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Pernottamento al Mottarone


Dal Libro d’oro del reparto Phoenix, 7-8 febbraio 2015

Per affrontare questo pernotto, che aveva tutte le caratteristiche per essere eccitante, ci siamo trovati in stazione FS a Busto Arsizio alle ore 15.50 stracarichi con i nostri zaini, l’attrezzatura per la giornata di domenica da passare sulla neve, compreso il mio ingombrantissimo bob.

Arrivati alla stazione di Stresa dopo un viaggio di circa 40/50 minuti, abbiamo iniziato a camminare con meta la chiesa per assistere alla Santa Messa. Successivamente abbiamo acceso i nostri motori e siamo partiti per una camminata abbastanza lunga e faticosa, faticosa perché affrontando molte salite abbiamo bruciato tutta la benzina (dicasi calorie) che avevamo accumulato durante la giornata. Arrivati al collegio che avrebbe dovuto ospitarci per la notte eravamo desiderosi di mettere qualcosa sotto i denti, che poi abbiamo affondato con avidità nei nostri succulenti panini.

Dopo esserci saziati, ci siamo meritati una siesta di circa dieci minuti prima di affrontare il penultimo gioco della giornata. I capi alzavano all’unisono delle immagini e noi dovevamo comunicargli cosa ci veniva in mente inerente all’immagine scelta. L’ultimo gioco consisteva nell’organizzarsi in squadriglie e trovare i capi che interpretavano la parte del pensatore, del lebbroso, ecc… Finiti i giochi ci siamo preparati e accomodati nei nostri sacchi a pelo in vista della sveglia che doveva avvenire molto presto.

La sveglia é “suonata” alle 7.00, ci siamo preparati velocemente, fatto colazione e preso il pullman che ci avrebbe condotto in cima al Mottarone. Durante il viaggio abbiamo riso, scherzato e conversato, almeno fino a che io sono caduto in letargo come un orso, assai breve per dirla tutta, visto che é durata solo 40/45 minuti. Arrivati sulla vetta dopo circa 90 minuti di salita, eravamo rintontiti (per quelli dormienti) ma felici sapendo la giornata che ci aspettava. Atteso che i capi trovassero un posto dove potevamo fare le nostre attività, siamo scesi nella neve profondissima e ci siamo messi a fare gli igloo che dovevano servire come basi per un gioco. Il gioco consisteva nell’assediare gli altri igloo come i cavalieri assediavano le antiche fortezze. Finito il gioco ci siamo buttati sui panini rimasti per pranzare; poi abbiamo iniziato la seconda, e secondo me più divertente, parte della giornata: la discesa con i bob. Peccato che, dato che dopo la discesa c’era la risalita con il bob a traino, è rimasto poco tempo prima dell’arrivo del pullman.
Durante il ritorno io, ma credo che valesse per tutti noi, mi sono goduto il relax e il riposo tanto atteso e guadagnato.

Le sorprese però non erano finite, infatti arrivati alla stazione abbiamo saputo che il treno che avremmo dovuto prendere era stato soppresso; pazientemente, come credo anche i nostri genitori che ci attendevano alla stazione di Busto, abbiamo aspettato e preso il treno successivo.

Concludo dicendo che nonostante la fatica, la stanchezza, fame e chi più ne ha ne metta… è stato un pernotto davvero entusiasmante!

Francesco Natale (sq. Cavalli)

Cosa farebbe Gesù al posto mio

Per me Gesù al posto mio aiuterebbe gli altri, farebbe in modo di far divertire gli altri, consolerebbe chi piange, aiuterebbe i più deboli. Rispetterebbe l’ambiente e sopratutto vorrebbe essere amico di tutti. Rispetterebbe la personalità degli altri.

Gesù è una persona importantissima, e vorrebbe che quelli che non credono in Dio, credano in Lui e credano in tutto l’amore del mondo.
Gesù inoltre farebbe in modo che tutti vengano agli scout, perché troverebbero un mondo migliore.

