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Il Macello Civico di Busto Arsizio: storia dimenticata, degrado e rinascita

Introduzione

Frequento l’ex-macello da oltre 15 anni ormai, tanto che mi ci sento come a casa. L’articolo che segue nasce dalla scoperta che, a dare valore a quelle mura di mattoni, non c’è solo l’affetto di quanti, come me, le hanno abitate nelle loro giornate di gioco o di servizio al prossimo, ma una storia. Si tratta della storia di una città intrecciata con quella di un territorio, che poi vuol dire migliaia di storie di persone che, come fili della tela, si uniscono in altrettante forme per dar vita all’immagine che vediamo oggi. Ho sentito la curiosità di cercare questa storia, purtroppo trascurata nel dettaglio del Macello Civico di Balbi, e il bisogno di raccontarla. Essendo appassionato di archeologia industriale ma non esperto di professione, sono sicuro che quanto segue possa essere ampiamente approfondito e ampliato. Ho preferito però iniziare nella speranza di offrire un appiglio a quanti, più competenti, vorranno proseguire.

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La Busto industriale e il suo tessuto

Il Macello Civico di Busto Arsizio, o “ex-macello” come viene chiamato ormai, occupa quasi interamente l’isolato tra Viale Marco Polo (che corre parallelo alla tratta Cadorna-Malpensa delle FNM, a sud), Via Magenta (a est), Via Guglielmo Pepe (il cui n°3 ne è il civico, a Nord) e Via Tito Speri ad ovest. Questo spicchio di tessuto urbano è rimasto a lungo dimenticato, o quantomeno considerato malvolentieri più per i fastidi conseguenti al suo abbandono o non-gestione, dopo aver servito la cittadinanza bustocca per ben più di mezzo secolo. Anzi, si può dire che il Pubblico Macello sia cresciuto con essa a partire dal finire dell’800, periodo nel quale la popolazione passò da poco più di 17.000 abitanti ad oltre 24.000 nel giro di un ventennio [1], al plateau raggiunto negli anni ‘70 poco al di sotto degli 80.000. Osservando la microstoria di questo complesso di edifici non serve fare grandi salti di astrazione per legarla con la macrostoria di quella che già da allora fu una delle città più industrializzate dell’Altomilanese. Questa fu la città di Enrico dell’Acqua [2], “Il Pioniere” dell’esportazione cotoniera italiana (e, in un certo senso, precursore del “Made in Italy”) e di Cristoforo Benigno Crespi [3], il fondatore del villaggio industriale (oggi patrimonio UNESCO) di Crespi d’Adda [4]. Non a caso oggi questo comune è una tappa significativa per chi si interessa di archeologia industriale, lambito dalla Valle Olona a est (ricca di storia industriale e medievale che da Milano porta a Varese) e dal complesso del Canale Villoresi [5] a ovest e sud (che dalla “cattedrale” della diga del Panperduto [6] costeggia la Malpensa per poi tagliare la pianura fino all’Adda). Nello specifico, i punti di maggior interesse sono sicuramente l’ex-Cotonificio Bustese Carlo Ottolini, con il suo nucleo neogotico oggi trasformato nel Museo del tessile e della tradizione industriale di Busto Arsizio [7], e i Molini Marzoli Massari [8] molto ben conservati e che oggi ospitano diverse attività pubbliche. A questi si aggiungono le numerose ville in stile Liberty e art déco di inizio novecento erette dai grandi nomi dell’industria meccanica e tessile che fecero di Busto la “Manchester d’Italia” [9]: Comerio, Crespi, Tosi…

Come dicevamo, la crescita industriale di questa città con il conseguente aumento della popolazione e del suo livello di benessere, porta all’aumento dei servizi necessari per il suo sostentamento.Tra il 1875 e il 1905 si ampliò più volte l’ospedale [10], nel 1887 si attivò la Stazione di Busto Arsizio Nord [11] (pressoché adiacente a quella odierna e non lontana dal Macello) e nel 1905 iniziarono i lavori per la nuova imponente Stazione Centrale [12] che però sarà inaugurata solo nel’24 [13].

