspetti diversi dell’avventura scout e quindi, in definitiva, lascia un’impronta diversa).
Quanto alle competenze richieste al capo (in particolar modo in branca EG), penso che non serva molto più di quel bagaglio minimo costituito dalle capacità e dalla tecnica dell’uomo dei boschi (che il capo avente una formazione scout dovrebbe già possedere). B.-P. stesso ci ha tranquillizzato su questo punto: “vorrei smentire il diffuso preconcetto che, per essere un buon capo, uno debba essere una persona perfetta o un pozzo di scienza” (Il libro dei capi, capitolo I). Oltre a questo, oggi più che mai occorre ricordare la competenza fondamentale, ben sintetizzata da una frase del Papa che costituisce il tema di questo numero di Tuttoscout: “essere costruttori di ponti”, cioè essere abili tessitori di relazioni, essere capaci di arrivare a tutti e specialmente ai più lontani, ai più soli, ai più deboli.
Carlo Maria

Gli aquiloni vogliono volare

Coraggio.17
Una vita senza sfide, senza ostacoli, non è degna di essere così chiamata.
Quando l’uomo si misura con le difficoltà che incontra, conosce un po’ di più sé stesso.
Cos’è una sfida?
È “Nostro Meglio”, “Eccomi”, “Estote Parati”.
È sogno, determinazione, obbiettivo.
È testa alta e maniche arrotolate.
Chi siamo noi, BoyScout, se non proprio coloro che perseguono i loro sogni senza mai lasciarsi fermare dagli ostacoli che incontriamo lungo la strada? Dobbiamo essere fieri di noi stessi! Costruiamo un piccolo Mondo, all’interno di uno più grande, in cui non ci sono soltanto parole; dove i sogni più belli non finiscono quando ci svegliamo la mattina, ma sono Aquiloni liberi di volare più in alto e superare l’Impossibile. Noi che abbiamo davvero il coraggio di far volare i nostri Aquiloni. In nove anni di scautismo mai come ora sono orgogliosa di far parte di questo “Noi”. Noi che non siamo tonni, ma salmoni che nuotano controcorrente; come mi direbbe il vecchio Akela.
Mi chiedo: che rumore fa la Felicità?
Felicità è realizzare un sogno; sogno è puntare il dito sulla vetta della montagna; la montagna è la nostra sfida preferita. Quindi, Signori, cosa stiamo aspettando? Scaliamole queste montagne, puntiamo la bussola verso i nostri aquiloni.
Dopotutto basta un pizzico di coraggio per mettere un piede fuori dalla porta.

Cigno Determinato

Che sia un muro o un ponte…

24Se parliamo di idee, di concetti, un muro e un ponte sono due cose opposte: il muro divide, il ponte unisce. Se però cerchiamo una prospettiva un po’ più pratica della cosa ci accorgiamo che per quanto diversissimi tra loro un muro e un ponte hanno lo stesso inizio. Serve un punto fermo. “Campata per aria” è un modo di dire che indica una cosa senza fondamento: la campata è un elemento architettonico tipico del ponte, è quel pezzo di ponte tra due piloni o due colonne. Senza punto di appoggio la campata è “per aria”: non può reggersi, figurarsi far passare qualcuno. Anche un ponte di corde ha bisogno di una presa stabile, non c’è scampo (e non venite a propormi un ponte sostenuto dai palloncini!).
Se vogliamo costruire ponti ci serve dunque un punto stabile da cui partire: cosa sarà? E non mi dite Gesù, non è (ancora) la risposta giusta! Il punto stabile da cui partire siamo noi, è la nostra identità! Se il ponte deve collegare me e te devo sapere dove sono io, chi sono io! Non posso semplicemente lanciarmi verso di te con le dita incrociate: sarebbe una cosa “campata per aria”. Se vogliamo davvero costruire ponti dobbiamo partire da noi stessi, dalla nostra identità: la nostra identità di uomini e donne, di scout, di cristiani, di italiani.
Ma attenzione: un punto fermo può essere l’inizio di un ponte o di un muro. Il problema non è l’identità ma come ci si costruisce sopra. Se voglio alzarmi più in alto degli altri metterò i mattoni uno sopra l’altro: ecco un muro. Se voglio andare incontro all’altro metterò i mattoni uno a fianco all’altro: ecco un ponte. Ma se dimentico il punto fermo non importa come metto i miei mattoni: è tutto destinato a crollare.
Ed ecco l’augurio per il Natale: che ciascuno di voi possa trovare il punto fermo della sua vita, la stella polare per non perdere la direzione. Buon Natale!
Don Matteo

