Tutti gli articoli di Tuttoscout
Reparto Phoenix – Una nuova prospettiva… la mia!
Ed eccomi qua, a scrivere il mio ultimo articolo tuttoscout da repartista.
Eh già, ragazzi, l’anno prossimo sarò in noviziato.
Un bel passo avanti, non pensate?
Il tempo è passato via davvero velocemente, e non sono ancora abituata all’idea che fra poco lascerò alle spalle il mio reparto, i miei amici diventati la mia famiglia, quelle persone speciali che mi hanno accompagnata, sopportata e supportata sempre.
Il tempo passa, è vero. Ma a volte vorrei soltanto che restasse fermo in un determinato momento o periodo. Ecco io vorrei rimanesse sempre in questi bellissimi 4 anni che ho, ormai, quasi finito.
Il reparto all’inizio mi spaventava, perché non sapevo chi mi sarei trovata davanti.
Ma ora eccomi qua, sono cresciuta, in tutti i sensi. Sono cambiata tanto e in meglio, ma non perché gli altri me lo hanno imposto, semplicemente perché loro mi hanno insegnato ad essere davvero me stessa.
Il reparto è un posto fantastico, e per reparto intendo le persone speciali che lo compongono, guide, esploratori, rover, scolte e capi.
Tutti mi hanno resa la ragazza che sono ora, e devo a tutti la mia bellissima esperienza in questi anni.
Non so come farò senza le urla, i bisticci, gli sguardi ed i sorrisi che vedo sempre sui loro volti. Sono diventati importanti per me, e tutti hanno un posto nel mio cuore.
Abbiamo vissuto tante avventure insieme, e ci siamo sostenuti a vicenda in ogni momento. Ci siamo uniti e abbiamo capito che insieme siamo più forti, e abbiamo visto che l’amicizia è una cosa bellissima. Ho imparato molte cose, e spero di averne trasmesse altrettante.
Questi quattro anni sono stati pieni di emozioni, di risate e momenti indimenticabili.
Devo dire che per la prima volta in tutta la mia vita scout non so cosa scrivere e dire… Esatto, sono senza parole. Sono emozionata, felice, ma anche triste, pensierosa e, specialmente, in ansia, come al mio solito! Vado in ansia per ogni piccolezza, ho paura di tante cose e purtroppo questa non l’ho ancora vinta.
Ma sapete quale paura non c’è più in me? Quella del nuovo, del rischio di andare avanti per la propria strada, di proseguire su una via nuova, a me sconosciuta. E sapete perché non ho più paura? Perché so che così come in reparto ci sono state tante persone vicino a me, altrettante ce ne saranno in noviziato. Perché quando avrò attraversato quel ponte non sarò più la stessa. O almeno, sarò ancora la ragazza che sono e sono sempre stata, ma il mio punto di vista, la mia prospettiva della vita, quella cambierà. Perché diventerò un po’ più grande, come è successo in questi anni, e imparerò ancora di più, mettendomi alla prova stando al servizio degli altri. Perché, in fondo, è per questo che sono ancora scout, proprio perché ho tanta voglia di fare e di aiutare il prossimo voglio continuare il mio percorso per sempre, se Dio vorrà. Queste parole me le ricordo ancora, dopo tutto questo tempo. La promessa non l’ho fatta invano, l’ho fatta col cuore, ed ho pensato prima di chiederla perché è una responsabilità. Un impegno che ti prendi verso i coetanei, i più piccoli ed i più grandi, verso la staff, la squadriglia e il reparto, ma prima di tutto verso te stesso. Perché io ero consapevole di quello che stavo facendo, e l’ho fatto perché volevo correre il “rischio” di donarmi agli altri. E ora, passando, attraversando di nuovo quel ponte, dimostrerò che davvero voglio mantenere la mia promessa. Quindi non lo vedo tanto, quel momento, come un “lasciarsi il passato alle spalle” quanto un “camminare fiduciosa verso il futuro” sapendo che il passato sarà sempre lì per me.
