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L’accoglienza non è una pratica di assistenzialismo ma una festa

L’accoglienza è un tema scomodo e molto discusso in questi tempi e l’analisi delle varie parti politiche e sociali spesso risulta essere oltre che parziale insufficiente.
Per comprenderne meglio l’essenza è sufficiente partire da una semplice constatazione. L’accoglienza sta alla radice del nostro essere uomini e donne in questa terra. Fin dalla nascita ognuno di noi è stato accolto dai genitori e come figli abbiamo accolto i nostri genitori nel progetto della nostra vita. Non abbiamo scelto quella mamma e quel papà, eppure li abbiamo accolti e loro hanno accolto noi e tenendoci fra le loro braccia hanno percepito che eravano – molto più e molto altro – rispetto dall’immagine che si erano creati di noi. Accogliere dunque è scoprire l’altro.
Se partiamo da qui comprendiamo subito come ogni momento della nostra vita personale è in realtà caratterizzato dall’accoglienza e pertanto l’accoglienza non è una pratica di assistenzialismo come ce la vogliono vendere opinion leaders e politici (accolgo il povero, l’indifeso, il derelitto, perché ho di più, perché sono più fortunato, perché sono il buono) ma è una cifra che fa parte del nostro essere umani.
L’accoglienza dunque sta alla base delle relazioni che ogni giorno creiamo. Accogliere chi ci assomiglia, che vive nello stesso contesto, che condivide stile e tradizioni simili o uguali alle nostre è facile, talmente facile che lo diamo per scontato, che non ci sembra nemmeno di farlo. Eppure ne siamo esperti.
Oltre ad una scoperta l’accoglienza può esser una provocazione, perché quando accogliamo non è sufficiente fare affidamento al nostro ruolo o alla nostra competenza (figlio – genitore, educando – educatore, caposquadriglia – guida / esploratore…), ma dobbiamo metterci in gioco completamente, con le nostre debolezze e dobbiamo lasciare che anche l’altro ci accolga e accettare anche che l’altro possa decidere di non accoglierci.
Dobbiamo fare i conti con la possibilità che chi troviamo di fronte possa non condividere il nostro pensiero e la nostra cultura. In questo caso non è certo facile ma dobbiamo lasciarci guidare dalla consapevolezza che “Non si cresce solo tra chi ci assomiglia” (cit). Al contrario, maturità e crescita si basano sullo scontro e incontro di idee e pensieri differenti.
Come Scout e come Cristiani mi piace pensare che possiamo anzi che dobbiamo “fare la differenza” anche in questo. Dobbiamo rendere il nostro accogliere un atto di gioia e d’amore.
Basta pensare al modo di accogliere che sperimentiamo fin dal primo giorno in cui arriviamo in Colonia, Branco, Reparto… caratterizzato dalla felicità, espressa con canti e balli, abbracci e risate.
Questo è per me il giusto modo di accogliere. Una grande festa. Come quando nasce un bambino, come ad un matrimonio, come quando rivediamo un parente o un amico dopo tanto tempo, come Gesù che venne accolto a Gerusalemme dalla folla che lo acclama come Re, agitando fronde e rami presi dai campi.

Sara

Reparto Perseo – Linci: un’uscita fantastica

169 Dicembre 2018: sapete a cosa corrispondeva? Ad un’uscita di squadriglia, finalmente! Ma anche allo sciopero dei treni purtroppo…
Probabilmente i capi ci hanno voluto mettere alla prova se hanno programmato per questo giorno sfortunato una delle attività più amate! Così gran parte del Perseo è andata un po’ in panico avendo scoperto ciò solo il giorno precedente.
A noi Linci però, che siamo sempre fortunate -non proprio sempre-, il treno non è stato cancellato, e a differenza di altre squadriglie non abbiamo dovuto aspettare due ore in stazione!
Tirato un sospiro di sollievo siamo partite per Milano, ma non per vedere il solito Duomo, bensì la parte più moderna e meno conosciuta. Il treno era pieno di gente a causa dell’Artigianato in fiera, ma siamo riuscite a non perderci nella folla e ad arrivare a destinazione al completo.
La prima tappa è stata piazza Gae Aulenti, che era già addobbata per bene in tema natalizio; lì abbiamo scattato un sacco di foto stupende e Polaroid, ed è stato molto difficile resistere al profumo di dolci che arrivava dalle bancarelle! Per risolvere questo dramma abbiamo scelto di spostarci alla Bibioteca degli alberi, quindi alla chiesa di Santa Maria Incoronata, dove abbiamo partecipato alla messa.
Ormai devastate dalla fame, ci siamo sedute su delle panchine in prima classe con vista Bosco Verticale per pranzare. Poi, presa la metro Linea Lilla, siamo arrivate a City Life, dove abbiamo fatto visita al piccolo Leone in casa Ferragnez -non ricordo se sia andata proprio così… – e ci siamo spaparanzate davanti ad una fontana a prendere il sole, ma nonostante l’impegno, siamo più bianche di prima…
Siccome abbiamo finito il programma gentilmente realizzato dalla nostra capo sq. almeno due ore prima -Schumacher può solo invidiarci- abbiamo deciso di anticipare un po’ il rientro, e anche questa volta Trenord è stata dalla nostra parte!
Così si è conclusa la nostra uscita di squadriglia in modo perfetto, e devo dire che non vedo l’ora della prossima!