Due esempi di vita di rara bellezza

06Se avessi una macchina del tempo organizzerei un incontro tra B.P. e P.F.
Sappiamo tutti chi è B.P.
Ma P.F.? Papa Francesco!
Sono entrambi due esempi di vita di rara bellezza.
B.P. ci esorta: “Cercate di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”
È una frase importante. Ma come si fa?
Il nostro amato Papa ci suggerisce dei modi possibili.
Il 13 giugno, durante l’udienza generale in San Pietro (e noi c’eravamo!) ci chiede un impegno: “Fate ponti, per favore. Col dialogo, fate ponti!”
Considerando inoltre che l’8 dicembre è iniziato l’Anno Santo dedicato alla misericordia ci siamo interrogati su cosa avremmo potuto fare di concreto.
Ecco perché noi coccinelle abbiamo deciso di creare un ponte con l’associazione “Casa Onesimo” di Busto Arsizio. È una struttura che offre ospitalità a rifugiati, ex detenuti e detenuti in fine pena con lo scopo di aiutarli in un inserimento nella società.
Abbiamo trascorso un pomeriggio magico! Non saprei come definirlo in altro modo!
Quando siamo arrivati siamo stati accolti da 3-4 ragazzi della struttura e da operatori e volontari che prestano lì il loro servizio.
Ci siamo seduti in cerchio, le cocci hanno loro offerto biscotti e cioccolatini e abbiamo iniziato a conoscerci.
Noi ci siamo presentati, ma la nostra era un normale racconto di un gruppo scout.
Quando loro si sono presentati, in varie lingue ci hanno raccontato di viaggi della speranza, famiglie disperse di cui non si avevano notizie, figli lontani, parenti sicuramente persi… a loro il merito di averlo fatto con rara delicatezza, ma vi assicuro che sentirlo dalla viva voce dei protagonisti è diverso che ascoltarlo al telegiornale!
Ma il bello è stato che subito dopo ci hanno detto di quanto erano felici di avere una speranza per il futuro, per esempio uno di loro vorrebbe diventare un rapper famoso e si è esibito per noi. A quel punto noi abbiamo rilanciato coinvolgendoli con le nostre bans ed era fantastico vedere come man mano si univano altre persone a noi e i sorrisi si moltiplicavano sempre più.
Inoltre le cocci hanno addobbato per loro due alberi di Natale!
Dopo un po’ di foto ricordo purtroppo era il momento di lasciarci: non dimenticherò mai quegli occhi pieni di gratitudine e quegli abbracci sinceri per il tempo e la gioia che avevamo condiviso con loro.
Sono sicura che anche questi piccoli gesti rendano il mondo migliore!
Mamma scotty

Generazione X

Ciao a tutti, cari amici ed amiche, e benvenuti ancora una volta sulla nostra rubrica di “Generazione X”.
Buttando l’occhio fuori dalle finestre delle nostre case non viene difficile riconoscere nel paesaggio intorno a noi i tipici elementi della stagione invernale: cielo plumbeo e carico di nuvole, alberi spogli con nodosi rami a vista, che diventano braccia di spettri quando immersi nella fitta nebbia della sera.
Mentre la natura si spoglia dei suoi colori per prendersi un meritato momento di riposo, l’uomo estrae invece luci e festoni, ed inizia con esse ad addobbare le proprie case e le proprie città.
Siamo finalmente entrati in quel periodo in cui lampadine di mille colori illuminano i balconi dei privati e le vie dei centri, e dovunque le vetrine dei negozi si riempiono di fiocchi e cappelli rossi col pon-pon.
Le scuole e le chiese iniziano invece ad allestire pubblicamente i loro presepi, perché non bisogna mai scordarsi, nonostante le mille tentazioni commerciali della stagione, che la festa in arrivo, quella del Natale, esiste per commemorare la nascita di Gesù Cristo.
Eppure, ogni anno, non solo la commercializzazione ma anche alcuni individui provano, e a volte riescono, a togliere quest’ultimo significato alla festa. Proponendo che si eviti di allestire i presepi, che si evitino canzoni natalizie a tema religioso, arrivando anche a modificare il proprio linguaggio, optando per un più generico “buone feste” rispetto al più tradizionale “buon Natale”.
La ragione che spinge certe persone a fare queste proposte è l’idea che, in questo modo, si porterà maggiore rispetto a tutti gli abitanti non cristiani del paese. Si eviterebbe, insomma, di obbligarli ad immergersi in una tradizione non loro.
Eppure, questo non mi sembra il modo migliore per confrontarsi.
Se davvero rispettassimo queste persone, non ci vergogneremmo di mostrare loro un pezzo della nostra tradizione, del nostro retaggio, della nostra cultura.
A che scopo erigere intorno ad esse un muro di “politicamente corretto” oltre al quale nessuno riesce più a vedere nulla, se non i festoni della commercializzazione che gli sono stati appiccicati sopra?
Piuttosto, meglio un ponte, un ponte fatto non di fango umido ed informe, ma da grossi tronchi d’albero, alberi che hanno avuto la loro storia e le loro radici, magari piantate nei lati opposti del fiume che questo ponte collega.
Perché è questo che fa un ponte, non solo unisce, che già di per sé è un’ottima cosa, ma unisce due realtà diverse, due sponde di un fiume, due lati di un fossato, talvolta addirittura due nazioni diverse.
La stessa cosa dovremmo fare noi, renderci ponti umani pronti a condividere ciò che ci costituisce, cultura compresa, con chiunque sia interessato. In particolare durante questa stagione di festa, dove l’unica cosa che ci viene chiesta, in realtà, è di volere bene ed accettare il prossimo.
Così come Maria, quella notte di più di duemila anni fa, accettò di portare al mondo il salvatore.
Auguri di buon Natale a tutti!
Tricheco Birbante

