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L’uguaglianza nella differenza per la comunione
Una grammatica delle relazioni umane secondo Gen 2
Le diversità spaventano perché destabilizzano la nostra comprensione del mondo. Il diverso eccede gli schemi nei quali abbiamo catalogato tutte le nostre esperienze e ci costringe a rimettere profondamente in discussione il nostro modo di approcciare la vita. Il diverso, in fondo, all’inizio è sempre una minaccia, perché, per il semplice fatto di esistere di fronte a noi, mette in crisi quello che siamo, quello che pensiamo, quello che crediamo. È comprensibile, allora, che di fronte alle molteplici diversità di questo mondo globalizzato le due principali risposte siano, da un lato, il rifiuto di qualsiasi diversità in nome dell’affermazione della propria identità e, dall’altro lato, l’omologazione delle diversità in nome di un’uguaglianza teorica. In entrambi i casi, però, l’operazione è la medesima: l’eliminazione delle diversità. Sia chi dice: “Noi abbiamo la nostra identità, quindi i diversi devono stare a casa loro”; sia chi dice: “Siamo tutti uguali, le differenze sono solo delle convenzioni”; stanno eliminando entrambi le diversità perché in realtà ne hanno paura e non sanno come approcciarle.
Come stare di fronte alle diversità? Come includerle nella nostra vita non come minaccia, bensì come opportunità? Siamo tutti uguali o siamo tutti diversi?
Il libro della Genesi, al capitolo 2, illumina la questione e ci aiuta a dare una risposta non solo teorica, ma esistenziale, una risposta che corrisponda alla verità della nostra umanità. In un certo senso Genesi delinea una grammatica essenziale delle relazioni umane che articola uguaglianza e differenza.
L’uguaglianza
La prima regola è questa: tutti gli uomini sono creati uguali di fronte a Dio.
Il Signore Dio plasma l’uomo dalla polvere del suolo alitando in lui uno spirito di vita, lo colloca nel giardino di Eden e pone al suo fianco ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo, perché possa trovare in loro un aiuto che gli corrisponda. Tuttavia questo non basta. Adamo non trova nessun essere vivente che gli sia simile e questo lo fa sentire solo. «Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
“Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta”».
(Gen 2, 21-23)
Solo la donna, tra tutti gli altri esseri viventi, corrisponde all’uomo perché sostanzialmente è uguale a lui. La costola da cui è tratta Eva rappresenta la vita e dice e che la donna condivide con l’uomo la “materia prima” dell’esistenza stessa: è “ossa delle sue ossa, carne della sua carne”. L’uomo non può considerarsi completo senza la donna e la donna non può considerarsi completa prima di ricongiungersi al fianco dell’uomo. Essi sono stati creati da Dio e di fronte al loro creatore sono sostanzialmente uguali. Insomma, per la Bibbia tutti gli Adamo e tutte le Eva di sempre sono uguali di fronte al Signore Dio, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere innanzitutto uno che è stato creato umano come me. Questa è la prima regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Nella differenza
La seconda regola dice così: l’uguaglianza di tutti gli uomini può ospitare le differenze tra di loro.
In Gen 1, 27 leggiamo: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Quando Dio crea l’uomo, li crea maschio e femmina; sono due e diversi, ma sostanzialmente sono uguali, condividono la medesima umanità di fronte a Dio e la medesima condizione di creaturalità. Proprio sulla base di questa uguaglianza Dio crea la diversità fondamentale, quella del maschile e del femminile, per la quale Adamo è per Eva l’assolutamente altro e viceversa. A partire da questa diversità originaria, l’umanità ha potuto ospitare nel tempo una miriade di altre diversità, come il colore della pelle, le tradizioni culturali, le espressioni artistiche di qualsiasi tipologia e genere, tutte rese possibili dall’uguaglianza di fondo degli uomini rispetto al loro unico Creatore. Le diversità non contraddicono l’uguaglianza originaria tra tutti gli uomini, ma ne sono in un certo senso l’espressione piena. «Dio creò l’uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò»: Dio ci crea tutti uguali, perciò capaci di ospitare una miriade di diversità che insieme ricompongono il volto unico dell’umanità e – insieme – tratteggiano la pienezza del volto di Colui che l’ha creata. Insomma, per la Bibbia l’uguaglianza di tutti gli Adamo e di tutte le Eva di sempre è arricchita da una miriade di diversità al suo interno, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere che ciò che lo rende diverso da me in realtà non lo distanzia da me, ma lo rende ancora di più come me, diverso come me. Questa è la seconda regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Per la comunione
La terza regola, infine, afferma: le differenze tra gli uomini rese possibili dalla loro uguaglianza sostanziale sono finalizzate alla comunione.