Fennec Elegante (Marta Ruggeri)

La leadership nel reparto

13-2Lo chiamano “repartismo” per distinguerlo dallo “scoutismo” (o “scautismo”, in italiano desueto) in generale, dal “lupettismo” (che poi, perché “coccinellismo” non si sente mai?), roverismo e castorismo. Il “capismo” non esiste, e questo dovrebbe mettere la parola <FINE> sui discorsi di chi vede la Comunità Capi come una quarta branca (ma quarta o quinta?). L’idea del reparto (o “riparto”, sempre in italiano desueto), si è evoluta parecchio da quando è stata inventata più di un secolo fa. Per di più non si è mutata su una strada singola, ma il Metodo del reparto ha preso strade diverse diramandosi, allontanandosi e riavvicinandosi di volta in volta all’idea originale che, ad oggi, sarebbe quasi difficile spiegare.
Fatto sta che mi è capitato di sentire più volte discutere riguardo a quella che dovrebbe essere una delle massime che guidano proprio lo scoutismo in generale: “Ask the boy”. Il problema delle massime è che sono molto ispiranti, ma a volte lo sono troppo perché, invece di indicare una strada, mostrano un orizzonte. Ecco così che, quando ragioniamo sull’ask-the-boy powelliano, è come se contemplassimo un panorama dall’alto di un monte, ma senza avere una destinazione. In fondo i nostri boys (che, graziaddio, sono anche girls) sono dei mondi su cui noi capi gettiamo il nostro sguardo.
A questo punto il rischio dell’ask-the-boy “a prescindere” è quello di delegare scelte e (peggio che peggio) responsabilità ai nostri fratellini e sorelline. Un rischio per un capo e un peso non dovuto per un bambino o un adolescente. L’ask-the-boy è uno strumento, non un modo di fare. Al contrario l’impresa, ad esempio, non è uno strumento ma un modo di fare. Quindi il geniale, portentoso e rivoluzionario ask-the-boy non ci dice come guidare i ragazzi e ragazze che ci sono affidati, ma ci dà un potente strumento di attenzione, ascolto e partecipazione, ma non necessariamente di democrazia, si badi bene!
Allora come si fa? Se questo è un mezzo, qual è il modo?
13Vorrei condividere un’immagine che mi è stata consegnata a questo scopo da capi molto più esperti di me e che mi è particolarmente piaciuta: immaginate una nave. Può essere una nave di qualsiasi tipo (da crociera, spaziale…) ma a me piace pensare ad un veliero pirata o corsaro o di un qualche condottiero dal grado strano tipo “commodoro” o “contrammiraglio”. Ognuno sulla nave, indipendentemente dal tipo di imbarcazione, ha un suo posto e un suo ruolo. L’equipaggio è ovviamente composto da esploratori e guide, ma i capi dove stanno? Al timone? Di vedetta? Seduti al quadrato degli ufficiali con la mappa e la bussola?
Signornò! Noi capi non siamo sulla nave: siamo il mare che la tiene a galla e, a volte, il vento che la spinge. Tutto il resto è in mano a loro.

EG (di nome e di fatto)

Branco tikonderoga – Chi sono le vere amiche

Le vere amiche sono quelle che non ti tradiscono mai, che ti consolano quando sei triste, che non ti lasciano mai da sola, che ti aiutano se hai bisogno e sono con te nei momenti belli e in quelli brutti. E’difficile perdonare un’amica se ti ha trattato male, si è dimenticata di te, e ricominciare a parlarle dopo una litigata è proprio dura!
Sono Sara, una lupetta cda del branco tikonderoga, e ne sono fiera.
Perdonare è difficile però bellissimo!