Cambierò, come ho detto, la prospettiva, la mia visione delle cose. Infatti in questo tempo il reparto l’ho visto in modi diversi. All’inizio del mio primo anno era solo un insieme di persone diverse che si vogliono bene, ma ancora non ne avevo un’idea chiara. Dal secondo, invece, ho imparato a conoscere la gente, a non stare sempre solo con una persona, ma a battere la timidezza e andare a parlare con chi è nuovo. Perché per aiutare gli altri, dovevo prima aiutare me ad uscire dal mio guscio, ad essere me stessa ed a essere almeno un pelino estroversa. Dal terzo anno ho cambiato ancora la visuale delle cose. Sapete, diventando vice ho imparato a responsabilizzarmi, perché è una cosa importante, specialmente dal noviziato in poi. Ho imparato cosa vuol dire gestire una squadriglia, aiutare il capo ed organizzare le attività, ho imparato a non dar nulla per scontato e a vedere tutto a 360 gradi. Perché penso che per conoscere bene la gente non devi solo parlarle qualche volta, ma devi starle vicino, immedesimarti in lei e pensare come lo farebbe quella persona. Perché se guardi tutto dall’alto di una collina, non ti accorgerai dei piccoli dettagli che a volte sembrano banali ma, magari, sono essenziali. Se invece guardi tutto da un lato, non vedrai mai cosa c’è dall’altra parte della strada. Se scali una montagna e guardi verso il basso, vedrai che sei arrivato a buon punto, ma non vedrai quanto ti manca alla cima. Sforzatevi di vedere il mondo con occhi diversi, nuovi, giovani ma allo stesso tempo anziani. Con occhi da persona felice, responsabile e serena, con occhi da scout, insomma. Siate i primi a immedesimarsi negli altri e ad offrire l’aiuto per il prossimo. Perché la felicità sta nelle piccole cose, ed i sorrisi della gente sono i dettagli più minuti ed importanti.
Voglio approfittare di questo articolo sulle prospettive per dirvi che la vita è bella, nonostante tutto e tutti. Perché dico per esperienza che noi siamo fortunati a vivere una vita per bene, ad avere opportunità che magari altri non hanno. Godetevi le piccole cose, le gioie della vita, purtroppo, non sono illimitate. Se pensate che la vostra vita non sia bella, che siete sfortunati a causa di qualcosa che non va bene, vi ricordo che c’è gente legata ad un letto per tutta la sua vita; vi ricordo che c’è gente che vive in pessime condizioni, a volte purtroppo anche disumane. Se pensate che la vostra vita faccia schifo perché siete presi in giro, bullizzati o qualcuno vi tormenta, ricordatevi che la vita è bella, se voi la considerate tale. Imparate a fregarvene di chi non s’interessa a voi e a tenere strette le persone a voi care. La vita è una sola, vivetela al meglio.
E con queste foto vi saluto, da repartista, e vi dico che ci vediamo l’anno prossimo, da novizia.
Buona strada!
Canarino Stravagante
Blog de Papel – Episodio pilota
Ho 25 anni, sono nato nel 1994. Nello stesso anno un certo Jeff Besos fonda Calabra (che poi deciderà di rinominare Amazon), l’IBM presenta il primo smartphone e la Sony lancia sul mercato la Play Station. L’anno dopo nasceva eBay. Stavo imparando a leggere e scrivere in prima elementare quando vidi in diretta TV il crollo delle Torri Gemelle, l’anno in cui nasceva Wikipedia. L’anno successivo, nel 2002, imparavo a usare gli Euro inconscio della nascita di Linkedin, il primo social network. Avrei dovuto aspettare le medie per iniziare ad usarne uno anch’io: si chiamava MySpace e oggi è praticamente scomparso.
Non penso che mai, in 200.000 anni di umanità, un venticinquenne si sia trovato a parlare a un dodicenne dicendo “ai miei tempi”. Eppure, da repartaro sono diventato rover e ora capo e sembra siano cambiate più cose in questi dieci anni che nei cinquanta precedenti. Le chiacchierate in reparto, le domande e le risposte che ci scambiamo come interpreti di lingue straniere, il cambiamento epocale che continuo a vedere, mi spingono (ma penso valga per tutti quelli che hanno più o meno la mia età) a sentirmi quasi un “veterano”, sopravvissuto a quando WhatsApp non esisteva e per “messaggiare” ci toccava inviare sms con il T9. E ogni sms costava!