Alice Fazio

Una domenica storica al PAM


Ciao, mi chiamo Letizia e sono una coccinella del cerchio Arcobaleno. Sono negli scout da quasi quattro anni, mi diverto un sacco e imparo nuove cose.

Ad esempio durante un’attività abbiamo ricreato la Battaglia di Legnano.
Tranquilli, non ci siamo fatti male! Ci siamo solo rincorsi, ci siamo tirati addosso bombe di carta e abbiamo costruito aeroplanini per gli attacchi aerei… anche se non riuscivamo a farli volare molto bene.
Eravamo al Parco Alto Milanese ed è stato emozionante scoprire che proprio sotto ai nostri piedi e nei paesi vicino a noi c’era così tanta storia.
Infatti la battaglia è stata combattuta proprio nei territori tra Busto e Legnano e la notte prima dell’attacco le truppe erano a Cairate… proprio dove vive un’altra cocci!
In più siamo stati fortunati perché abbiamo ricreato la battaglia nel giardino di un consorzio agricolo dove c’era una mega catapulta alta almeno 3 metri che è stata usata anche per un film, una catapulta più piccola con cui lanciare le nostre scarpe e dei mega sacchi per il tiro con l’arco.

Questa attività mi ha fatto pensare ad una cosa: forse io non passerò alla storia, ma nel mio piccolo mi piace fare qualcosa di utile: per esempio, se vedo un amico giù di morale, lo aiuto e gli dico di non arrendersi.
Ecco, secondo me se tutti facessimo un piccolo gesto, magari il mondo un pochino potrebbe cambiare!

Letizia

Lo scautismo per come lo intendo io

Premetto di essere molto giovane e quindi di non poter essere ancora in grado di dare “consigli di vita”, ma un mio punto di vista lo posso offrire… Per me lo scautismo è qualcosa di grande, molto grande, perché si basa sul rispetto, la fiducia e la condivisione; è un percorso di crescita, una strada che può essere anche difficile in alcuni momenti, e magari con l’aiuto di qualcuno può diventare più facile. Io è da molti anni che sono negli scout ma nonostante a volte si fanno dei giochi e attività già fatte non mi annoio mai, anche perché alla fine non è mai la stessa cosa davvero, perché ci sono sempre i dettagli in più e poi ad ogni età si riceve un messaggio diverso… quindi è sempre molto bello scoprire cose che magari si sanno ma alle quali non si è mai fatto caso, vedendo anche una parte di sé che ancora non si conosceva a fondo.

In conclusione per me lo scautismo è un percorso di crescita e scoperta che viene messo in atto in modi divertenti e momenti di riflessione, aiutandoci a metabolizzare il fatto che prima o poi dovremo crescere e affrontare le nostre difficoltà.

Susanna Colombo

Essere pronti per essere utili: una Castorina racconta la sua esperienza


Essere pronti per essere utili vuole dire tante cose diverse: essere preparati per aiutare qualcuno, essere attenti ai bisogni degli altri, avere sempre con sé cose utili agli amici, avere l’equipaggiamento giusto per intervenire, sapere che cosa vuol dire prestare aiuto e sapere come farlo, allenarsi a dare una mano al prossimo, saper capire quando qualcuno ha bisogno e pianificare le proprie azioni per arrivare in tempo per aiutare chi ha necessità.
Per esempio, a scuola, io prima di tutto cerco di vedere quando una mia compagna di classe non ha qualcosa, tipo i colori, e le dico: «Tieni, te li presto». Oppure se non ha capito una spiegazione della maestra, le ripeto che cosa ha detto l’insegnante in modo che lei lo capisca. Così come mi è capitato di ricevere in prestito i pennarelli o che un mio compagno mi aiutasse a capire il significato del compito da fare in modo che io a casa non lo facessi sbagliato.