macello civico innevato

Un nodo nella tela

Il 28 aprile 1895 Francesco Crispi firmava per contrassegno il decreto di Re Umberto I che, “vista la delibera del Consiglio Comunale di Busto Arsizio (Milano) in data 2 luglio 1894” autorizzava il Comune stesso “ad acquistare un terreno dal Beneficio Parrocchiale locale per costruirvi il pubblico macello” [14]. Ad occuparsi del progetto fu l’architetto Camillo Crespi Balbi [15], marnatese laureato al Politecnico di Milano, sparse le sue opere sia civili che private in tutto l’Altomilanese: dalle ville Ottolini-Tosi e Ottolini-Tovaglieri a villa Comerio, le scuole Manzoni e le Carducci, il cimitero di Olgiate Olona e il Pubblico Macello di Legnano, nonché il già citato Cotonificio Bustese e il Calzaturificio Borri. Si distinse nello stile liberty, nell’utilizzo del ferro battuto [16] e nei riferimenti rinascimentali e medievali. Come controparte dell’Ufficio Tecnico comunale vi fù Silvio Pellico Gambini [17], perito e progettista che partecipò alla stagione del Liberty bustese secondo le esperienze della Secessione Viennese che ci ha lasciato lo stabile Colombo [18], villa Leone [19] e i già citati Molini Marzoli. Di queste opere esistono vari riferimenti in letteratura, mentre l’ex-macello viene spesso ignorato, raramente menzionato e in forse un paio di casi descritto con più di qualche riga. Purtroppo sono anche poche le fotografie che ne testimoniano il passato.

Il progetto del Pubblico Macello, firmato da Crespi il 19 novembre 1894, conteneva i disegni di quattro edifici:  un macello suino, un macello bovino, un edificio di servizi (che conteneva la caldaia a vapore, pompa e serbatoio) e una villetta, con antistante pesa, per il veterinario e il custode. I lavori terminarono due anni dopo, per la precisione lo stesso Crespi chiuse il bilancio il 9 febbraio 1896 per un totale di 50.644,75 lire [20]. La villetta a due piani con scantinato è forse la parte meglio conservata di questo nucleo originale, anche se appare modificata nell’aspetto rispetto a questi disegni. La parete posteriore (ad est) fa da muro di cinta per tutto il complesso dal lato di Via Magenta, mentre quella a nord da sul marciapiede di Via Pepe. L’edificio, una volta esaurita la sua funzione a seguito della chiusura del Macello negli anni ‘70, fu comando dei Vigili Urbani [21] e sede Asl, archivio semi-abbandonato e, dal 2004 [22], sede di alcune colonie AIC [23]. Fu poi definitivamente abbandonato nel 2014 a causa della dichiarazione di inagibilità e, dal 20 novembre 2018, quando se ne dibatteva per la demolizione tramite l’Aler in modo da allargare la carreggiata [24], è sottoposta a vincolo dei beni culturali [25]. Al momento è recintato e inaccessibile, benché la rete metallica che corre lungo il marciapiede di Via Magenta lasci forti dubbi sulla effettiva messa in sicurezza di uno stabile definito pericolante. Purtroppo, come verrà dettagliato più avanti, ad oggi proprio questo edificio è l’unico escluso dai progetti di rigenerazione urbana che interesseranno questo lembo di città ad ennesima riprova che il vincolo delle Belle Arti non è garanzia di tutela in quanto sembra più opportuno per le amministrazioni pubbliche lasciare che tali manufatti si demoliscano da sé tramite la caparbia azione del tempo. Ma se sul recente passato le diatribe tra giunta ed enti del territorio, nonché la reperibilità delle notizie on-line, ci aiutano a fare luce sul susseguirsi dei fatti, ricostruire l’evoluzione del complesso del Macello richiede un’indagine storica più accurata che ho potuto svolgere solo in parte. Spero comunque, con questo mio breve scritto, di poter dare almeno delle coordinate a chi intendesse approfondire la ricerca. Oltre alla visita agli Archivi Storici del Comune di Busto Arsizio (nei quali ci sono ancora numerosi fascicoli da indagare [26]) è risultato prezioso il lavoro svolto da Carlo Magni della Delegazione FAI del Seprio [27] in occasione delle Giornate FAI di Primavera del 15 e 16 maggio 2021 [28], prima occasione in cui il complesso è stato aperto al pubblico per delle visite organizzate. La sua ricostruzione permette di definire la destinazione dei vari edifici che vediamo oggi a seguito dei vari ampliamenti succedutisi negli anni, delle parziali demolizioni, dell’abbandono e del recupero avvenuto nell’ultimo ventennio. La descrizione che segue si basa sull’intervista rilasciata a Magni dal sig. Gianfranco Piran, proprietario di una notissima macelleria bustocca che, in gioventù, accompagnando il padre, ebbe continue occasioni di frequentare il Macello Civico quando era ancora in piena attività.