Quando ne parlo mi sembra di sentire mio padre che mi racconta del cavallo che trainava il carretto del fieno in campagna o del bidello che passava alla prima ora con la brocca d’inchiostro a riempire i calamai. Ma io non sto parlando di cose di mezzo secolo fa: WhatsApp ha 10 anni. Se fosse uno scout sarebbe forse un lupo della legge!
Questi pensieri sparsi, che mi venivano parlando, appunto, con guide ed esploratori di oggi, hanno iniziato a trovare un filo conduttore leggendo “The Game” di Alessandro Baricco. Penso che offra uno stimolo portentoso per capire che cosa sta succedendo o, meglio, che cosa ha iniziato a succedere ben prima che Steve Jobs lanciasse il primo “Mac”, qual è la vera rivoluzione di cui siamo parte (attiva o passiva, lo scopriremo). È una riflessione che vorrei condividere con voi, poco alla volta. Vi invito quindi in questa nuova rubrica a patire per una route, un gioco avventuroso in cui daremo, come propone il tema di questo Tuttoscout, “uno sguardo al passato per aprire nuove prospettive”.
Mi piacerebbe viverlo come un blog dei “vecchi tempi”, ma qui, sulla carta. Per questo sarà un “blog de papel” interattivo che si riempirà anche delle vostre domande, idee e curiosità.
Per commentare questo strano blog, dando i vostri suggerimenti e contributi, potrete scrivere ai social del Gruppo (su Facebook e Instagram) con l’hashtag #bustotre e #blogdepapel.
Stay hungry
Stay… tuned!
Caster
Branco Tikonderoga – Il mitico campetto dei cda a Trieste
C’è troppo treno!
Sono Nicola e con altri 11 ragazzi sono stato a Trieste per il nostro campetto dei cda.
Poema scritto con Akela, in un momento di ispirazione… ferroviaria:
C’è troppo treno! Scendere!
Troppi alberi! Tagliare! Come? Con la motosega.
Ci sono troppe nuvole! E quindi? Piove!
Nicola
Siamo 12 cda del branco Tikonderoga, e il 23 aprile siamo partiti molto presto dalla stazione per raggiungere Trieste. Eravamo assonnati ed agitati e pure felici di stare insieme 3 giorni. Abbiamo preso il treno che ha occupato 4 ore della nostra vita! Appena arrivati ci siamo stabiliti all’oratorio Santa Rita e pranzato con i nostri panini. Il pomeriggio è stato faticoso, abbiamo raggiunto il castello di San Giusto e visitato le rovine romane e la cattedrale del 1300. E poi è arrivato il diluvio e noi coi capi e Mang a svolazzare con le nostre mantelle per le piazze di Trieste. La chiesa Ortodossa aveva delle meravigliose sculture al soffitto, rose di una bellezza esagerata! Akela al molo audace ci ha spiegato la rosa dei venti e raccontato la storia della prima nave approdata ad una Trieste libera, nel 1918, per la fine della prima guerra mondiale. Al rientro in oratorio abbiamo preparato tramezzini per l’escursione del giorno dopo. Cena calda e gustosa e poi visione del film ‘Invictus’, storia di Nelson Mandela e della squadra nazionale di rugby del Sud Africa.
Anche noi vogliamo essere padroni del nostro destino!
La mattina dopo abbiamo fatto la colazione migliore del mondo, con pankache, nutella e marmellata. Spettacolo! Zaini in spalla, abbiamo raggiunto il castello di Miramare, chiuso per le riprese cinematografiche di un film. E finalmente il sole ed il mare, raggiungendo in pullman, Sistiana. Telo mare, via uniforme e fazzolettone e… primo tentativo di entrare in acqua: gelata e con cavalloni bellissimi! Abbiamo fatto delle piccole zattere che poi affondavamo coi sassi. Per rientrare a Santa Rita, abbiamo preso il treno. Dopo cena, mentre Baghee, Nicola e Chil, preparavano del tiramisù in cucina, abbiamo cantato “mani” e poi tutti insieme giocato a twister. Quella notte non riuscivamo a dormire, neppure Nicola che di solito ronfa appena tocca il saccoapelo. Eravamo strafelici di stare insieme! La mattina del 25 aprile ci siamo alzati molto presto per raggiungere un posto chiamato Risiera di San Sabba e che poi abbiamo scoperto esser stato un campo di concentramento. Ci siamo fermati lì per assistere alla cerimonia cittadina per la festa della liberazione ed una signora commossa, ci ha raccontato la sua storia e quella del suo papà deportato nel 1943. Tornati in oratorio abbiamo mangiato le ultime leccornie di Chil e Bagheera, compreso il tiramisù fatto da Nicola la sera prima. Dopo una mega siesta con torneo di calcetto e pulizie, visita alla chiesetta vicino all’oratorio, abbiamo raggiunto la stazione dei treni. Mitici il marzianito con animali di Mang e le ban fatte tutti insieme durante il viaggio. E… dopo la cena in cerchio sul marciapiede tra i binari della stazione di Mestre… c’è troppo freccia rossa… veloce! E tutti a casa!