Branco Albero del Dhak – La mia giornata scout

AdDDomenica 2 novembre 2018.
Io una lupetta del Branco Albero del Dack insieme ad Elena e Birtukan due mie amiche e con il nostro capo scout Akela ci siamo trovati in oratorio a Olgiate Olona la quale ci ha dato indicazioni su cosa avremmo fatto quella giornata.
Dopodiché siamo andati in chiesa ad ascoltare la messa e una volta usciti, Akela ci ha fatto una grande sorpresa portandoci a casa sua a mangiare e non facendo cosi il solito pranzo al sacco.
Insieme alla figlia di Akela Alessia ho aiutato ad apparecchiare e sparecchiare la tavola.
Io, Elena e Birtukan abbiamo poi aiutato Akela a fare il castagnaccio e le castagne da portare alla casa di riposo dove saremmo poi andate nel pomeriggio. Una volta arrivati lì abbiamo salutato gli anziani e insieme a loro abbiamo condiviso la merenda e per renderli più felici gli abbiamo cantato alcune canzoni del nostro branco.
Da questa giornata ho capito che bisogna sempre cercare di portare un sorriso a tutti con semplici gesti, soprattutto alle persone anziane che hanno tanta voglia di compagnia.
Giorgia

Colonia Stella Azzurra – Il magico mondo di Oceania

Noi castorini della Colonia Stella Azzurra per una settimana siamo andati a Oceania: un magico mondo di fantasia e di gioco, grazie a un dente di squalo.
Il primo giorno abbiamo trovato il capo villaggio insieme alla sua famiglia, la nonna e Vaiana. Dopo abbiamo trovato Maui, un semi dio del vento e del mare. Stava cercando l’amo, lo aveva Tamatoa.
Vaiana doveva ritrovare Maui, prenderlo e portarlo via con sé e rimettere il cuore di Tepiti al posto.
Nel frattempo siamo andati a cercare Tamatoa al lago, abbiamo fatto il bagno e tanti tuffi.
Al mattino si faceva colazione. Io cambierei la colazione con pasticcini e torta al cioccolato.
Abbiamo fatto una barca e disegni.
Mangiavamo bene quando abbiamo avuto il riso con la salsa di soia e la grigliata.
Noi Code Nere abbiamo fatto una serata speciale e abbiamo incontrato i figli di Teka. Abbiamo preso tanta forza.
Il penultimo giorno abbiamo lottato contro Teka e abbiamo ricuperato il cuore di Tefiti insieme a Maui e Vaiana. Teka è diventata Tefiti.
All’ultimo giorno sono arrivati i genitori per fare la cena: hot dog, panini con la salamella. Hanno cucinato i ragazzi e Jack in mutande.
Ci siamo tanto divertiti.

I Castori, a giugno, per sei giorni hanno incontrato Vaiana. Eravamo ad Oceania e abbiamo potuto entrare in quel mondo grazie ad un dente.
Si andava a letto presto e si mangiava bene, soprattutto la pasta al sugo. La sera si dormiva.
Certe volte i capi si arrabbiavano con noi perché non rispettavamo tutte le regole.
C’è stata una giornata speciale quando abbiamo sconfitto Teka e la catechesi era sul piccolo principe.
Se fossi un vecchio Castoro non cambierei proprio niente di questo campo.
L’ultimo giorno abbiamo giocato contro i bambini una partita di calcio. E’ stata una battaglia perché avevano vinto loro.
Le Code Nere hanno avuto una serata speciale: hanno combattuto contro Teka e i suoi figli, c’era un cattivo che si chiamava Antonio.
Un giorno abbiamo fatto il bagno al lago e gli altri giorni abbiamo costruito una zattera, la cerbottana, un amo e la canna da pesca. In siesta giocavamo a calcio con gli amici.

Il campo estivo è iniziato il primo luglio ed è finito l’8 luglio. Quindi è durato una settimana. Al campo estivo abbiamo incontrato Maui, nonna Tala, il capovillaggio Vaiana, Teka, Tefiti, Tamatoa e i Kakamora. Tra questi personaggi Maui era davvereo speciale perché era forte e pieno di tatuaggi. Eravamo in un mondo fantastico, chiamato Oceania. Siamo entrati in questo mondo fantastico grazie ad un dente di squalo.
Al campo estivo abbiamo mangiato bene e la cosa più buona che ho mangiato sono le carote. La sera si andava a letto alle 11. Si andava a letto così tardi perché la sera ci portavano a ballare. Le Code Nere hanno avuto una serata speciale perché sono andate nel bosco di notte.
Abbiamo anche fatto dei lavoretti; ad esempio abbiamo costruito una barca con dei tappi di sughero. Durante la siesta giocavamo.
Al campo estivo abbiamo combattuto contro Teka un demone del fuoco e della terra, lui era cattivo.
Un giorno siamo anche andati al lago e abbiamo fatto il bagno. E’ stato un campo speciale e abbiamo anche fatto i tatuaggi. La sera facevamo catechesi e il tema era il piccolo principe.
Al campo estivo ho rispettato le regole a tavola; qualche volta i capi si sono arrabbiati, ma non mi ricordo l’episodio. Se io fossi un Vecchio Castoro farei sempre siesta, più lavoretti e mangerei sempre. Per concludere il campo, l’ultimo giorno abbiamo giocato, mangiato e fatto una grigliata coi genitori.