Quando siamo a ginnastica, a danza o stiamo facendo altri sport e un mio amico non riesce bene a fare un percorso oppure un esercizio, io cerco di insegnargli come si fa, facendoglielo vedere o spiegandoglielo a voce. La maestra fa lo stesso con me quando io non ho capito un movimento.
A casa, so che alle 8.15 si mangia e quindi io di solito preparo la tavola in anticipo in modo che si possa cenare senza aspettare, evitando così che il mangiare si raffreddi. A me invece mamma e papà danno i soldi per pagare le cose della scuola.
Al parco giochi, quando vedo che mio fratello non riesce a salire sull’altalena perché è troppo piccolo, io lo alzo un po’ in modo che lui ci riesca. Mentre una mia amica mi ha aiutata ad avere il coraggio di saltare giù da una panchina un po’ alta.
Agli scout, quando una mia amica vorrebbe un mandarino, ma sua mamma si è dimenticata di metterlo nel suo zaino, io condivido il mio con lei oppure, se ne ho due, ne offro uno a lei. Nello stesso modo, ricevo le caramelle da chi ne porta un sacchetto per tutti.

Fare parte dei Castorini mi ha aiutata a imparare come aiutare gli altri, facendo le cose che ho scritto. L’ho imparato quando i capi scout si sono travestiti da vari personaggi – come lo scolaro, la fata o il pastore – e ci hanno detto: «Voi volete aiutarci?». Il pastore aveva bisogno di preparare il pane per Gesù. Lo scolaro e la fata ci hanno messo in alcune capanne con dei lavori da fare, tipo il giardiniere nell’orto. Da parte loro, i capi scout sono sempre pronti ad aiutarmi, per esempio quando mi reggono mentre cammino sulla corda.
Inoltre, nei pernottamenti in varie case che ci hanno ospitato, ho imparato a prestare la saponetta ad alcuni miei compagni che non l’avevano, l’asciugamano a chi aveva le mani bagnate e il fazzoletto a un altro Castorino che doveva soffiarsi il naso. A mia volta, ho ricevuto in prestito le ciabatte per andare in bagno, perché mia mamma si era dimenticata di mettermele nello zaino e io mi ero scordata di ricordarglielo.

Quindi, essere pronti per essere utili è una cosa bella, come quelle che io vi ho raccontato.

Diana Milani

Ask the boy

Nell’ultimo anno la Comunità dei capi del Busto Arsizio 3 ha avuto modo di confrontarsi più volte con alcuni esponenti dei vertici regionali dell’AGESCI. In questo contesto di accompagnamento a febbraio abbiamo incontrato padre Davide Brasca, dai più vecchi già conosciuto attraverso gli scritti che circolano in Associazione per lo più per la branca RS.

Abbiamo avuto modo così di riflettere insieme sul nostro metodo educativo.
Con una serie di provocazioni, anche divertenti, padre Davide ci ha messi di fronte alla ormai storica questione educativa: non confondere gli strumenti educativi con il fine dell’azione educativa. All’apparenza sembrerebbe un’attenzione banale ma se anche San Paolo ha voluto ricordarci che la legge serve l’uomo e non viceversa forse significa che l’umana natura spesso ci spinge in altre direzioni.

Capita così a volte di trovarsi ad applicare protocolli, magari pensati da altri, senza il necessario filtro critico che sempre si deve accompagnare all’azione educativa. É ciò che Lord Baden-Powell definiva la qualità più importante per uno scout, ovvero il buon senso.
Non è raro infatti imbattersi in capi, soprattutto se appena tornati dai campi formativi, che pensano che fare bene il capo sia applicare bene un regolamento o un manuale senza rendersi conto che i regolamenti si scrivono e riscrivono alla bisogna. Parafrasando San Paolo: i manuali servono il capo e non viceversa. Naturalmente per servire bene ad un capo il manuale/regolamento va conosciuto ma deve essere sempre filtrato dal comune buon senso. La ragione è che noi educhiamo persone, non esseri senz’anima, e che sappia io non ve n’è uno uguale all’altro come non vi sono identici contesti sociali. Fare il capo a Milano centro non è la stessa cosa che farlo su una piana delle Puglie. Dimenticarlo è da sciocchi, anche se poi rimaniamo saldi e certi della bontà del nostro metodo educativo.