Nicola, Sara, Diana, Chiara, Angelica, Matilde, Yvonne, Mattia, Leonardo, Matteo, Lorenzo e Riccardo detto Il Mayer
Branco Lupi della Brughiera – Un pernotto a Torino
Sabato 9 marzo ci siamo alzati presto apposta per un’uscita speciale a Torino!
La nostra sveglia è stata verso le 5 del mattino e ci siamo ritrovati in stazione a Busto pronti per vivere questa avventura.
Per raggiungere la nostra meta abbiamo cambiato due treni.
Il viaggio è stato lungo ma divertente: c’era chi giocava, chi dormiva, chi guardava fuori dal finestrino, chi continuava a parlare eccitato dall’idea di ciò che avremmo visto.
Una volta arrivati siamo saliti sul bus che ci ha portato vicino alla chiesa di San Bernardino, dove ci aspettava fra Raffo, il nostro vecchio AE che ora abita a Torino.
Fra Raffo ci ha accolto e ci ha “istruito” nella gestione del posto in cui avremmo dormito.
Oramai era ora di pranzo ed essendo molto affamati, abbiamo mangiato i nostri panini.
Sestiglia Marroni
Dopo un pranzo più che meritato, abbiamo preso un tram che ci ha portati in centro a Torino e verso le 14.00 siamo entrati al Museo Egizio.
Salendo per 4 piani su una lunga scala mobile, abbiamo notato la riproduzione gigantesca del percorso del Nilo sulla parete dei piani percorsi.
Con Chil abbiamo osservato papiri del Libro dei Morti che spiegavano i trucchi per superare gli ostacoli e i tranelli che il defunto avrebbe incontrato.
Gli Egizi erano ossessionati dalla morte, tanto che i faraoni subito progettavano la loro tomba.
Abbiamo visto i sarcofagi che custodivano i corpi imbalsamati, erano decorati sia all’interno che all’esterno ed erano 3 per gli uomini e 2 per le donne.
Abbiamo scoperto come gli scheletri non imbalsamati siano rimasti intatti grazie al clima secco e arido dell’Egitto che li ha conservati per millenni.
Infine abbiamo visitato una sala oscurata, dove abbiamo visto statue giganti, inerenti la religione egizia. Qui abbiamo concluso la nostra visita con una bella foto…
Sestiglia grigi
Dopo un pomeriggio passato a osservare come uomini e territorio hanno saputo custodire le tracce di un’antica e affascinante civiltà, al convento di fra Raffo ci aspettava un’esperienza fantastica, una cena a “modi di scout grandi”.
I vecchi lupi ci hanno avvisato che avremmo preparato la cena utilizzato i fornellini come fanno gli RS e ci hanno spiegato come avremmo dovuto fare.
Abbiamo iniziato accendendo i fornellini, poi, riempita una gavetta di acqua, l’abbiamo fatta bollire. Quindi abbiamo messo il sale e la pasta. Quando ci è sembrata cotta, l’abbiamo scolata e abbiamo aggiunto il pesto. Non abbiamo mai mangiato una pasta al pesto più buona!
Dopo aver mangiato abbiamo fatto un fantastico bivacco. Ci siamo ritrovati in un museo. Lì c’era una nuova guardiana, arrivata quella sera. Lei non sapeva che cosa succedeva in quel museo di notte. Camminando, ha incontrato un egiziano, che le ha insegnato una “tipica danza”.
Discutendo sulle cose che c’erano in Egitto, è saltato fuori l’argomento delle piramidi.