Così continua il brano di Gen 2: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gen 2, 24). Adamo ed Eva, ontologicamente uguali di fronte a Dio, dopo aver riconosciuto e valorizzato le diversità reciproche, ne fanno il punto di incontro e la possibilità di comunione tra di loro. Uomo e donna si uniscono e diventano una carne sola proprio perché sono diversi. La comunione, che costituisce il culmine della creazione, è resa possibile dalle diversità. Esse, per la Bibbia, non sono innanzitutto un terreno di scontro e di divisione, ma di incontro e di comunione. La diversità diventa feconda e genera nuova vita, in qualche modo permette di portare avanti la Creazione e di compiere il disegno di Dio. Insomma, per la Bibbia le diversità tra tutti gli Adamo e tutte le Eva di sempre sono solo un’occasione di comunione, quindi quando guardiamo un uomo, chiunque esso sia, dobbiamo vedere che ciò che lo rende diverso da me è in realtà il terreno su cui possiamo incontrarlo e l’occasione di generare qualcosa di molto promettente per entrambi e per l’umanità intera. Questa è la terza regola della grammatica delle relazioni secondo la Scrittura.
Se queste sono le regole fondamentali della grammatica umana secondo la Bibbia, sta a ciascuno di noi usarle per comporre la poesia di una vita concreta che, nell’incontro con uomini e donne diversi da noi per mille motivi, sia una vita pienamente umana. Uguali nella differenza per la comunione: sono regole semplici, ma costituiscono il minimo sindacabile per funzionare bene come persone. Per meno di questo non possiamo dire di vivere una vita che sia all’altezza della nostra altissima dignità.
Don Alberto
HANNO LASCIATO UNA TRACCIA – Mario Giuseppe Restivo
Mario Giuseppe Restivo nasce a Palermo il 24 gennaio 1963. Primo di quattro figli, di genitori originari di Castelbuono (PA), una cittadina di circa 12.000 abitanti, situata nel cuore delle Madonie, a tre anni circa dalla sua nascita, insieme alla famiglia, si trasferisce a Castelbuono. Qui avviene il suo primo contatto con la scuola: due anni di scuola materna e quattro di elementari; poi nuovamente a Palermo. Sin dai primi tempi, Mario manifesta un notevole impegno per lo studio e per le positive relazioni con i coetanei e con gli adulti, tanto da essere benvoluto e stimato da tutti. La sua maturazione è precoce. A 9 anni compone la sua prima poesia che dedica alla sua mamma. Il ragazzo però non si ferma qui, ma continua a comporre altre poesie e così nel 1974 il padre decide di dare alle stampe la prima raccolta che è intitolata: “La mia aurora”. A questa fa seguito un’altra raccolta, pubblicata l’anno dopo con il titolo: “In cammino”. Le due opere hanno molto successo; ne parlano molti giornali e riviste specializzate. Anche la RAI-TV dà risalto al volumetto “In cammino”, presentandolo il 5 Aprile 1976 nella rubrica televisiva “Tuttolibri” con un giudizio molto lusinghiero. Nel 1975, Mario, alunno di prima media della Scuola Statale “D. Scinà” di Palermo, ha assegnata la borsa di Studio “Federico Motta Editore” di Milano. A 15 anni, sceglie come modello di vita la figura di S. Francesco e ne incarna lo spirito di povertà. Ama tanto la natura, a contatto della quale riesce a sentirsi in contemplazione con Dio. Lo scautismo cattolico diviene il suo più forte ideale nel quale poter esprimere il suo impegno di apostolato. Fa parte del Gruppo AGESCI Palermo 3° e partecipa a campi di specializzazione a Spettine e a Marineo. Si rende disponibile per dare una mano all’apertura di un nuovo gruppo scout in una zona periferica di Palermo, presso la Parrocchia S. Raffaele Arcangelo (novembre 1978). Grazie alla maturità di Mario, il parroco insiste per affidargli l’incarico di Capo Reparto, benché sia ancora giovane. Segue con responsabilità e competenza i ragazzi del reparto e partecipa con vivo interesse alle attività di formazione capi. Partecipa alla Route regionale dei noviziati e subito dopo parte, con altri due scout coetanei, per Taizé al fine di partecipare ad una settimana di spiritualità. Nel lasciare la Base scout della Massariotta, al termine della route, saluta i capi promettendo che avrebbe dato una mano ai campi di specializzazione e allo sviluppo della Base, alla quale era molto legato. In cammino verso Taizé, il 19 Agosto 1982 nei pressi di Chambery (Francia) in seguito ad un incidente la sua giovane vita viene stroncata. Il suo ricordo è rimasto vivo nel cuore di tanti giovani, ma soprattutto nel cuore dei giovani scouts (non solo del suo Gruppo), che egli amò intensamente e di cui fu maestro, modello e guida.