Casa custode macello civico

Sull’ingresso ritinteggiato di bianco in via Guglielmo Pepe 3 campeggia ancora la scritta “MACELLO CIVICO” sopra ai due cancelli in ferro battuto. Entrando da quello di destra si passa sopra la copertura metallica della pesa. Sulla destra si ha la palazzina degli Uffici al piano terra e l’abitazione del custode al primo piano che fu in seguito un ufficio postale [29] per poi ospitare nel recente passato un club di motociclisti [30] e un’associazione di sommozzatori. Sul retro di questo edificio, ad oggi dichiarato inagibile a causa della cedevolezza del primo piano, c’è una tettoia dove si accedeva ai locali per la vidimazione da parte del veterinario della carne che qui arrivava già macellata altrove per poi essere messa in vendita. Su questo, come su altri edifici, è ancora ben visibile la colorazione ocra con elementi in mattone a vista quali gli archi delle finestre e le tre fasce orizzontali su ogni piano. Di fronte a questa palazzina si sviluppa l’ala della macelleria bovina che oggi ospita alcuni archivi della Procura della Repubblica. Sulle due facciate strette di questo plesso sono visibili le alte porte in metallo con ruote, la guida sulla quale scorrevano e il moncone di rotaia alla quale si appendevano le carcasse. A fianco alla macelleria bovina, a sud, correva parallela quella suina che fu però chiusa negli anni ‘50 quando si affermarono macellerie private che erano maggiormente in grado di soddisfare il mercato. La ciminiera che svettava da questo blocco è stata demolita nei primi anni 2000 [31]. Il corridoio tra le due macellerie rappresenta forse lo scorcio meglio conservato in cui si può apprezzare l’intenzione dell’arch. Crespi Balbi di mantenere in tutti gli edifici un tono ‘elegante’ tramite gioco del rosso del mattone e il bianco degli intonaci o le modanature alle finestre ad arco ribassato in tutti gli edifici: caratteristica peculiare dell’eclettismo. Dal lato opposto di questo corridoio aperto, sul lato est del capannone centrale che si vede dai cancelli d’ingresso, si vede ancora la grande porta dalla quale, tramite i binari oggi rimossi, gli animali macellati erano trasportati nelle celle frigorifere. Queste oggi sono in parte in uso al Tribunale e in parte ad un gruppo scout AGESCI [32], mentre è interamente affidata agli scout l’ala del macello suino nel quale sono ancora presenti le rotaie di trasporto delle carni e le colonne originali (seppur gli spazi interni siano stati modificati). A fianco delle celle frigorifere c’era una vera e propria fabbrica del ghiaccio con corrispettiva vendita, dato che allora non esistevano i frigoriferi famigliari ma solo delle piccole “giascioeure” di legno rivestito internamente di alluminio per mantenere il freddo.; la produzione di ghiaccio serviva anche per le esigenze dell’ospedale. Tornando all’ingresso, dall’altra parte rispetto alla palazzina degli uffici, si trovano degli altri edifici bassi che comprendevano anche i ‘negozi’ per la carne di bassa macelleria, diciamo una seconda scelta a prezzi più popolari (la tettoia subito a lato del cancello è stata chiusa con delle pareti sempre nei primi anni 2000). Questo settore è oggi la parte operativa della sede scout in cui vengono svolte attività educative e di volontariato con bambini dai 5 anni in su fino agli adulti. Di fronte ai negozi, sul lato est del grande capannone, si trovavano le celle frigorifere sussidiarie: i macellai che non avevano presso il loro negozio una cella frigorifera capiente potevano affittare queste celle e ritirare la carne quando ne avessero necessità.

Esiste una foto storica [33][34] dei primi anni ‘30 che ritrae il Macello Civico dopo gli ampliamenti avvenuti negli anni immediatamente precedenti. Ne riporto la descrizione sempre secondo Magni: il Macello si trova ancora in un’area assolutamente periferica, tanto che non vi è ancora tracciata l’attuale Via Guglielmo Pepe. L’edificio d’angolo, oggi non più esistente, era la “tripperia” dove venivano lavorati gli stomaci dei bovini per ottenere vesciche (per avvolgere i salami) o altre budella che, opportunamente lavate, entravano nella preparazione del salame. All’angolo opposto un edificio equivalente era la stalla per gli animali dei carri da trasporto. Esistono anche alcune foto degli interni [35] e della macchina frigorifera [36], nonché uno schizzo a carboncino dell’esterno [37].