Il visitatore egiziano ci ha fatto fare le piramidi umane, poi ci ha fatto costruire anche il trono del Faraone, la Sfinge, … insomma, noi eravamo le pietre che costruivano!
L’egiziano alla fine se ne è andato a dormire.
Mentre La guardiana continuava a fare il suo giro, ha incontrato un antico gladiatore romano. Questo nuovo personaggio ci ha fatto provare due gare: lo scalpo leale e la corsa dei cavalli. Anche i vecchi lupi hanno dovuto sfidarsi: Akela contro Bagheera e Fratel Bigio contro Wantolla.
Infine abbiamo incontrato un misterioso cavaliere innamorato che ci ha insegnato come conquistare le gentildonne.
Alla fine eravamo così stanchi che qualche cucciolo si addormentava in cerchio.
Fra Raffo ci aveva portato delle chiacchiere e dopo averle gustate, ci siamo preparati per andare a dormire.
Sestiglia Bianchi
La mattina di domenica 10 marzo, fra Raffo ci ha portato a visitare il convento dove abita. Ci ha spiegato la vita in comunità. Appena entrati abbiamo visto la statua di San Francesco d’Assisi e abbiamo imparato molte cose su di lui, …
Dopo, abbiamo visto il refettorio, dove i frati mangiano in fraternità. La parola fraternità è molto importante per i frati: come noi hanno regole sui momenti insieme. Per esempio si inizia a mangiare insieme, dopo aver pregato. Non ci si alza da tavola fino a quando l’ultimo non ha finito e non si può avanzare il cibo. Proprio come le regole del branco!
Fra Raffo ci ha detto che i frati pregano e stanno insieme perché i 2 pilastri della vita da frate sono la fraternità (frate = fratello) e la preghiera. Infine ci ha portato nel chiostro e ci ha mostrato la statua di Maria con in braccio Gesù Bambino. Era al centro, circondata da tante piante e cespugli di fiori che stavano per sbocciare. Ci ha fatto stare in silenzio per 10 secondi per farci sperimentare la tranquillità custodita dalle mura del chiostro. Appena entrati nel chiostro tutti abbiamo detto “Che Bello!” e davvero era bellissimo.
Alla fine abbiamo fatto una foto con fra Raffo che ci ha salutato e benedetto.
Appena usciti, abbiamo preso il bus e siamo andati a parco Valentino, abbiamo pranzato con hamburger e patatine che i vecchi lupi hanno comprato al McDonald’s.
Sestiglia pezzati
Arrivati al Parco, abbiamo subito fatto la nostra catechesi. Per noi è stato molto d’aiuto. Abbiamo capito come accettare i nostri difetti e come migliorare noi stessi. Abbiamo imparato a volerci bene a conoscere le nostre passioni, i difetti e le paure… abbiamo capito che chi ti vuole bene, ha il coraggio di dirti le cose che non vanno, perché vuole custodirti. Proprio come Baloo e Bagheera hanno fatto a Mowgli, nel racconto “la caccia di Kaa”.
Siamo molto felici di questa bella esperienza che pensiamo essere stata molto educativa.
Speriamo ci capiti ancora.
Sestiglia neri
Essere capogruppo
Sapevo che, prima o poi, sarebbe successo: “Ehi, ci scrivi un editoriale dopo il tuo primo anno da capogruppo?”.
Già, e adesso? Mi toccherà inventarmi qualcosa…
Parlando seriamente, quando diventi capogruppo accadono cose che, bene o male, ti aspettavi fin dall’inizio e altre alle quali non avresti invece mai pensato, soprattutto se come capita a me, non riesci a trovare il tempo per seguire contemporaneamente al servizio assegnato, anche la conduzione di un’unità.
La prima impressione, a inizio anno, è che… Ti manchino i ragazzi, non seguendoli più “in diretta”. Che ti fai carico di una diversa categoria di problemi, meno logistici e più istituzionali. Che cambiano le relazioni che intrattieni, con un rapporto tra quelle esterne rispetto a quelle interne al gruppo decisamente aumentato rispetto all’anno precedente. Si modifica la tua agenda; non che le pagine diventino più o meno fitte, semplicemente cambia forma annoverando impegni di natura differente rispetto a quanto non accadesse solo l’anno prima.