Jamboree 2015

logo Caro lettore, stavolta voglio parlarti del viaggio in Giappone che ho fatto quest’esta  te… Ovviamente tu ti starai chiedendo: “Perché costui vuole parlarmi del suo viaggio in Giappone, ma soprattutto cosa c’entrerà mai con gli scout un posto così lontano?!”
Beh ti posso dire che c’entra… eccome se c’entra!
Questo viaggio mi ha portato a conoscere un sacco di scout provenienti da tutto il mondo, e le loro storie.
La destinazione finale del mio viaggio è stata Kirarama nella prefettura di Yamaguchi al 23° World Scout Jamboree.
jamboree2015 Prima di partire però ho dovuto partecipare a due campetti che servivano ad illustrarmi la cultura del paese ospitante (il Giappone, appunto) e su come comportarmi ad un evento così importante.
Non voglio però dilungarmi troppo sull’aspetto pre-Jamboree, ma voglio illustrarti le tappe del mio viaggio e che cosa ho fatto al 23 WSJ.

Partenza ore 14:00 del 22/07/2015
Luogo: Milano Malpensa
Da qui parte la mia fantastica avventura che mi porterà in Giappone passando per Doha in Qatar, il volo è durato un sacco… circa 21 ore di viaggio, però dopo qualche film e qualche partita ai videogiochi sono finalmente arrivato in Giappone, più precisamente a Osaka all’aeroporto del Kansai.
Da lì io e gli altri ragazzi arrivati lì per il Jamboree ci siamo spostati in treno, direzione Kyoto, tappa intermedia del nostro viaggio.

jamboree_flags24/07/2015
Luogo: Kyoto
Qui ci siamo fermati per tre giorni per fare in modo che noi IST (International Service Team) potessimo incontrare l’affascinante cultura giapponese… Qui secondo me la parola “WA” (tema del Jamboree) che significa armonia, viene molto rappresentata da questa città dove tecnologia e passato si sposano.
Basti pensare che Kyoto è la città dove ha sede la Nintendo, ed è allo stesso tempo la Firenze del Giappone grazie al fatto di essere stata la sede del palazzo imperiale. Trascorsi questi tre giorni all’insegna della scoperta di una cultura completamente diversa il viaggio riparte e questa volta durerà 18 ore estenuanti di autobus: destinazione finale Kirarama.