Macello 1934

Uno strappo da ricucire

Come già descritto, questo nodo nevralgico nel sostentamento della popolazione bustocca, a seguito del progressivo abbandono, è diventato uno strappo nel tessuto urbano in una zona di confine tra il centro e il quartiere di Sacconago a sud della ferrovia. Ancora oggi quest’area testimonia una commistione di industrie e cortili molto florida, ma oggi degradata. Tanti sono gli immobili cadenti (fin’anche puntellati) a ridosso delle strade e l’ex-macello non era da meno con il muro di cinta in parte crollato, gli interni sventrati dimora di degrado e calcinacci e le alte erbacce nel piazzale. Quanto operato in questi anni dal Gruppo Scout AGESCI Busto Arsizio 3 che ebbe in uso questi spazi quando ancora il mondo dell’associazionismo e del volontariato non era ben regolamentato come oggi ebbe da affrontare sfide considerevoli, per un gruppo di volontari appunto, nel rendere fruibile e sicuro il Macello per l’attività educativa durante tutto l’anno (soprattutto nei freddi e umidi mesi dell’inverno padano). Pur considerando, come desumibile dai già citati articoli di cronaca, che la situazione dell’ex-macello si stata già casus belli di diatribe politiche (finora sempre riassorbite dalla politica stessa), il fatto che le diverse amministrazioni succedutesi negli anni abbiano continuato a supportare (o sopportare, direbbero le malelingue) tale opera di recupero e restituzione civica sembra dichiararne il merito complessivo; pur riconoscendo che, a causa delle proprie limitate risorse, il mondo del volontariato non è di per sé chiamato al restauro dei beni pubblici e punta quindi a concentrarsi sul minimo indispensabile per garantire lo svolgimento delle proprie attività in condizioni di confortevole igiene e sicurezza. Sia questo un appello alle istituzioni per mantenere viva l’attenzione e la cura sui beni (soprattutto se carichi di valore storico) affidati a terzi. Da ultimo non sembra essere un caso che, alla “riabilitazione” del Macello Civico quale luogo di aggregazione giovanile tenuto vivo e vissuto nei week-end e, spesso, nelle sere in settimana, si sia mossa parallela ad inizio 2000 una rivalutazione di tutta l’area tra San Michele e le Ferrovie Nord con la sistemazione del Parco Comerio e i condomini antistanti da via Pellico a via Magenta. 

2004-04-17 lavori messa sicurezza

Si arriva così alla storia recentissima con un progetto di rigenerazione urbana da 20 milioni di euro [38] (più eventuali altri 15 [39]) che intende coinvolgere tutta l’area tra la Stazione Nord e l’ex-macello che si troverebbe ad ospitare un ITS [40] e un centro culturale, oltre ai già citati scout. L’archeo-turismo industriale verrebbe anche favorito dalla nuova ciclabile Cadorna-Malpensa che, correndo parallela al tracciato delle Ferrovie Nord, passerebbe proprio dall’altro lato di Viale Marco Polo rispetto all’opera di Crespi e Gambini. C’è quindi da ben sperare che, dopo anni di anonimato interrotti da brevi lampi di cronaca, questa testimonianza del lavoro dell’uomo e del suo ingegno possa ricevere l’attenzione che merita.

Cosa resta della trama

Per chi volesse approfondire la conoscenza del Pubblico Macello e della Busto Arisizio architettonica e industriale, oltre alle opere già citate, si segnalano:

  • Arnaldo Agnelli

LE CENTO CITTÀ D’ITALIA

GALLARATE, BUSTO ARSIZIO, LEGNANO

Anno XXXI – supplemento al n°11141 – 31 dicembre 1896

  • Lino Taglioretti

GUIDA TAGLIORETTI PER IL CIRCONDARIO DI GALLARATE – Anno I° 1905-06

Ed. Guida Taglioretti – Gallarate – 1905

  • GUIDA DI BUSTO ARSIZIO

Pianezza Editore – Busto Arsizio – 1921

  • Bruno Grampa

PAGINE DI STORIA E DI VITA BUSTESE

Libraio Pianezza – 1927

  • A cura di Stefano Ferrario

BUSTO ARSIZIO

Bramante Editrice – 1964

  • Rogora Rodolfo, Ferrario Stefano, Belotti Luigi, Caldiroli Luigi

SOMMARIO DI STORIA BUSTESE DALLE ORIGINI AI TEMPI NOSTRI (2^ edizione ampliata)

Varesina Grafica – 1980

  • AA.VV.

SILVIO GAMBINI LA CARRIERA DI UN ARCHITETTO TRA LIBERTY E RAZIONALISMO

Busto Arsizio – 1992

  • AA.VV.

Busto in Liberty. La città e il suo patrimonio architettonico all’alba del Novecento. Uno sguardo scientifico ed estetico

Libraccio Editore – 2019

  • Franco Bertolli, Paolo Bossi, Decio Grassi, Augusto Spada

BUSTO ARSIZIO ARCHITETTURE PUBBLICHE

Città di Busto Arsizio – 1997    

  • Augusto Spada

CONOSCERE LA CITTA’ DI BUSTO ARSIZIO

seconda edizione

Città di Busto Arsizio – 2004-2010-2015    

  • Alberto Brambilla – Lorena Amadori

BUSTO ARSIZIO CITTA’ – 14 decenni di storia – nel 140° anniversario dell’elevazione a Città 1864-2004

Arti Grafiche Colombo – Busto Arsizio – 2005

 

 

Enrico Gussoni

Note a pié di pagina:

  1. Statistiche ISTAT
  2. Luca Colombo, L’impero del cotone. Storia di Enrico dell’Acqua, industriale bustese che conquistò l’America, Busto Arsizio, Pianezza editore, 1999.
  3.  https://www.cavalieridellavoro.it/cavaliere/Crespi_Benigno%20Cristoforo/43/
  4. https://www.crespidadda.it/
  5. https://www.etvilloresi.it/
  6. http://www.panperduto.it/
  7. https://www.comune.bustoarsizio.va.it/index.php/aree-tematiche/cultura/museo-del-tessile
  8. https://www.distrettobustoarsizio.com/products/molini-marzoli-massari/
  9. Alberto Garavaglia, Museo del Tessile e della Tradizione Industriale di Busto Arsizio, Busto Arsizio, Freeman Editrice, 1997
  10. Giorgio Giorgi, L’ospedale di Busto Arsizio, 2005
  11. http://www.trenidicarta.it/aperture.html
  12. Sergio Zaninelli. Le ferrovie in Lombardia
  13. In Nascita di una provincia fascista, su www3.varesenews.it si riporta l’aneddodto secondo il quale Benito Mussolini la inaugurò il 25 ottobre 1924 tra il disinteresse della cittadinanza che preferì assistere alla S. Messa del Cardinal Eugenio Tosi, bustocco. La leggenda vuole che un Mussolini, inferocito, abbia deciso quel giorno di preferire Varese a Busto Arsizio come nuovo capoluogo di provincia.
  14. Una copia del decreto è conservata presso l’Archivio Storico del Comune di Busto Arsizio nella Busta 282 insieme ai disegni originali di Camillo Crespi Balbi e ad una cospicua quantità di verbali e documenti amministrativi tra i quali elementi delle procedure di appalto e rendicontazione. 
  15. https://it.wikipedia.org/wiki/Camillo_Crespi_Balbi
  16. Giuseppe M. Jonghi Lavarini, Claudia Molteni, Il ferro battuto. Arredo e architettura, Volume 6, Di Baio, 1996
  17. Silvio Gambini: la carriera di un architetto tra Liberty e Razionalismo, Busto Arsizio, Comune di Busto Arsizio, 1992
  18. Augusto Spada, Conoscere la città di Busto Arsizio, Busto Arsizio, Città di Busto Arsizio, 2010
  19. ibidem
  20. 225.323,35 € di oggi secondo https://inflationhistory.com/
  21. Sede degli scout inaccessibile – Agesp ha cambiato le serrature; La Prealpina, 19 ottobre 2012
  22. Agesp contro gli Scout: “Sede occupata senza alcun titolo”
  23. https://www.castorini.it/AIC3/
  24. Casa scout, niente ruspe – “Denuncerò l’omissione”, a firma Ma.Li., ritaglio di giornale pubblicato il 26/02/2016 sul gruppo Facebook BUSTO 3 NON SI TOCCA
  25. Identificativo 3105119
  26.  Oltre alla già citata Busta 282 si segnala la 282 per il periodo 1904-7 e la 295 per il periodo 1911-6.
  27.  https://fondoambiente.it/luoghi/rete-fai/delegazione-fai-del-seprio
  28. https://www.sempionenews.it/cultura/eventi-culturali/giornate-fai-di-primavera-il-bello-nascosto-dellarcheologia-industriale/
  29. Fino ad alcuni anni fa era ancora visibile sulla facciata esterna l’insegna con le lettere PT su sfondo giallo, NdA
  30.  https://www.ss33sempione.com/
  31.  Una sede maggiorenne, Enrico Gussoni per Tuttoscout
  32. http://www.bustotre.org/
  33. Carlo Azimonti, Enrico Crespi, Pagine Bustocche, Industria d’Arti Grafiche Pellegatta – Busto Arsizio – 1938 (pag.117)
  34. Ugo Giammarchi, Le Industrie di Busto Arsizio Illustrate, Seconda edizione, Ed. Pianezza – Busto Arsizio – 1933 (pag.12)
  35. ibidem
  36.  A cura di Giuseppe Pacciarotti, Busto l’Altro Ieri, Busto Arsizio – 1994 (pag.62)
  37. A cura di Francesco Ogliari, VARESE GALLARATE BUSTO ARSIZIO cent’anni fa… e dintorni, Edizioni Selecta – 2003 (pag. 89-91)
  38. B.Re.a.T.H.E. Generations: il progetto da 20 milioni del comune per valorizzare Piazza Mercato e non solo
  39. https://www.malpensa24.it/ex-macello-civico-ed-ex-oratorio-di-sacconago-busto-a-caccia-di-altri-10-milioni/
  40. https://sistemaits.it/

 

È possibile votare l’ex-macello civico di Busto Arsizio come “luogo del cuore” all’interno dell’omonima iniziativa del FAI: https://fondoambiente.it/luoghi/ex-macello-civico-di-busto-arsizio?ldc

L’ultimo messaggio di B.-P.