Certo, c’è la soddisfazione di rappresentare uno dei gruppi AGESCI più numerosi d’Italia, se non il più numeroso e, insieme, il timore continuo di non esserne mai all’altezza. C’è la paura atavica di non meritare sempre quella fiducia nella quale hai posto il tuo onore, quella di non saper gestire tutte le novità; soprattutto quando afferiscono ad ambiti che non conosci, come tutte le modifiche al regolamento metodologico delle branche nelle quali non hai ancora fatto servizio o gli adempimenti che ogni anno, per ruolo, devi assolvere.
Poi, ineluttabilmente, cominci a prestare servizio effettivo come capogruppo e, banalmente, la tua visione delle cose prende una forma diversa da quella che avevi all’inizio di quest’avventura.
Impari che muta il “peso” delle tue parole che devono diventare più autorevoli, ora che hai addosso gli occhi di tutti i capi e i ragazzi del tuo gruppo e capisci che in Co.Ca. devi stare attento al “peso” di quelle parole, sia nella diplomazia che nella fermezza, perché ora vengono da un capogruppo. Impari che i ragazzi, in realtà, non ti mancano perché ora, che tu lo desideri o no, sei un capo per tutti loro, non solo per quelli della tua unità.
Apprendi che non sono diverse le necessità dei tuoi ragazzi ma è la tua visione prospettica che necessita di essere ampliata, includendo aspetti ai quali non prestavi particolare attenzione, gestiti fino a quel momento dal tuo capogruppo (appunto) e ora diventano strumenti che metti nello zaino durante il cammino che definisce il tuo progetto del capo.
Capisci che enti, istituzioni, associazioni, genitori, ecc… necessitano di un interlocutore per tutto il gruppo e, parlando linguaggi diversi, ti insegnano a rapportarti in modo diverso dall’uno all’altro senza perdere di vista i valori, la bussola che indica il tuo percorso.
Ti arricchisce il confronto con altri capi che in Zona o in Regione, svolgono il tuo stesso servizio e condividono le tue difficoltà. Percepisci bene il peso che comporta la maggior responsabilità e i rischi ad essa connessi.
Certo, più volte ti vien voglia di gettare la spugna che, tradotto, non vuol dire “rinunciare all’incarico” ma semplicemente, lasciare che le cose vadano per loro conto: “…Chi te lo fa fare di farti sangue amaro, tu digli sempre di sì, e vivi tranquillo…”. Altrettante volte capisci il pericolo derivante dalle conseguenze di quella spugna gettata e decidi di tenere duro.
Impari a contare fino a dieci prima di prendere fuoco e, in questo modo, ti nutri della diversità, che diventa ricchezza, delle opinioni della tua Co.Ca. e gioisci tutte le volte che un ex-partente, diventato giovane capo, ti stupisce mostrandoti che hai ancora molto da imparare.
Ti rendi conto che in tutto questo, fortunatamente, non sei solo perché i tuoi compagni di strada sono una controparte nella diarchia talmente in gamba da riuscire a sopportarti e un A.E. che la Zona, sotto sotto, ti invidia, per non parlare di quel Dio meraviglioso in cui credi e che ogni tanto bistratti, che in tutto questo marasma non ti ha abbandonato un solo attimo.
Ecco. In quel momento, volgendoti indietro e chiudendo gli occhi, rifaresti ancora tutto senza perderti nulla. Non foss’altro che non sarebbe così bello da nessun’altra parte.
È allora che sei sicuro di aver fatto, nonostante tutti i tuoi difetti e le tue inadeguatezze, tutto sommato la scelta giusta; quella che, pur tra mille difficoltà e ostacoli, non ti fa rimpiangere il cammino che stai percorrendo e ti fa sentire grato per l’occasione di crescita che ancora ti viene offerta.
Termite caparbia
Branco Tikonderoga – Il giorno della memoria
“Accade facilmente a chi ha perso tutto di perdere sé stesso”
Primo Levi
Il significato di questa frase è che è facile perdersi d’animo e perdere la ragione di sopravvivere dopo che si è vissuto un periodo dove ti hanno strappato il diritto di avere una vita normale.
Tutto questo è accaduto nei campi di concentramento lontano da tutto e lontano dai tuoi cari. In questi posti le persone venivano maltrattate ed uccise ingiustamente.