Generazione X – La partecipazione fa la forza
Buongiorno cari amici ed amiche e bentornati ancora una volta sulle pagine di Generazione X.
L’articolo di oggi non inizia nei soliti luoghi dello scoutismo, nella nostra sede o in un qualche bosco più o meno remoto, ma nella centralissima piazza San Giovanni di Busto Arsizio, dove il 9 dicembre 2019 si radunava per la prima volta nella provincia di Varese il gruppo delle sardine. In quella piazza, oltre a me, non ho potuto fare a meno di notare la presenza di molti altri scout del mio gruppo, tutti rigorosamente in abiti civili e quasi tutti pervenuti in quella piazza in maniera indipendente, senza mettersi d’accordo fra loro, spinti lì dal mero desiderio di partecipazione democratica. Molti di loro hanno anche abbandonato la manifestazione leggermente in anticipo, per non tardare all’incontro di zona, programmato da tempo per quella sera.
Questo desiderio di partecipazione è chiaramente sentito anche da parte dei ragazzi, alcuni dei quali hanno saltato, ormai l’anno scorso, una o due attività per partecipare alle diverse marce per i diritti degli omosessuali o contro i cambiamenti climatici che si sono tenute in alcune città, soprattutto Milano, nel corso del finesettimana. Se per l’incontro delle sardine l’associazione è rimasta in silenzio, per questo tipo di manifestazioni, più politicamente schierate, sono stati fatti girare comunicati per cui si sottolineava che, chiunque avesse partecipato in uniforme lo avrebbe fatto a titolo puramente personale.
Se dovessi davvero pensare, come questo Thinking Day ci chiede, “all’uguaglianza ed all’inclusione nel rispetto della diversità” la conclusione alla quale arriverei è che questi ideali sono vivi e ben espressi dai capi, e di conseguenza dai ragazzi, che agli scout ci vengono e che davvero credono nei suoi insegnamenti, ma che questi stessi ideali sono presi solo marginalmente in considerazione da quell’associazione che si fa carico di diffondere il metodo scout.
È davvero possibile promuovere un ambiente di vera uguaglianza e vera inclusione quando membri di religioni diverse possono trovarsi scoraggiati ad entrare nell’AGESCI? È davvero possibile promuovere vera uguaglianza e vera inclusione quando gli adolescenti moderni esplorano le loro identità, le loro inclinazioni e talvolta addirittura la loro sessualità in un modo che difficilmente può essere affrontato dalla mera diarchia? (che fra l’altro spesso, per mancanza di capi, non si riesce nemmeno a garantire). Risulta insomma davvero possibile parlare di rispetto della diversità quando il colpevole silenzio dell’associazione centrale lascia intuire che la diversità vada affrontata come se non ci fosse? Che ogni tentativo attivo di partecipare alla vita della società civile, che spesso mette la diversità e le disuguaglianze al centro, va affrontata individualmente?
Quelle di cui qui parlo non sono tematiche nuove anzi, oserei dire che sono questioni ormai stantie, sollevate da moltissime persone, ma la cui soluzione è stata fin’ora affidata alle Co. Ca o alle singole Staff.