GIORNATA DEL PENSIERO 2021

20
Cari Scouts,
se avete visto la commedia Peter Pan vi ricorderete che il capo dei pirati ripeteva ad ogni occasione il suo ultimo discorso, per paura di non avere il tempo di farlo quando fosse giunto per lui il momento di morire davvero. Succede press’a poco lo stesso anche a me e, per quanto non sia ancora in punto di morte, quel momento verrà, un giorno o l’altro; così desidero mandarvi un ultimo saluto, prima che ci separiamo per sempre.
Ricordate che sono le ultime parole che udrete da me: meditatele.
Io ho trascorso una vita molto felice e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice.
Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dal cedere alle nostre voglie.
Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute e robustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e godere la vita pienamente una volta fatti uomini.
Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità. Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto il profitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto.
Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Cercate di lasciare questo mondo un pò migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del nostro meglio. “Siate prearati” così, a vivere felici e a morire felici. Mantenete la vostra Promessa di Scouts, anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo.
Il vostro amico

Baden-Powell

Un rassegnato ottimismo

GENERAZIONE X

Ciao a tutti cari amici ed amiche e bentornati sulla nostra rubrica di Generazione X.
Non c’è due senza tre, dice un famoso detto, ed infatti eccoci qua, alla nostra terza “Grande Riapertura”, che se fossimo un grande magazzino ci avrebbero già indagato per riciclaggio ma, per fortuna, noi di queste cose ci occupiamo solo quando facciamo la raccolta differenziata.
Parlando di raccolta differenziata, eviterò per questa volta di parlarvi delle gioie, o dei dolori del rincominciare, l’ho già fatto, due volte, e farlo una terza mi parrebbe davvero uno spreco del vostro tempo.
Il tempo, ecco un argomento tanto banale quanto interessante: parliamo del tempo.
Sono ormai arrivato al punto, nella mia carriera scoutistica, in cui i ragazzi che ho seguito quando erano E/G mi stanno tornando in branca, sottoforma di Rover e Scolte in servizio e, fra poco, quegli stessi ragazzi a cui ho cercato (non sono così pieno di me da pretendere di esserci riuscito) di insegnare l’amore per gli altri e la natura attraverso l’avventura, accompagneranno le mie nottate trascorse in Co. Ca a parlare delle questioni più urgenti ed importanti.
Non è la prima volta che faccio un pensiero del genere, e non sarà l’ultima, ma nel corso dell’ultima attività mi ha colpito particolarmente, per un motivo ben preciso:
avevamo lasciato organizzare le attività di quel fine settimana ai capi squadriglia, un metodo relativamente desueto nel Busto 3 che è in realtà alla base della metodologia scout del reparto. Ma non siamo qui per parlare di metodo, siamo qui per dire che, ad un certo punto, uno dei miei R/S, un tempo repartista, fa ad uno dei miei attuali repartisti una (scherzosa) lamentela in merito alle regole di un gioco, uguale a quelle (meno scherzose) che una volta lanciava nella mia direzione.
Un dejavù, un piccolo viaggio nel tempo che è servito a farmi riflettere: un giorno tendiamo l’orecchio ed eccoci in un’altra realtà dove quello che ho cercato di insegnare si è ormai sedimentato, assieme a mille altri insegnamenti di mille altri insegnanti, in una persona che è cambiata profondamente rimanendo però sempre uguale a sé stessa.
Da allora (che in realtà è meno di una settimana) vivo le mie giornate, complice sicuramente l’attuale situazione di… tutto, in uno stato di febbricitante rilassatezza.
Perché in fondo, per quanto importante sia, anche da un punto di vista simbolico il nostro B.-P. Day, parlare di ripartenza è ahimè prematuro (mi dispiace, ci ho provato con tutto me stesso ma ecco qui che sto parlando di nuovo della terza ripartenza) perché, anche volendo essere ottimisti, non sappiamo cosa ci aspetti nel futuro, o quando un incidente apparentemente insignificante ci farà ripiombare alla mente l’epoca dei lockdown e dei DPCM e ci farà pensare “wow, ma quanto tempo è passato!”. Per ora, possiamo solo sperare che questo periodo d’apertura possa essere più lungo degli altri.
Nel mentre, possiamo fare di necessità virtù, imparando ad apprezzare il nostro nuovo stile di progettazione “alla giornata”, consapevoli se non altro che così vivremo ogni attività come se fosse l’ultima perché, almeno per qualche tempo, potrebbe esserlo davvero.
Nonostante questo atteggiamento, una cosa che deve diventare sia necessità sia virtù, è l’imparare dagli errori che abbiamo commesso durante e subito dopo il primo lockdown. È vero che non sappiamo cosa ci aspetti per il futuro, ma ci rimane il passato e con esso tutte le norme sul distanziamento e sulla sanificazione che abbiamo accuratamente memorizzato. La stagione calda si avvicina e, con essa, la possibilità di quantomeno pensare ai campi estivi.