Intervista a Carla Gussoni, Presidente della Cena dell’Amicizia

Essendo il tema di questo Thinking Day quello della leadership e, tenendo conto che l’iniziativa è proposta dall’organizzazione mondiale delle guide (il WAGGGS), in particolare sulla leadership femminile, abbiamo voluto proporvi un’intervista a Carla Gussoni, scout e presidente della Cena dell’Amicizia, associazione che ha ricevuto quest’anno l’Ambrogino d’Oro (la benemerenza civica del Comune di Milano) per i 50 anni di servizio verso le persone in difficoltà.

Qual è stata la tua esperienza scout e cosa pensi ti abbia lasciato per il resto della tua vita?
Sono entrata in un reparto (AGI) di guide quando avevo 12 anni, direttamente al campo estivo: un’esperienza che avevo desiderato tantissimo e che mi ha affascinata e coinvolta; dormire in tenda, costruire tavolo e panche con i nodi, l’alzabandiera, il fuoco di bivacco con le scenette e i canti, ho bellissimi ricordi di tutti gli anni di Reparto e di Fuoco, così si chiamava il clan delle scolte. Poi, a 18 anni, al ritorno da un anno di liceo in America, mi è stato chiesto di fare la capo Reparto. A ripensarci fu una cosa da pazzi, non riesco ancora a credere che i genitori di 32 ragazzine mi abbiano affidato le loro figlie quando non ero nemmeno maggiorenne [all’epoca lo si diventava a 21 anni, ndr]. Ero inesperta, anche un po’ spericolata e per me era l’anno dell’esame di maturità. Però fu un’esperienza fantastica anche per le mie guide: non so come sia stato possibile ma a decenni di distanza qualcuna di loro mi ha detto che sono stata importante per la loro formazione! Lo scoutismo lo è stato sicuramente per me, mi ha inculcato un fortissimo senso del dovere e mi ha formato all’autonomia nel prendere decisioni, alla responsabilità e allo spirito di servizio.

Come è iniziata la tua avventura con la Cena dell’Amicizia?
È iniziata proprio dallo scoutismo, nella parrocchia dove aveva sede il mio gruppo c’era questa attività organizzata dai ragazzi dell’oratorio, una cena settimanale dove ci si sedeva a tavola con tanti emarginati, poveri, senza tetto. Il mio clan (nel frattempo era nata l’Agesci) attivava il servizio extra-associativo alla Cena dell’Amicizia e per seguire i novizi anch’io, che a quel punto ero in direzione di Clan, iniziai a partecipare alla Cena dell’Amicizia e ai suoi momenti di auto-finanziamento: la mitica Operazione Formiche, la raccolta carta, che allora rendeva e richiedeva un’intera giornata ogni tre mesi con tutte le forze disponibili. L’anno dopo scelsi la Cena dell’Amicizia e lasciai definitivamente il servizio associativo.

Di cosa si occupa oggi la Cena e qual è il tuo ruolo?
Oggi la Cena dell’Amicizia continua come 50 anni fa (è nata nel 1968) a mettere a tavola una volta alla settimana una cinquantina di Ospiti, insieme a una trentina di volontari; ma da trent’anni ha anche aperto un centro di accoglienza residenziale che ospita stabilmente 12 uomini per accompagnarli in un percorso di uscita dalla grave emarginazione, un centro diurno con laboratori e orto, una rete di 22 appartamenti per persone o nuclei monoparentali in quasi completa autonomia: per seguire tutto questo abbiamo anche 6 dipendenti, uno psicologo, un gruppo raccolta fondi, ma sempre anche tantissimo lavoro volontario, fatto di relazioni con gli Ospiti, di presenza per garantire la copertura dei turni serali e festivi, e di tanti altri servizi indispensabili, dal fare la spesa allo scrivere progetti.