Ma voglio davvero una condotta univoca che arrivi dall’alto? Forse no, non voglio una linea generale obbligatoria da seguire ma vorrei vedere un polso, un fremito, un riconoscimento di questi ideali e magari un risveglio da parte dell’associazione nazionale su come queste situazioni andrebbero affrontate. Poco importa se la problematica è l’omofobia, il razzismo o un qualunque altro caso di esclusione del diverso, la mia esperienza personale mi insegna che un qualunque scout saprebbe affrontare queste sfide nel modo più umano e coscienzioso possibile, ma trovo scoraggiante che tutto questo idealismo venga affidato al singolo individuo quando alle spalle abbiamo un’associazione grande ed articolata. Non serve essere partitici e nemmeno di parte in generale, ma abbiamo fatto tutti una scelta politica legata a determinati ideali, che mettono al centro non l’esclusione del prossimo ma l’inclusione. Perché allora ogni volta che questi ideali vengono professati da qualche elemento della società civile, ci viene consigliato di aderire esclusivamente come singoli individui?
Siamo in uno dei tanti movimenti che si adoperano per quello che credo sia il bene del paese, a che pro nasconderci dietro ad un dito, e dire che gli ideali che l’associazione professa e che attivamente insegna a milioni di ragazzi sono semplice responsabilità del singolo?
Questo è un comportamento che si avvicina, purtroppo (e sicuramente in maniera involontaria) a quello di alcune frange dell’estrema destra la cui supposta neutralità serve ad allontanare chi ne propaganda i terribili ideali di odio da chi, seguendo quegli stessi ideali, porta morte e distruzione. Io per questa associazione voglio l’opposto: voglio che le tante cose buone che l’associazionismo scout porta nel mondo siano viste non come l’idea di singoli individui illuminati, ma come l’espressione di un filo che collega fra loro una schiera di individui illuminati, ciascuno dotato della propria individualità, ma tutti guidati da un imprescindibile ideale soggiacente: quello dello scautismo, dei dieci punti della legge.
Tricheco Birbante
Una sede maggiorenne
Bentrovati care lettrici e lettori di Tuttoscout (abituali, sporadici o occasionali), la riconoscete quella in fotografia? Certo: è la nostra sede! L’ex-Macello Civico di Busto Arsizio. Era il 2002 quando ci entrammo per la prima volta alla ricerca di una sistemazione alternativa alla vecchia sede del Bustotre. Sì, perché il nostro Gruppo prima aveva un’altra sede o, meglio, due: una per lupetti, coccinelle e castorini in via Magenta (all’angolo con via Espinasse dove oggi è rimasto solo un grande albero che prima cresceva nel suo cortile) e una per i reparti in via Pace a fianco a Villa Comerio.
Mi raccontava un capo che, anni prima, si erano trovati le ruspe davanti alla sede già pronti per raderla al suolo. Tutti i fratellini e sorelline si presero per mano e formarono un cerchio attorno alla sede per proteggerla. Il Gruppo ottenne un po’ di tempo per trovare una sede alternativa e la risposta fu trovata poco più in là.
L’ex-Macello era abbandonato da anni, in rovina, covo di erbacce e, probabilmente, malviventi. Insomma, una cicatrice enorme in un quartiere fatto di cascine abbandonate e fabbriche dismesse. Dentro non c’era nulla: macerie, muri che mancavano, non c’era la corrente… Molto probabilmente se avessero mostrato le foto di come è oggi la sede a quei capi, quei genitori e amici che iniziarono a rimboccarsi le maniche davanti a quel “macello” si sarebbero scoraggiati pensando alla mole di lavoro da fare. Eppure, sono passati 18 anni, la nostra sede è diventata maggiorenne! Ci sono voluti tempo, fatica e denaro per realizzarla prima con grandi lavori, poi con migliorie continue, manutenzioni e pulizie, ma i segni del tempo non demordono. La nostra sede è un bene immenso che ogni scout d’Italia (ma non solo, penso) ci invidia: è uno spazio di libertà, di gioco, di riunione che ci offre possibilità precluse alla maggior parte dei gruppi scout (tant’è che abbiamo iniziato timidamente a condividerle mettendole a disposizione per pernotti e uscite). Per questo è doveroso mantenerla in buono stato fintanto che possiamo restarci: pulire i bagni, sistemare i muri e l’intonaco, curare il verde… È una ricchezza che ci viene affidata (e affittata) dal Comune verso la quale abbiamo una responsabilità che va oltre gli impegni contrattuali perché deriva dal nostro stile scout e quindi dal nostro avere cura del Creato e di ciò che abitiamo (per lasciarlo “migliore di come lo abbiamo trovato”).