Tricheco Birbante

La nostra traccia

HANNO LASCIATO UNA TRACCIA

Cos’hanno in comune Nelson Mandela e Mu’ammar Gheddafi? O Joe Biden e Hillary Clinton? Carlo Verdone e Jim Morrison? Matteo Renzi e Matteo Salvini? Renzo Piano e i fratelli Ducati?
Non lo so, ma so che sono stati tutti scout.

In questa rubrica, da molti numeri ormai, abbiamo raccontato di scout diventati famosi, importanti o beati in giro per il mondo. Qualcuno è semplicemente passato attraverso questa esperienza, altri lo sono stati per tutta la vita (ma sì sa che “semel scout, semper scout”). Per quanto si possa continuare l’elenco con molti non menzionati in queste pagine, l’impresa resterebbe assai incompleta. Infatti, la grandezza dello scoutismo, il motivo per cui le due maggiori organizzazioni scout mondiali (WOSM e WAGGGS) sono state candidate al Premio Nobel per la Pace, non sta nell’aver educato alcuni grandi personaggi della storia, ma nell’averlo fatto per decine di milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo.

Nella mia esperienza (ma penso che sia capitato anche a voi) ho conosciuto, sui giornali o nel quotidiano, scout indegni di vantare l’uniforme, così come persone mai state scout a cui sarebbe stato giusto conferire “l’Appartenenza Onoraria”. Ma il disegno complessivo, la grande foto di famiglia dallo Spazio, mostra un’umanità impregnata di uomini e donne della Partenza, di fratellini e sorelline ora cresciute che vivono la loro vita al meglio portando gioia nelle proprie case e alle persone che incontrano.

I grandi nomi servono, certo, a darci dei riferimenti nel bene (anche se poi ci sono quelli meno buoni). Ci è di orgoglio il poter dire di aver avuto tra i frutti del nostro movimento certe personalità, o di averne avuto l’appoggio. Però dobbiamo riconsiderare l’importanza dell’avere anche oggi milioni di fratelli e sorelle ad ogni latitudine. Fratelli e sorelle nel cuore, perché nel cuore portiamo la stessa promessa. Ed ecco che prende forma la mappa di un mondo percorso, germogliato di sentieri percorsi da persone che hanno camminato verso il successo con esiti più o meno proficui. Ma anche laddove non si conta un successo, rimane l’eredità di quelle promesse che anche oggi, in questa Giornata del Pensiero dedicata alla Pace, vogliamo rinnovare.

Anche oggi, come domani e come ieri, lasceremo la nostra traccia.

Gus

Più resistenti del Covid

REPARTO PHOENIX

BP Day 2020… sono passati “solo” 12 mesi: quel giorno eravamo un po’ pochi, ma abbiamo comunque pulito Busto. C’era già qualcuno che disertava l’attività per paura di un virus che arrivava dalla Cina. Già ma la Cina è così lontana da qui: monti, deserti, oceani ci separano. Noi cosa c’entriamo? Poi, i capi con lo sguardo furtivo, le battute su un virus che non conoscevamo (ma che avremmo imparato a conoscere), una Messa da celebrare in fretta… troppo in fretta, in anticipo sul tempo. La chiusura dell’attività che sembrava quasi definitiva, ma ancora non capivo. Non avrei potuto. Avremmo passato i mesi successivi chiusi in casa, fissi davanti a uno schermo, imparando parole nuove che piano piano sono entrate nella nostra quotidianità. Niente campo di Pasqua e nemmeno quello estivo (e la fiamma sempre lì a stagionare!), niente costruzioni, nessuna uscita di squadriglia e nemmeno il tanto agognato nome totem… ma ci siamo inventati un modo nuovo di stare insieme. Arriva il primo caldo e… si ricomincia! Prima con moltissima cautela, poi ci si scioglie ma la paura è sempre lì in agguato. Di sicuro non è come prima, ma sempre meglio di niente. Finalmente rivedo i capi (purtroppo qualcuno per il saluto definitivo), i miei amici, le ragazze della mia nuova squadriglia… e anche il primo pernotto dopo tantissimo! Il virus però è insidioso, sempre in agguato ed è pronto a un nuovo sgambetto, ma noi non ci arrendiamo. I capi hanno trovato modi nuovi per farci stare insieme, per farci apprezzare la bellezza del fare, la gioia della fatica dopo tanto troppo tempo in cui eravamo una cosa sola con la sedia! È bellissimo trovarci ancora ogni fine settimana per giocare, correre, aiutarci. Il campo di Natale è saltato ma le promesse sono state comunque… da brivido! Eravamo a Madonna in Campagna con una temperatura glaciale! Le due nuove ragazze delle gazzelle sono state fantastiche! Ogni volta che ci vediamo (certo, con mascherina, distanziamento, gel, certificazioni…) è un regalo che i capi ci fanno e che non dobbiamo dare per scontato. Febbraio 2021: quest’anno il BP Day mi mette un po’ i brividi… cosa verrà dopo?