Il mio ruolo attuale, come Presidente di un’associazione di volontariato, è fatto di moltissime differenti attività, dall’interfacciarmi con il Comune di Milano al quale garantiamo un servizio avendo partecipato a regolari gare d’appalto, al parlare al pubblico che viene a uno spettacolo organizzato per raccoglier fondi per la Cena, dallo scaricare 182 scatoloni di confezioni di cioccolato da vendere davanti alle parrocchie, al cercare un idraulico perché non c’è l’acqua calda in un appartamento condiviso, dallo scrivere un progetto da 60 mila euro insieme ad altri 4 enti come noi per partecipare a un Bando della Regione creando un nuovo servizio, al preparare la relazione al bilancio per l’assemblea annuale. Io che ho fatto tutta la vita la pediatra e non ho mai avuto un lavoro da dipendente mi ritrovo da pensionata ad essere di fatto un datore di lavoro, per cui ho dovuto affrontare la cassa integrazione per i dipendenti in un momento difficile, garantire la sicurezza sul lavoro e il rispetto di tutte le leggi in materia. Ho dovuto studiare, e non ho ancora smesso!

Quali sono i problemi nel portare avanti un’associazione di questo tipo e dimensione?
Nel descrivere il mio ruolo ne ho già dato una vaga idea. Il problema principale forse è quello di far quadrare i conti: ospitare 365 giorni all’anno circa 40 persone, tra comunità e appartamenti, costa e i bisogni aumentano sempre; purtroppo continuiamo ad essere necessari. Un altro problema è quello del rinnovo delle forze del volontariato e l’offerta di un’adeguata formazione a chi si avvicina a un servizio che è fatto di relazioni con persone multiproblematiche.

C’è qualcuno in particolare che ti senti di voler ringraziare per questi 45 anni di volontariato?
Non è una domanda facile e la risposta non mi è venuta immediata, forse non ho mai pensato di dover ringraziare qualcuno per questo, ma è vero, chissà quante persone dovrei ringraziare! Mi vengono in mente Don Franco, l’amico prete che era il nostro Assistente scout e che ha fatto nascere la Cena dell’Amicizia, e la mia giovane amica Alessia, che ha condiviso con me i primi anni di questa nuova avventura da presidente, le fatiche e il superamento di tante difficoltà e che purtroppo non c’è più e mi manca. Anche Alberto, un amico, forse di più, un fratello, uno dei primi Ospiti del centro di accoglienza, che ancora a distanza di 25 anni mi regala dei libri bellissimi.

Qual è il tuo nome totem?
Lucciola nascosta. È un po’ un ossimoro, da noi l’animale era quello che ti rappresentava e l’aggettivo era quello che dovevi raggiungere, forse ero un po’ “show off”…
la redazione

Dichiarazioni di pace: Scautismo e fratellanza mondiale

Liberamente tratto dal libro: «La schiera bella, vigorosa e promettente… Il secolo scout a Busto Arsizio» di Marco Torretta

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Lo scoutismo, specialmente dalle sue origini centenarie (nacque nel 1907), ha dato talvolta un’immagine ingannevole sul rapporto tra il metodo educativo ed il militarismo. Il metodo scout, sebbene fondato da un generale (Lord Robert Baden Powell) e basato anche sul patriottismo, la salute fisica e la disciplina, è in realtà un principio opposto al militarismo, poiché tende a trasmettere ai giovani esempi e non ordini, e mira all’autoeducazione, controllata da Capi-educatori: “guida da te la tua canoa” è una delle frasi allegoriche, ovvero ogni giovane deve scegliere, nella vita, le azioni da intraprendere e accettarne le conseguenze, senza affidarsi totalmente agli altri); quindi scoprire e sviluppare al meglio il proprio carattere, per essere un “buon cittadino”: la buona azione, il servizio verso gli altri, la spiritualità presente in ogni Fede, ecc.

Non è un caso che il primissimo esperimento scout in Italia, il 26 giugno del 1910 ai Bagni di Lucca, dette vita ai “Boy Scout della Pace”, che avevano per distintivo un giglio bianco in campo azzurro; l’intento pacifista di Sir Francis Vane, che ne fu l’iniziatore, era ancora più significativo proprio perché non erano ancora scoppiate le due guerre mondiali…
Nel 1911 Baden Powell scriveva: «mi sembra che prima che si riesca ad abolire gli armamenti, prima di poter fare promesse a mezzo di trattati, prima di costruire palazzi dove possano sedere i delegati per la pace, il primo passo sia quello di abituare le giovani generazioni, in ogni nazione, a lasciarsi guidare in tutte le cose da un assoluto senso di giustizia. Quando gli uomini avessero questo senso di giustizia come un istinto nella loro condotta in ogni questione della vita, così da guardare imparzialmente ogni problema da entrambi i punti di vista prima di sposarne uno, allora al sorgere di una crisi tra due nazioni essi sarebbero spontaneamente più pronti a riconoscere ciò che è giusto e ad adottare una soluzione pacifica; cosa questa che rimarrà impossibile finché la loro mentalità sarà abituata a considerare il ricorso alla guerra come la sola soluzione».