26/07/2015
Luogo: Kirarama, prefettura di YamaguchiItalianContingent
Eccoci qua finalmente al Jamboree. Dopo esserci registrati come IST abbiamo iniziato due giorni di training che ci avrebbero permesso di svolgere le attività assegnateci prima di partire dalla staff giapponese. Nel mio caso ero stato assegnato al “safety department” che si occupava di far mantenere l’ordine e la calma all’interno del Jamboree: una sorta di vedetta che segnalava i problemi via radio.
Ovviamente facendo questo servizio mi sono anche cuccato i turni di notte, all’inizio non così drammatici, ma verso la fine sono diventati sempre di più un macigno sulla testa perché il turno durava la bellezza di sei ore, e la zona che ci davano da sorvegliare era un sotto campo intero da tenere sotto controllo girandoci dentro per almeno una decina di volte in tutto il turno… Per fortuna però l’ho passato in compagnia, svolgendo il servizio all’interno di una squadra composta da tre svedesi, un inglese e un italiano, collega di turno nonché mio compagno di tenda.
Grazie a loro i turni sono volati in un baleno. Oltre a questo al Jam quando non avevo turni ero solito visitare i vari stand delle nazioni dove ti venivano spiegate la loro cultura, religione ed innovazioni o conoscere persone e le loro storie di vita scout. Capitava anche che mi dedicassi allo swap, cosa molto importante al Jam.
Esso consiste nello scambio di patacchini, fazzolettoni o uniformi. L’aspetto più interessante di questa attività è che dietro ad ogni oggetto scambiato c’è una storia da raccontare.
I giorni passati al campo volavano e piano piano si avvicinava la data della partenza per ritornare a casa, però ad essere sincero sono ripartito da Kirarama con uno spirito diverso, con qualcosa in più che prima non avevo. È difficile da spiegare, è come un’energia che ti hanno donato le persone incontrate lungo il cammino, raccontandoti la loro esperienza scout e di tutti i giorni.

09/08/2015
jambo-siteLuogo: Aeroporto di Fukuoka
Il viaggio sembra ormai finito, invece mi aspettano la bellezza di 31 ore di volo e toccherò non una bensì due città dove farò scalo: la prima sarà Tokio e la seconda Doha per poi atterrare finalmente a Milano Malpensa dove lì mi aspettano i miei familiari e i miei amici.

Per concludere, il Jamboree è stata un’esperienza che mai dimenticherò e che consiglio vivamente; è vero, non l’ho vissuto da partecipante, come IST la differenza è molto ampia, però onestamente è stato come se fossi un partecipante… La cosa che mi ha fatto riflettere molto e che mi ha entusiasmato di più è vedere, anzi dimostrare, che vivere a contatto con altre culture in armonia per due settimane è POSSIBILE.

Matteo Squizzato (Mastino Grintoso)

Sono Musulmana e porto il velo…

Cari amici, il numero di questo mese è dedicato ad un tema particolare: il “fare ponti”, come ci dice Papa Francesco, una cosa che noi scout sappiamo (e dobbiamo saper fare) bene!
Mi vengono in mente le parole di Greg Monterson, alpinista, scrittore di “Tre tazze di te” e “La bambina che scriveva sulla sabbia”, e costruttore di scuole “negli ultimi posti al mondo”, che racconta di quando la sua associazione, il Central Asia Institute, costruì la sua prima scuola alle pendici del K2: in pratica, dopo tanto pianificare per costruire la scuola, ci si rese conto che non sarebbe stato possibile fare nulla senza prima costruire un ponte che portasse la strada, e quindi i mattoni e tutto il necessario, fino allo sperduto villaggio. “Da quel giorno – dice Greg – ogni volta che abbiamo costruito una scuola abbiamo dovuto, prima, costruire un ponte. Non un ponte fisico, ma un ponte di relazioni
Ecco, noi scout siamo (e dobbiamo essere) bravi a fare entrambi ma, questa volta, vorrei raccontarvi un esempio di come si possa “costruire un ponte” in men che non si dica, anche mentre si aspetta l’autobus…