Questa storia mi ricorda un po’ quella dell’Arsenale della Pace del SERMIG, per chi ci è stato e ha visto le foto della “trasformazione” da arsenale militare in rovina a casa e fabbrica di buone azioni.
Ma in questa sede ormai maggiorenne abitiamo noi, un Gruppo ormai quarant’enne che si trova a fare i conti con una “crisi di mezza età”. A quarant’anni si è ormai adulti e bisogna prendersi cura di sé in modo diverso: la vita ha già inferto delle cicatrici e dei lutti che vanno elaborati; si sente il peso delle scelte del passato e fermarsi per capire dove ci hanno portato. Chi ci hanno reso.
A confronto, la nostra sede è da poco diventata matura per aprirsi anche agli altri, agli ospiti, ad abbellire un quartiere che negli ultimi anni si è ricolorato e ripopolato. Sono sicuro che quest’ultima cosa è successa anche per merito nostro e della nostra sede sottratta al degrado. Per questo dobbiamo continuare a prendercene cura come di noi stessi.
Geco Coinvolgente
Anche ricordarsi è avere cura
Scorrono ad uno ad uno i nomi degli amici nella mente, dei compagni di strada di un tempo, 70 anni fa, in cui il roverismo lombardo compiva una delle più ambiziose imprese scout. Santino Brustia sta sfogliando il libro che racconta la storia della Freccia Rossa della Bontà, il Raid Milano-Oslo con cui una trentina di Rover dell’ASCI portarono il messaggio di pace dei bimbi mutilati in giro per mezza Europa. Santino ricorda i nomi e i volti dei vivi e dei morti; i suoi occhi si bagnano di lacrime sia sulle brutte notizie di chi non c’è più che davanti alla speranza di poter rincontrare i suoi amici.
In un attimo capita una foto di Baden, don Andrea Ghetti, assistente ecclesiastico del Clan La Rocchetta (ASCI Milano 1) e la voce si spezza: “Lui li prendeva tutti con sé, neri e rossi”.
Infatti, il padre di Santino, un ferroviere che negli anni della guerra aderì alla Repubblica di Salò, volle che suo figlio partecipasse a tutti i costi a quella spedizione di riappacificazione. A fianco a lui ci sarebbe stato anche Duccio, scacciato da scuola durante il Ventennio perché figlio di un ebreo.
Alle sue spalle è appesa una foto di lui in uniforme davanti al Guzzino da 65cc con cui compì il viaggio: in testa una giovane chioma e sul telaio i gagliardetti delle città attraversate.
“Gli altri erano figli di professionisti, gente con l’aziendina, che non sapevano neanche dove avevano le calze – ironizza Santino ricordando alcuni di quelli che avevano fatto meno fatica a pagare la quota di partecipazione alla spedizione – e io ero il più veloce a montare la tenda.”
Sono passati più di sei anni da quando il Clan Zenit scrisse il libro di cui sopra nel corso del Capitolo Nazionale del 2014. Da allora il lavoro di “ricordo” e salvaguardia di quella storia non si è fermato: tante serate di presentazione, una seconda edizione… e poco fa ancora un incontro con Santino che è stato “ritrovato” solo quest’anno. Perché? Come mai questo lavoro, nato tanti anni fa e che aveva più che degnamente raggiunto il suo obiettivo, viene ancora portato avanti?
Perché quando si è artefici di qualcosa ne si è anche responsabili. Sia un’amicizia, un figlio, un oggetto, un pensiero o, nel nostro caso, un ricordo. Siamo responsabili dei ricordi che teniamo in vita, delle storie che albergano nel nostro cuore. Anche i ricordi di Santino ora fanno parte di questo impegno di cui siamo portatori e di cui dobbiamo avere cura.
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#noicustodiAMO
In occasione della pubblicazione del Messaggio per la Celebrazione della 14° Giornata Nazionale per la Custodia del Creato, l’AGESCI lancia la campagna #noicustodiAMO, per contribuire a far crescere consapevolezza e impegno sul rispetto dell’ambiente e sulla necessità di stili di vita sostenibili.