In alcuni casi ci fu qualche tentativo di strumentalizzazione all’interno dello scoutismo, che venne spesso visto come un’associazione paramilitare o premilitare: a Busto Arsizio come in tutta Italia, dietro sollecitazione del Ministero dell’Istruzione, la sottosezione del CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani) nacque e venne patrocinata il 20 maggio 1915, quattro giorni prima della dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria; anche se i “venti di guerra” erano diventati ormai una presenza inesorabile…
La successiva nascita, nel 1917, del gruppo bustese dell’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani) veicolò un atteggiamento meno nazionalista, anche se improntato ad un patriottismo che vedeva nella guerra una inevitabile difesa della Patria.

Dopo l’esperienza terrificante della “Grande Guerra” ci fu una tendenza, in campo internazionale, decisamente orientata verso il mantenimento della pace, da cui la nascita della “Società delle Nazioni” (1919).
Se a ciò aggiungiamo che il Movimento raggiunse, in breve tempo, quasi tutti i paesi del mondo e che già nel 1920 si organizzò, in Gran Bretagna, il primo Jamboree, cioè un campo scout aperto a tutte le nazioni, razze e religioni del pianeta, si può intuire come lo scoutismo ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione di una fratellanza mondiale (nonostante gli ovvii e inevitabili fallimenti delle politiche estere e dei totalitarismi della prima metà del novecento).
B.P. scrive nel 1925: «l’addestramento e la disciplina militare sono esattamente l’opposto di quello che insegniamo nel Movimento scout. Essi tendono a produrre macchine invece di individui, a sostituire una vernice di obbedienza alla forza del carattere».

Nella stessa epoca dell’avvento dei regimi totalitari, quando lo scautismo viene abolito in Italia (1928), in Germania, e in tutti quei paesi in cui il governo si trova in contrasto con le idee di pace e fratellanza che il movimento va diffondendo, BP scrive: «Noi dovremmo inculcare nei nostri ragazzi un patriottismo che sia al di sopra di quel sentimento ristretto che generalmente ci rinchiude nella nostra nazione ed ispira gelosie ed inimicizie verso le altre. Il nostro patriottismo è di un genere più ampio e più nobile, che riconosce la giustizia e la ragionevolezza delle richieste altrui e porta la nostra nazione al riconoscimento ed alla fraternità con fraternità con gli altri popoli del mondo».

Sappiamo, da un libro custodito a Busto Arsizio, che l’ “Aquila Randagia” Mons. Enrico Violi acquistò, in regime di clandestinità, il bellissimo libro in lingua inglese “The World Jamboree 1929”, campo internazionale scout che si tenne ad Arrowe Park in Inghilterra, e che riporta in una pagina questa didascalia:

SQUADRIGLIE DI PACE
La “Lega delle Nazioni” dice, rivolta agli scout: “dicono che non ho
armi, ma perché dovrei volerne, con questi alleati?”
The World Jamboree, 1929 – Arrowe Park

Sempre Baden Powell, nel 1932, scriveva: «Non è l’abolizione degli eserciti che farà scomparire la guerra, così come non è abolendo la polizia che si fa scomparire la criminalità. Bisogna eliminare la causa della guerra: gli eserciti sono piuttosto l’effetto, cioè sono il prodotto della paura e dell’istinto combattivo. E questo è il compito dell’educazione.»
Più oltre nel 1937, una grande speranza: «Anche se l’aspetto più spettacolare del nostro lavoro, i Jamboree e le crociere di pace dei tempi più felici rimane sospeso per la durata della guerra, vi è sempre l¹altra più importante parte del nostro programma, che consiste nel dare ai nostri ragazzi, senza clamore e metodicamente, con l¹esempio e con la pratica, l’abitudine alla buona volontà, tolleranza e comprensione verso gli altri. Queste qualità, se radicate nei nostri scout di oggi, renderanno in futuro la guerra un fenomeno inconcepibile. Perciò non scoraggiatevi. Non c’è mai stato, nel mondo, tanto bisogno di scout in gamba come oggi: e coloro di voi che cooperano alla loro formazione possono essere sicuri di star validamente contribuendo all’avvenire del mondo.»