Dobbiamo avere chiaro che la nostra azione educativa diventa davvero efficace quando sa generare un cambiamento positivo, un’emancipazione nella persona che ci viene affidata. Per poter generare questo cambiamento però dobbiamo accorgerci di chi è questa persona che il Signore ci ha messo davanti, con la sua unicità e sensibilità. E che educhiamo attraverso una personale testimonianza di valori e non raccontando di un modo di fare. Solo così possiamo veramente essere fedeli alla consegna ricevuta ormai più di un secolo fa: Ask the boy.

«L’ultimo giudizio, inappellabile, sulla validità del metodo di B.-P. è dato dai ragazzi: è stato creato per loro. A loro direttamente si è rivolto B.-P.: non ai maestri e ai saggi. Ben sapeva che gli esperti ed i colti sanno tante cose ma sono fuori dalla vita.» (don Ghetti)

Fabio Peruzzo

Affari da Scout

Ciao a tutti cari amici ed amiche, e benvenuti ancora una volta sulla nostra rubrica di Generazione X.
Seguendo con attenzione le notizie che provengono dal mondo capita spesso di imbattersi in tantissimi nomi di politici, imprenditori e dirigenti estremamente potenti che sembrano passare l’interezza delle loro giornate a non far altro che correre da una matassa di problemi all’altra, cercando di sbrogliarle.
La situazione, già solo così descritta, pare decisamente poco appetibile da gestire. Eppure queste persone passano anni della loro vita a prepararsi: a studiare, a far carriera, col solo scopo di poter un giorno districarsi tra decine di situazioni precarie, per cercare di bilanciarle a favore della loro fazione o di loro stessi.
Per riuscire a fare questo serve indubbiamente una persona dotata di determinate capacità e, almeno per quanto riguarda il dirigente o uomo d’affari d’alto livello, un’idea di base dei tratti distintivi che dovrebbe avere ce la può dare la fiction, soprattutto cinematografica.

Tralasciando gli eccessi tipici della categoria, anche quelli spesso immortalati su pellicola, di solito l’uomo d’affari di successo dei film ha tra le sue caratteristiche l’essere scaltro, il sapere valutare con arguzia la situazione che gli si presenta davanti, saper riconoscere determinati segnali quando gli si presentano e riuscire a lavorare in squadra con altri dirigenti per raggiungere un obbiettivo comune.
Nei film spesso queste caratteristiche sono già presenti naturalmente nel personaggio, e questi passerà il corso del film ad affinarle o le utilizzerà per sbaragliare qualche dirigente avversario. Facile facile.

Nella realtà però queste caratteristiche, pur essendo davvero indispensabili per un futuro leader, spesso non sono innate in chi lo vuole diventare, e quasi mai sono del tutto sviluppate anche in chi lo è diventato.
Proprio per questo, quando un “mega-capo galattico” d’azienda decide di promuovere alcuni dei suoi a dirigenti, spesso li iscrive prima a corsi specializzati per coltivare questo tipo di capacità.
In cosa consistono questi corsi?
Campeggio! E anche alcune situazioni più appropriate ad un “corso di sopravvivenza” (ma chiunque abbia affrontato un Hike, od un’intera Route sotto la pioggia, se la ride delle condizioni da “corso di sopravvivenza”). Tutte queste attività, finalizzate a far sorgere nell’individuo arguzia, prontezza di riflessi, capacità di adattamento e disponibilità a lavorare in squadra, occupano inoltre un arco di tempo ampio circa un mese.

Cosa dovremmo dire noi, allora, che dedichiamo a queste attività anni interi della nostra vita?
Secondo me, dovremmo dire di essere particolarmente fortunati per essere rimasti così a lungo immersi in questo meraviglioso stile educativo, dal quale abbiamo appreso capacità che, se ben sfruttate, ci permetteranno di risolvere potenzialmente ogni tipo di situazione complessa.
In questo articolo ho voluto usare come esempio di luogo dove attuare questo tipo di capacità un mondo che ben presto farà parte del regno della fantascienza: quello del lavoro. Ma questo non vuol dire che questo tipo di capacità non siano utilizzabili nei campi più svariati, anzi!