Per questo motivo il 27 gennaio viene ricordato il giorno della memoria, perché nessuno dimentichi ciò che è successo. Ci sono molti film e libri sui campi di concentramento in cui si può veramente sentire il dolore delle persone che sono morte.
Sveva Simone, Rosa Lampugnani
Branco Tikonderoga – Le Beatitudini
È sempre lui… Dio!
È sempre lui che mi accompagna in giro, è sempre lui che sorveglia su di me!
Lo so che molti di voi non credono molto, ma vi consiglio di leggerlo comunque.
Non voglio dirvi che dovete assolutamente credere a Dio, ma vi consiglio di pensarci, perché così Lui sa che voi state pensando a Dio e Lui cercherà di “parlarvi”.
A me ha fatto capire che non devo sprecare la mia vita a divertirmi, perché in questi giorni mi stanno parlando delle beatitudini.
Un santo ha detto: “beato chi è nel pianto, perché verrà consolato!”, non so se sia una cosa molto bella, ma Gesù ha detto così!
Un altro santo ha detto: “beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Non sono cose che si dicono in giro, ma sono cose belle.
In tutti voi c’è qualcosa di beato. In poche parole siete tutti beati, sia io che voi.
Elisa
Branco Tikonderoga – Il falco pigro
Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato. «E l’altro?» chiese il re.
«Mi dispiace, sire, ma l’altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell’albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo».
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco.
Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull’albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. «Portatemi l’autore di questo miracolo», ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. «Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?», gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: «Non è stato difficile, maestà. Io ho
semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare».
Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le ali.
Siamo tutti nati per volare, per sprigionare l’incredibile potenziale che
possediamo come esseri umani. Ma a volte ci sediamo sui nostri comodi rami casalinghi, abbarbicati alle cose che per noi sono familiari. Le possibilità sono infinite, ma per molti di noi, rimangono inesplorate. Ci conformiamo alla familiarità, al comfort e all’ordinario.
Quello che è successo al pennuto di questa bellissima storia è ciò che ci succede quando riusciamo ad allontanarci dalla nostra cosiddetta “zona di comfort”, superando le paure e i limiti che spesso ci tengono bloccati.
Dagli scritti di B.P.: Quando ero giovane c’era in voga una canzone popolare: «Guida la tua canoa» con il ritornello» «Non startene inerte, triste o adirato. Da solo tu devi guidar la tua canoa». Questo era davvero un buon consiglio per la vita… sei tu che stai spingendo con la pagaia la canoa, non stai remando in una barca. La differenza è che nel primo caso tu guardi dinnanzi a te, e vai sempre avanti, mentre nel secondo non puoi guardare dove vai e ti affidi al timone tenuto da altri e perciò puoi cozzare contro qualche scoglio, prima di rendertene conto. Molta gente tenta di remare attraverso la vita in questo modo. Altri ancora preferiscono imbarcarsi passivamente, veleggiando trasportati dal vento della fortuna o dalla corrente del caso: è più facile che remare, ma ugualmente pericoloso. Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre la sua canoa, cioè si apra da solo la propria strada. Guida tu la tua canoa!
…cos’altro aggiungere… affidarsi e condividere gioie e fatiche!
Buona caccia!
Chil
Branco Albero del Dhak – Lupetti per una sera
Sabato 10 marzo noi genitori del branco Albero del Dhak ci siamo trasformati in lupetti per una sera, infatti siamo stati accolti in branco, abbiamo imparato alcune regole del branco, siamo stati divisi in sestiglie (ci hanno colorato in faccia con la tempera e abbiamo creato il nostro poster di sestiglia!) e abbiamo giocato, mentre i nostri figli sono diventati adulti, hanno fatto la spesa e hanno apparecchiato e cucinato per noi.
Ci siamo divertiti davvero tanto, e oggi mi chiedevo: perché quando si diventa adulti si smette di giocare? Perché diventare troppo seri, uccidendo il nostro bambino interiore?
Dai, sarebbe bello trovarci non solo per mangiare, bere e parlare, ma anche giocare insieme… ce li hai,
sparviero, palla infuocata… magari la ruggine sparisce!
Grazie a tutti i capi scout dell’Albero del Dhak!
Maricela