Il clima internazionale divenne sempre più cupo e inquietante, tanto che B.P. scrisse, nell’imminenza del secondo conflitto mondiale: “Fra poco voi giovani sarete divisi e dovrete uccidervi l’un l’altro, ma quando la guerra sarà finita, ricordatevi, toccherà a voi essere i costruttori della pace”. Baden Powell – Jamboree di Vogelensang – Olanda, 1937

Una volta che la nuova guerra divenne realtà: (nel gennaio 1940) un’idea che era anche di grande attualità: «Nessuno sa quale forma prenderà la pace. Unioni federali, unioni economiche, una Società delle Nazioni risuscitata, gli Stati Uniti d’Europa e varie altre proposte sono sul tappeto. Ma una cosa è essenziale per una pace generale e permanente, di qualsiasi forma: e cioè una totale trasformazione di spirito fra i popoli, una trasformazione nel senso di una più intima reciproca comprensione, di un soggiogamento dei pregiudizi nazionali, e la capacità di guardare con gli occhi degli altri in amichevole simpatia.»

E gli scout in guerra cosa fecero? Ecco alcuni esempi toccanti della 2^ Guerra Mondiale che videro scout di opposti schieramenti salvarsi la vita, come nel caso di un soldato italiano. «Nordafrica: alcuni soldati italiani stavano per essere fucilati da un plotone britannico; l’ufficiale di Sua Maestà vide un Italiano che portava la cintura scout, fermò improvvisamente l’ordine di far fuoco e si avvicinò all’Italiano, seppe che era un ex scout di Roma. L’Inglese era stato scout a Londra, l’Italiano ebbe così salva la vita… »

Persino nella clandestinità alla quale erano costretti gli (ex) scout italiani, ci furono slanci di altruismo non violento: le “Aquile Randagie” aiutarono perseguitati ed ebrei a fuggire in Svizzera; uno di quei ragazzi perse la vita per salvare un perseguitato.

A Busto Arsizio abbiamo la testimonianza dello scout/partigiano Ugo Chierichetti che ricorda l’esperienza di un servizio verso i bisognosi, proprio durante l’occupazione nazifascista: «…Nell’anno 1944, un giovane sacerdote Don Romano Cesana, nuovo coadiutore dell’oratorio della parrocchia di San Michele, iniziava a raccogliere dei giovani non praticanti l’oratorio per organizzarli in un piccolo gruppo clandestino di Scout, con attività prevalentemente di aiuto volontario ai più deboli. A Busto erano giunti molti sfollati per i bombardamenti aerei su Milano e altre città, e ci si trovava in piena carestia. Gli alimenti erano insufficientemente razionati con tessere annonarie personali, e imperava il mercato nero per chi poteva, mancava legna per il riscaldamento, molti anziani, a causa della partenza in guerra di tutti gli uomini validi, erano abbandonati a se stessi. Per costoro ci si diede da fare, come nostra B.A. quotidiana [Buona Azione - N. d. A.], nel limite del possibile e nel silenzio più assoluto.»
Alcuni di loro invece, per forza di cose, parteciparono agli eventi della Resistenza nelle modalità belliche tradizionali, e per questo si autodefinirono i “Ribelli per Amore”, ovvero ragazzi e uomini che avevano imbracciato forzatamente le armi per amore della Libertà e nonostante i principi cristiani a cui si ispiravano le loro formazioni paramilitari.

Nel dopoguerra alcuni rover (scout over 16), anche bustesi, si interessarono al tema dell’obiezione di coscienza, allora non ammessa, incontrando, nel 1964, personalità politiche come Lidia Menapace.
Negli anni sessanta si terranno i processi agli obiettori cattolici. A questo si aggiunsero le forti prese di posizione in favore dell’obiezione di coscienza da parte di padre Ernesto Balducci e di don Lorenzo Milani che trattò l’argomento nella sua opera “L’Obbedienza non è più una virtù” subendo anche un processo.
Nel 1970 viene presentata in Parlamento, una proposta di legge per legalizzare l’obiezione di coscienza. La proposta viene approvata dal Parlamento due anni dopo, con l’istituzione del servizio civile obbligatorio per chi rifiuta di prestare il servizio militare.
L’AGESCI (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) fece successivamente una chiara scelta preferenziale per il servizio civile.