Partendo dall’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, auspichiamo che molti Gruppi in tutta Italia possano organizzare nei prossimi mesi un momento di confronto e condivisione in stile scout aperto alla loro comunità locale e alla società civile. Un’occasione per promuovere la salvaguardia del Creato, bene comune e casa di tutti noi.
L’AGESCI proporrà quattro spunti di riflessione, da giugno fino a settembre, quando si celebrerà laGiornata nazionale per la custodia del Creato. Ogni volta realizzeremo una cartolina da diffondere sui social network, con una parola chiave e il parallelismo tra una frase tratta dalla Legge scout, dal Patto Associativo, o dai testi di Baden-Powell e un brano estrapolato dall’Enciclica Laudato Si.
Il primo spunto di riflessione ci racconta di #rispetto.
Inviate a ufficiocomunicazione@agesci.it le immagini e i racconti del momento che organizzerete dedicato alla custodia del Creato e attenzione… sulle pagine Facebook di Proposta educativa, Avventura e Camminiamo insieme troverete a breve le cornici personalizzate della campagna!
#noicustodiAMO
#seiscout
#rispetto
Nulla vale l’odore di quel fuoco
BLOG DE PAPEL – Episodio I: Il dentrofuori del Nuovo Mondo
Perché c’è un telefono cellulare nella vostra tasca? O nella vostra mano, o appoggiato in modo che sia raggiungibile facilmente mentre leggete queste righe? Ovviamente non per telefonare. Quell’oggetto grande come un palmo è una porta spazio-temporale che ci collega al resto del mondo dalla nostra stanza, con gli appuntamenti del futuro e i ricordi del passato. Possiamo essere contemporaneamente in più luoghi grazie a chi condivide con noi la sua esperienza e, similmente, sentire con noi amiche e amici distanti. Ma questa è solo una parte del potere di quel “telefono intelligente”: la cosa straordinaria è che si può anche non uscire dalla porta per essere da un’altra parte, si può restare a metà tra il “qui” e il “lì”. Se in Stranger Things c’è il “sottosopra” questo è un “dentrofuori”. Ci si muove, ci si conosce, si comunica e si gioca un po’ come nel mondo reale ma senza che sia davvero “vero”. Vuoi mettere? Tutto nella tua mano!
Perché parlare di Internet, World Wide Web e social agli scout? Perché gli scout sono sempre pronti, ovvio! In più ogni scout ha la cittadinanza del mondo e nel mondo dobbiamo saper abitare, pure essere utili quando serve. Ora, però, il mondo si è ampliato e dobbiamo saper abitare con stile scout anche il dentrofuori. Condividiamo cose vere o cose false, raccontiamo di noi o di qualcun altro, ci rifugiamo per staccare da tutto il resto o ci tuffiamo per collegarci ancora di più. Tutto questo, lo sapete o lo scoprirete presto, non rimane “dentro”, ma ha sempre un effetto sul “fuori”, sulle nostre vite reali. Dopotutto anche il dentrofuori è reale: quello che vediamo o leggiamo lì può avere un effetto sulla nostra vita.
Immaginate di essere in caccia col branco e Akela dica in cerchio che sta per arrivare un nuovo fratellino che ha dei problemi, si arrabbia facilmente e litiga spesso, quindi bisogna fare attenzione. Cosa succederà appena questa zampa tenera arriverà in tana? Succederà che i lupi saranno più diffidenti del solito e più timidi. Il nuovo arrivato non si sentirebbe ben accolto da un branco che lo guarda storto e i lupi inizierebbero a stargli antipatici e sarà più facile litigarci.
Se invece Akela dicesse che il nuovo fratellino è un sacco simpatico, appena arrivato i lupi sarebbero curiosi di conoscerlo e lui sentirebbe di avere l’attenzione del branco, si sentirebbe accolto e tutti gli starebbero più simpatici.
Il nuovo arrivato non cambia carattere solo perché Akela dice una cosa o l’altra, ma se una cosa è vera solo nella testa dei lupi avrà comunque effetti sulla realtà!