L’educazione scout ci ha fatto dono di queste capacità proprio affinché noi le utilizzassimo negli ambiti più disparati anche e soprattutto al di fuori dell’ambito scout, fin nelle sfaccettature più piccole della nostra esistenza.
L’importante è essere pronti a capire quando, e come, una situazione necessita il nostro intervento. A quel punto, nulla ci impedirà di sfruttare le nostre capacità per renderci utili.
Meglio ancora se non solo nei confronti di noi stessi o di una determinata fazione, ma nei riguardi del mondo intero.

Tricheco Birbante

Io, Jimmy e la Carta del Coraggio

Clic: «Accidenti, è un po’ scura» (c’era il flash disattivato). Clic: «Ok, ora è meglio!». La foto che analizziamo in questo numero inquadra un momento certamente storico per l’Associazione: siamo nella piazza del coraggio, sullo sfondo si staglia il tendone viola sotto cui è riunito per la prima volta il Consiglio Nazionale degli R/S dell’AGESCI.

La votazione finale della Carta del Coraggio si conclude con un applauso liberatorio: grande, infatti, è stata la fatica dei 462 alfieri che, in rappresentanza di tutti i Clan partecipanti alla RN, hanno riassunto le “strade di coraggio” di migliaia di giovani per farle confluire in un unico testo scritto. Fin qui tutto bene e tutto bello.

Cosa è successo dopo? Un giornale on-line, di cui non ricordo il nome, è entrato in possesso del testo della Carta del Coraggio (prima ancora che questa venisse pubblicata sul sito dell’AGESCI) e ha scatenato un acceso dibattito su alcune affermazioni in essa contenute.

Non eravamo pronti: questo ho appreso, da un membro del Consiglio Nazionale (questa volta dei Capi) prima che iniziasse la verifica della RN svoltasi sempre al Parco di S. Rossore ad inizio ottobre. “Non eravamo pronti”: suona strano per chi dell’estote parati fa un motto e, quindi, un modo di agire.

Mi rendo conto di essere un po’ enigmatico, quindi mi appresto ad esemplificare. I giovani scrivono sulla Carta che la famiglia è da loro “intesa come qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto” (Carta del Coraggio, p. 16). Alcuni giornalisti scrivono quel che ben potete immaginare.

Taluni capi si sbrigano a prendere le distanze dalla Carta del Coraggio, talaltri cantano vittoria inneggiando alla rivoluzione associativa. Entrambe le categorie di capi, a mio modesto avviso, si trovano nell’errore. Se per errore intendiamo, infatti, una falsa o mancata conoscenza della realtà, è palese che sia i primi che i secondi non hanno compreso quale era la realtà del documento, cioè la sua natura, il suo scopo.

Ha scritto molto bene il mio amico Enrico Gussoni (la cui partecipazione al Consiglio Naz. R/S onora tutto il Gruppo) su Tuttoscout n. 142; il suo articolo a pagina 16 sottolinea, infatti, il principio pedagogico, espresso da B.-P., cui l’Associazione si è ispirata per ideare lo strumento (già, perché si tratta di uno strumento) della Carta del Coraggio: “Ask the boy”, chiedi al ragazzo.

La Carta del Coraggio non è un nuovo Patto Associativo, è bene dirlo chiaramente. Si tratta della “manifestazione libera di ciò che è nel cuore dei ragazzi” (introduzione alla Carta del Coraggio dei presidenti del Comitato Nazionale); a questa manifestazione segue l’ascolto profondo dei capi e la “ricerca intelligente della risposta alla domanda di educazione e di autoeducazione”. Cioè: osserviamo la CdC, deduciamo i motivi che hanno spinto i ragazzi ad esprimere certi concetti, agiamo in conformità al nostro metodo educativo e alle scelte contenute nel Patto Associativo cui ogni capo aderisce. Dal ragazzo al capo, dal capo al ragazzo.
 
Sarebbe da irresponsabili, dunque, non interrogarsi sulla Carta del Coraggio e prenderne le distanze. Sarebbe assurdo pensare che questa costituisca il nuovo orientamento educativo dell’Associazione.
 