Salma ha 21 anni e studia giurisprudenza all’università. Da mesi percorre la stessa strada per prendere il pullman e, ogni mattina, incrocia un signore di mezza età che la guarda dall’alto in basso, sbuffa, borbotta qualche frase razzista e prosegue. Salma sarebbe anche capace, con il suo caratterino, di rispondere in modo poco educato facendosi anche un paio di risate, ma si trattiene fino all’ultimo.
Arriva poi, inattesa e mai voluta, la strage di Parigi. La reazione dell’anziano signore è da quel giorno ancora peggiore: ogni volta che vede Salma alla fermata, scappa! Il primo giorno, anche Salma è spaventata, il secondo, rimane allibita dal suo comportamento, il terzo giorno, ride!
Al quarto giorno, decide di fermarlo e chiacchierarci nel modo più educato che esista: “Senta, stia ad ascoltarmi, una volta che avrò finito, scapperò io! Io sono musulmana, glielo dico perché ritengo che sia giusto darle delle spiegazioni. Dunque, sono Musulmana, con la M maiuscola (in fondo è una fede come le altre e va rispettata) porto il velo e sotto di esso ho dei capelli, ben lavati con uno shampoo italiano, a base di keratina. La mattina ho il piacere di incontrarla perché frequento l’Università di Milano e capirà anche che anche se sono un’immigrata pago le tasse, anzi non sono io a pagarle ma mio padre, un uomo che lavora duro, è un operaio e trascorre più ore al lavoro che con noi…
E quindi? – risponde duro il vecchietto – Che c’entra? Stai solo perdendo tempo: voi” musulmani “siete dei terroristi senza cuore!
Aaaalt – riprende, ferma, Salma – non ho ancora finito! Come musulmana non mi dissocio da nulla, significherebbe distaccarsi da un’idea alla quale avevo precedentemente aderito. Non giustifico la mia religione, perché, come lei saprà, tutte le fedi diffondono amore, fratellanza, giustizia e equità! L’Islam vieta il crimine, chi uccide un solo uomo è come se avesse ucciso l’umanità intera.”
C’è un attimo di pausa, forse solo un prender fiato o forse il cenno di un primo collegamento…
Una domanda – continua lei con un sorriso – sa fare qualche conto in matematica? Io non sono bravissima ma ci vuole poco per dire che 1+1=2.
Certo che so contare – risponde ancora, offeso, il passante – che credi? che io sia analfabeta, per chi mi ha preso?
No, ma si figuri, tutti – precisa Salma - siamo ignoranti su qualcosa: a scuola o nella vita ignoriamo sempre qualche materia o situazione mondiale e, quando qualcuno ne parla con noi, non riusciamo a rispondere a tale argomento. Questo significa ignorante: che non sa qualcosa!
Ma tornando al discorso di prima: Musulmano = Terrorismo, giusto?
La risposta è un “sì” secco: “c’è poco da spiegare qui!
Ma Salma non si arrende: “Certo, come si chiama lei e che lavoro fa?
“M… e faccio lo spazzino!
Ok, ma allora se ragioniamo come prima potremmo dire: italiano= mafioso, M… = spazzino. suona bene?
Qualcosa si muove…
Certo che no! Smettila di usare certe metafore! noi non siamo tutti mafiosi e io non mi chiamo spazzino
Ecco, le ha dato fastidio vero? Beh è esattamente la stessa cosa che provo io ogni volta che lei sbuffa, borbotta o scappa; anzi mi spaventa.
La voce della ragazza col velo è calma, ma decisa: “Ha dimenticato le stragi della prima e seconda guerra mondiale? E quello che sta succedendo in Siria, Iraq, Palestina… la lista è lunga non sto qui ad elencarle. Quello si chiama terrorismo, esso non ha etichette religiose, culturali. Ha solo un nome: disumanità.
La disumanità è un terrorismo a cui piace la moda: una volta si veste all’americana, una alla musulmana… sono sicura che un giorno andrà in giro anche in “minigonna e top”… Ci lascerà a bocca aperta e ci spappolerà il cuore, vedrà!
Ultimamente la disumanità, ha deciso di mettere la tunica e far crescere un po’ di barba. Prima o poi passerà anche questa moda. Persino il silenzio è una forma di terrorismo: abbiamo calpestato la nostra dignità, spazzato la misericordia, oppresso la coscienza e ucciso l’umanità.
È stata dura, ma la lotta contro il fiume è stata vinta e sono state gettate le fondamenta di un nuovo ponte, di un nuovo legame…
Beh, signorina – la voce dell’anziano signore ora è diversa, quasi dolce – non so che dire. mi ha lasciato senza parole… ha ragione dobbiamo imparare a informarci un po’ di più, prima di aprir bocca… mi perd…
Lo sa che adoro il caffè?”, dice Salma ancora prima che l’altro possa finire di scusarsi, perché ormai il ponte sembra saldo e bisogna solo provare ad attraversarlo…
Il bar è qui davanti a noi. Questo significa che accetta le mie scuse?
Per un buon caffè farei di tutto – ammette la nostra amica - domani mattina scapperà ancora quando mi vedrà? Perché mi divertiva vedere la sua faccia terrorizzata!
Il signore, con un sorrisone stampato in faccia, risponde: “Lei è riuscita a cambiare la mia prospettiva, io le strapperò un sorriso per il resto della settimana…

Enrico Gussoni