Internet prima e i social poi sono nati per avere effetto sul mondo e noi il mondo lo dobbiamo lasciare migliore di come lo abbiamo trovato. Perciò è importante essere scout anche in questa nuova parte di mondo, a metà tra reale e finto. Stile, lealtà, cortesia, purezza di pensieri e parole… sono tutte cose che dovremo seminare nella nostra vita quotidiana anche attraverso il tecnomagico portale-portabile che abbiamo in tasca. O in mano. O appoggiato in modo che sia raggiungibile facilmente…
Caster
Un campo estivo molto speciale… di 70anni fa!
Era all’incirca metà luglio che mentre correvo per le strade della Slovenia ricevetti una telefonata:
“Ciao Giacomo, sono Andrea! Ho una proposta per te: conosci la storia della Freccia Rossa della bontà?”
Rispondo io: “Scusami Andrea, mi sento particolarmente ignorante in materia! Di cosa stiamo parlando?!”
Andrea: “Benissimo! Il primo weekend di agosto dovresti andare insieme ad altri due scout alle celebrazioni del quarto” World Rover Moot “tenutosi nel 1949 a Skjak (impronunciabile al tempo!), in Novergia!”
Io: “Benissimo! Ma che c’azzeccano le due cose insieme?”
Da questo primordiale dialogo nacque un’esperienza che oggi non posso non raccontare, come scout in primis e come persona capace di emozionarsi.
Ammetto: la telefonata non mi ha aiutato a capire le cose ma, come ogni proposta che arriva dal mondo scout, ha aggiunto entusiasmo e un pizzico di decisa frenesia alla mia vita.
Ho iniziato quindi un’affannosa documentazione inerente alla storia della “Freccia Rossa della bontà” e a quello che è successo durante il World Rover Moot del 1949.
Sono fortunato. Federica, che viaggerà con me, ha seguito i lavori delle due edizioni del libro “La Freccia Rossa – 1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa”.
“Cavolo!” ho pensato, “mi è andata proprio bene! Esiste un libro ben fatto che provvederò a divorare quanto prima! Ma riguardo al Rover Moot?”
Ecco che qui capisco ancora una volta che le esperienze scout sono qualcosa di avvincente ed entusiasmante. Mai e poi mai avrei potuto pensare che a viaggiare con me e Federica si sarebbe accomodato un certo Cesare, uno degli scout che prese parte al Freccia Rossa della bontà e che nel 1949 arrivò con i suoi coetanei rover proprio al rover moot di Skjak!
Non è un sogno. Non è fantascienza. È l’ennesima sorpresa che esperienze e storie anche molto lontane dal mio vissuto prendano in realtà una piega ed una significatività ben diversa.
Di colpo mi sento incredibilmente legato a Federica e a Cesare, quasi come ci conoscessimo da una vita. Quasi come i nostri anni di differenza non esistano. La passione nelle nostre vene, quelle voci simpatiche e allegre, quel comun parlare mi fanno dire dopo ogni telefonata che lo scoutismo riesce ad avere una trasversalità generazionale che è qualcosa di unico e meraviglioso.
Ma non è unidirezionale. Dal basso dei miei 29 anni percepisco quello che in realtà è uno scambio di esperienze, un incrocio dannatamente bello di storie per le quali ho l’enorme fortuna di esserne un po’ testimone.
Il rover moot è sicuramente una delle attività scout più interessante e particolare, visti i suoi connotati internazionali e la possibilità di incontrarsi con persone di altri Paesi.
Consapevoli di questo, la cittadina di Skjak (Norvegia) ha voluto riunirsi il primo weekend di agosto per festeggiare l’evento che probabilmente cambiò la sua stessa storia: il World Rover Moot del 1949.
Il 3 agosto ci accingiamo a partecipare alle celebrazioni dei 70 anni dal World Rover Moot.
Sono le undici e la piazza è un brulicare di persone, alcuni in abiti tradizionali norvegesi, qualche famiglia e molti curiosi probabilmente ignari della storia.
Oystein, il direttore del museo scout di Oslo accompagna me, Federica e Cesare in piazza. L’aria è frizzante, particolare, curiosa! Intento come sono a fare foto per documentare l’evento noto invece che sono proprio i presenti ad essere incuriositi dalle nostre ordinate uniformi azzurre.
Ma Cosa facciamo noi in questo luogo?