Se così fosse, la Co.Ca. dovrebbe sbrigarsi a cambiare i propri orientamenti: dovrebbe alla svelta far capire ai ragazzi che io e il mio cagnolino Jimmy, poiché ci amiamo e ci rispettiamo reciprocamente (lui scodinzola sempre quando torno a casa), siamo una famiglia; successivamente dovremmo sbrigarci a sostituire le nostre insegne e a dire addio al nostro caro don Matteo, perché a quel punto saremo diventati l’AGESI – Busto Arsizio 3.
 
Carlo Maria Cattaneo
 
P.S.: ho già accennato ai molti spunti positivi espressi nella Carta del Coraggio in un precedente articolo, quindi non mi sono ripetuto; mi è parso, invece, opportuno prendere posizione anche su una questione più spinosa che, comunque, ci riguarda.

In Route Nazionale

Traguardi

In Route Nazionale

Ricordo molto bene la mia prima giornata agli scout: era nel reparto Orione. Ho vissuto cinque anni in reparto e ho trascorso dei felicissimi momenti da ricordare con gioia, per sempre. Ricordo in particolare un campo di Pasqua, il titolo era “Alla ricerca del tesoro”; quante bans e quanti giochi! Ad un campo estivo ho anche vinto la gara di canto.
In noviziato ho passato dei momenti indimenticabili; abbiamo anche fatto un autofinanziamento (vendita di patatine fritte) per inviare dei soldi in Emilia Romagna, colpita dal terremoto.
In clan ho passato dei bellissimi momenti; da ricordare la Route Nazionale a San Rossore, dove ci siamo radunati per dimostrare che siamo protagonisti del nostro tempo. Quanta allegria ha scatenato la canzone “È giunta l’ora è giunto il momento…”.
In clan prepariamo dei pacchi alimentari insieme all’associazione “La luna” che li distribuisce alle persone bisognose.
Quando il nostro capo reparto Vittorio è passato in clan ci ha lasciato un biglietto che diceva di andare avanti per la propria strada… Ora ho capito. Cercherò di impegnarmi per raggiungere traguardi che oltre a farmi onore dimostreranno la mia disponibilità verso il prossimo.

Chiara Piantanida (Granchio coccoloso)

Reparto Orione al campo invernale 2014

Campo invernale 2014

Reparto Orione al campo invernale 2014

Quest’anno dal 27 al 30 dicembre noi del reparto Orione ci siamo recati a Bani, piccolo borgo incastonato nelle Alpi bergamasche per il nostro campo invernale. Per me era la prima esperienza di campo invernale e non so da dove cominciare a raccontare questa fantastica avventura. Probabilmente però il momento più emozionante è stato quello della promessa: era una notte gelida ma il cielo era pieno di stelle. Ci allontanammo un po’ dal paese e ci addentrammo nel bosco attraverso un sentiero impervio. Al momento di pronunciare la mia Promessa ebbi un vuoto di memoria per l’emozione, ma poi mi ripresi e la recitai con sicurezza.

Una grande gioia ho provato quando i capi hanno annunciato che la mia squadriglia, gli Squali, aveva vinto il campo e ciò significava che tutto l’impegno che avevamo messo per vincere quel campo non era stato sprecato e poi avevamo rispettato anche la promessa che avevamo fatto all’inizio del campo all’interno della mia squadriglia, o primi o ultimi. Il tema del campo era (rullo di tamburi) “Le cinque leggende” e i giochi, pur nella diversità, erano basati su questo tema. Nel campo però non si gioca e basta… Si mangia! E un ringraziamento particolare va al nostro fantastico cuoco Flavio che ci ha viziato con i suoi squisiti piatti. Al di là dei giochi e del cibo, questo campo mi è piaciuto per le sue sieste da passare insieme ai miei amici a suonare la chitarra e a parlare. Quando sono tornato mi sono reso conto di essermi integrato perfettamente all’interno del reparto e della mia squadriglia. E concludo:

Nell’universo
una costellazione
oltre la notte
illumina sempre
il nostro cammino.
Orione!
Orione!
Orione!

Riccardo Filippi