Nel 2001, dopo la tragedia delle “Torri Gemelle”, questo comunicato ufficiale dell’AGESCI: Combatteremo fino all’ultimo alito della nostra vita contro la legge del più forte usando quella dell’amore. Contro chi vuole strapparci dalla “normalità” per gettarci nella fossa del terrore. Progettando il domani per noi e per i nostri figli. Rispondendo col rimetterci in cammino, senza dimenticare che il nostro obiettivo è concludere il nostro pellegrinaggio su questa terra, avendo raccontato e testimoniato concretamente l’amore che Gesù ci ha fatto sperimentare in vita. Dio ci ha fatto il grande dono d’incontrare gente che lo chiama col nome di Allah, Jhavè, Buddha, a fianco della quale abbiamo lavorato, riso, sofferto e pianto e scoperto la grande verità della storia:
L’AMORE DI DIO non ha nome, razza, lingua, religione, politica, confine o nazione. E per non dimenticare in ogni regione italiana è stata organizzata una veglia di preghiera la sera del 4 ottobre, Festa di S. Francesco, Santo della Pace.
Grazia Bellini, Edoardo Patriarca Presidenti AGESCI Mons. Diego Coletti Assistente Ecclesiastico Nazionale

Prendendo spunto dal fatto che il Gruppo AGESCI del Busto Arsizio 1° aveva aderito ai valori di educazione alla pace ed alla fratellanza tra i popoli del Coordinamento Cittadino per la Pace, vogliamo evidenziare un triste evento che colpì lo scoutismo italiano nel 2003; il servizio reso da alcuni scout-militari caduti a Nassirya va interpretato come una vera forma di patriottismo, e non come una sterile manifestazione di pacifismo indirizzato contro le nostre forze militari; infatti i seguenti Italiani, morti mentre compivano un’operazione di pace, avevano un passato scout:
- Il Vice Brigadiere dei Carabinieri Ivan Ghitti (caduto a Nassirya, e rover del Milano 24);
- il civile Marco Beci della “Cooperazione Italiana” (caduto a Nassirya);
- il dirigente della Polizia di Stato Nicola Calipari (scout dell’ASCI a Reggio Calabria);
Lo scoutismo italiano fu addolorato per queste morti ingiuste, ma non stupito perché, se è ancora attuale leggere le prime righe di “Scoutismo per Ragazzi”, dove B.-P. scrive che: “Immagino che ogni ragazzo desideri rendersi utile alla sua Patria in un modo o nell’altro. C’è un mezzo con cui può farlo facilmente, ed è quello di diventare un Esploratore…” “…oltre agli esploratori militari ci sono anche altri tipi di esploratori, uomini che in tempo di pace compiono un lavoro che richiede lo stesso genere di ardimento e di spirito d’iniziativa… sono uomini abituati a tenere in pugno la propria vita e a rischiarla senza esitare, se rischiarla significa servire la Patria. …E questo fanno semplicemente perché è loro dovere.” Robert Baden Powell – 1907.
Allora il posto di un Esploratore è sempre avanti agli altri, specialmente quando si tratta di rendere un servizio.

Thinking Day 2019

TD2019Anche quest’anno ci siamo. Il 22 febbraio è alle porte e tutti siamo già pronti, manuale con le attività alla mano, per parlare di leadership. Ma la Giornata del Pensiero è anche altro… o meglio soprattutto altro: oltre ad essere un’occasione di festa, compleanno di Baden Powell e Lady Olave, è una straordinaria opportunità per sviluppare nel nostro territorio iniziative ed attività, che diventano di impegno comune e che si uniscono idealmente a quelle di milioni di ragazze e ragazzi in altri paesi.

Fin dal 1926 la Giornata del Pensiero, in inglese World Thinking Day, è la celebrazione della fratellanza internazionale. WAGGGS (World Association of Girl Guides and Girl Scouts – associazione mondiale del guidismo) è stata, e tutt’oggi è ancora, promotrice di questa giornata per ricordare che facciamo parte di un movimento mondiale che coinvolge 10 milioni di giovani guide e scout in 150 paesi nel mondo, che supporta le ragazze e le giovani donne dandogli nuove opportunità di crescita e che sostiene i guidismi in quei paesi dove il movimento è più in difficoltà oppure in cui la donna ha minori possibilità di aver2 un ruolo paritario nella società.

Il Thinking Day è solo una delle diverse occasioni per ragionare su come è possibile essere cittadini attivi, scoprendo che ognuno può portare un contributo diverso ma altrettanto valido al raggiungimento del bene comune. È un nostro diritto ma anche un nostro dovere. Questa la vera sfida: considerare idee e capacità diverse non più come un ostacolo, ma come una meravigliosa potenzialità, ognuno ha talenti da far fruttare, punti di forza da mettere a disposizione di tutti: “Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità” (Matteo 25,14-15).

Buona Giornata del Pensiero a tutti.

Matteo Citterio
ex-incaricato al Settore Internazionale di AGESCI Lombardia