Studiare la storia ha dell’incredibile e a volte rivela avvenimenti il cui solo racconto lascia a bocca aperta e fa riflettere.
Federica infatti doveva presentare e consegnare alla cittadinanza il racconto appassionato e a tratti impensabile della “Freccia Rossa della bontà”, una vera e propria impresa scout.
La presenza di Cesare ha invece arricchito ancor di più la giornata visto che lui nel 1949 fu un diretto testimone degli eventi narrati nel libro e di quello che fu poi il Rover Moot a Skjak.
Entrare in quella piccola piazza tra la folla di curiosi è stato come fare un tuffo nelle emozioni e nei ricordi di Cesare con la curiosità che sicuramente sta venendo ad ognuno di noi.
Cominciano i vari discorsi delle persone del luogo la cui comprensione ci è abbastanza preclusa: nessuno di noi mastica il norvegese!
Sotto un sole decisamente caldo Cesare, procede emozionato ma sicuro alla scopertura del piccolo monumento dedicato al rover moot. Tra i suoni forti delle cornamuse che si liberano nell’aria, emerge da sotto al telo questa struttura in ferro che sostiene un mondo con una piccola targa a ricordo dell’evento. La gioia è tanta e le emozioni si liberano ancor di più quando Cesare si volge all’opera e la celebra togliendosi il cappellone scout. Un vero saluto, una vera gioia.
Federica, più tardi, racconta ai presenti la storia della Freccia Rossa e tangibili sono le emozioni che emergono dalla narrazione e che delinea tutti i connotati di un qualcosa di bello e unico.
È bello anche perché, a curare questo lavoro ci sono stati dei ragazzi del clan “Zenit” del Busto Arsizio 3 e che Federica ricorda nei passaggi del suo racconto.
Tornando alla storia, un gruppo di rover, a bordo dei propri Guzzini che attraversano l’intera Europa distrutta dalla guerra per incontrare le autorità o delle rappresentanze e sensibilizzarli sul tema dei mutilatini.
Più Federica procede con il racconto e più mi rendo conto di cosa dovesse voler dire attraversare l’Europa in quelle condizioni. Ripenso a come, alla base di quell’impresa ci fossero dei valori e delle testimonianze uniche, vere. Di fatto mi rendo conto di come, nonostante passino gli anni, lo scoutismo è una palestra di valori e di ideali che ti segna per la vita e che insegna a metterti in gioco continuamente!
Mi rendo conto di come, nel momento stesso in cui stavamo raccontando una storia a me lontana ma dai connotati straordinari, stavamo in realtà scrivendo il nuovo capitolo di una storia tutt’altro che finita. Cosa potrebbe accadere ora? Che effetto potrà esserci nella comunità locale?
Lo scoutismo in fin dei conti è un punto d’inizio con un filo che si snoda e dal quale si stacca ogni tanto un nuovo filo e poi un altro ancora. Ma da questi ultimi partono ad un certo punto altri fili e altri invece vengono a incrociarsi! Insomma, ne emerge una profonda rete in cui ogni filo è una storia che si sviluppa e dal quale nuove esperienze prendono forma! Un intreccio incredibile di idee, valori, persone! Una storia che noi stessi nelle nostre realtà stiamo contribuendo a costruire, oggi, come quest’oggi noi a contatto con la lontana ma quantomai “vicina” comunità di Skjak!
È bello pensare come quattro vite così distanti tra loro, sia per le età che per le esperienze possano trovarsi accomunate da un unico spirito e un unico fuoco che arde: lo scoutismo. Credo che la magia più bella sia proprio quella capacità e quella consapevolezza che ognuno di noi, al rientro nelle proprie case sa che la propria vita si è arricchita di qualcosa di nuovo e bello.
La storia della Freccia Rossa della bontà è ora una bellissima pagina di storia legata ad un’impresa fuori dal comune per il tempo e sfociata poi a quei felici eventi del World Scout Moot. Ciò che testimonia è che come ben sappiamo, l’IM-POSSIBILE non è altro che una sfida a farlo diventare POSSIBILE per ogni buon scout.
Quello che accadrà domani? Impossibile saperlo, fantastico immaginarlo, incredibilmente bello realizzarlo!
Buona strada.
Giacomo Traversari,
capo scout di Treviso