Elettra Pinciroli (Sq. Gazzelle)

Tendiamo le nostre mani

BRANCO ALBERO DEL DHAK

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C’erano una volta Rosa e Tempesta.
Tempesta, ovunque andava faceva dispetti, portava caos e faceva litigare le persone.
Rosa, invece, in qualunque luogo scatenava la sua ira funesta contro tutte le persone che non facevano quello che voleva lei.
Tempesta e Rosa erano compagne di banco. Entrambe desideravano un’amica. Non andavano d’accordo, anzi, ogni occasione era buona per litigare…

Un giorno Tempesta insultò Rosa. Rosa non la prese bene, si infuriò con tutta la rabbia che aveva dentro e disse che non avrebbe voluto vederla mai più in vita sua! Allora Rosa voltò le spalle e se ne andò arrabbiata. Da quel giorno qualcosa cambiò, Rosa non solo non urlava più ma aveva anche smesso di parlare. Era offesa e chiusa in sé stessa.
Tempesta cominciò a riflettere sull’accaduto. Pregava in cuor suo, senza essere vista da nessuno, che il litigio potesse risolversi anche se non sapeva come fare.
Cominciarono a riflettere sul perché avevano litigato, ognuna per conto suo.
Il mattino seguente Tempesta aveva in serbo una parola magica, trovò il coraggio di chiedere scusa a Rosa. Rosa si rende conto solo in quel momento che aprire il proprio cuore rende felici perché permette di conoscersi, capirsi e di darsi una mano.

Pietro ed Anita Spoletini

La dinastia dei virus

BRANCO ALBERO DEL DHAK

C’era una volta il coronavirus: antipatico a tutti e che per non farsi vedere, grazie a una strega, diventò invisibile.
Un giorno il coronavirus volle fare un dispetto agli umani e agli animali e infettò prima di tutto un pipistrello che andò in diverse città. In tre mesi il coronavirus infettò praticamente tutto il mondo.
Gli scienziati un giorno, dopo cinque mesi, trovarono il vaccino contro il coronavirus e, quando tutti gli umani presero il vaccino, il coronavirus fu per sempre distrutto.
La cosa brutta che fece il coronavirus prima di morire fu quella di avere un figlio: il virus senza nome (non gli aveva ancora dato il nome prima di morire). Questo virus, per vendicare il padre distrutto, fu più forte di lui e in due mesi infettò nuovamente tutto il mondo.
Gli scienziati erano sfiniti: era stato già difficile trovare il vaccino del coronavirus e adesso dovevano trovarne un altro per il virus senza nome che era anche più forte di suo papà?!

Gli scienziati furono obbligati a trovare il vaccino per il bene dell’umanità e, dopo un anno faticoso, anche il virus senza nome fu distrutto.
La cosa brutta che aveva fatto il virus senza nome, prima di morire, era quella di aver fatto due gemelli-virus: Virusà e Virusè (una femmina e un maschio).
Questa volta però gli scienziati obbligarono le altre persone ad aiutarli nella ricerca del vaccino perché loro da soli non ce l’avrebbero mai fatta.
Grazie all’aiuto delle persone di tutto il mondo trovarono il vaccino in un mese, e distrussero tutti e due i virus. Questa volta, i virus non avevano fatto figli perché erano troppo piccoli per farlo, e vissero per sempre tutti felici e contenti.

Alessandro Gravina
(2° Classificato al concorso letterario CREATIVA-MENTE 2020 – 1 ottobre 2020)

La ricchezza nella diversità

ALBERO DEL DHAK

A volte la pace non esiste nel cuore degli uomini e se ci pensiamo questa cosa porta tanta tristezza nel cuore.

Succede che molte persone e tanti bambini escludono dagli amici gli altri perché sono nati a marzo e non a maggio… perché uno ha la pelle marrone e l’altro rosa…

Quindi noi dobbiamo giocare e parlare con le persone escluse e dobbiamo cercare di risolvere il loro problema!
E dobbiamo fare capire alle persone che escludono “che essere tutti diversi è una ricchezza!’’

Sonia

Finalmente attività in presenza!

BRANCO LUPI DELLA BRUGHIERA

05Ciao a tutti, io sono Giovanni Genoni del Branco dei Lupi Della Brughiera.
Dopo tutto questo tempo chiusi in casa a fare attività tramite Zoom, a causa del COVID, a gennaio siamo riusciti a fare attività in presenza. È come se il mio compleanno avesse portato fortuna, dato che io compio gli anni in questo mese.

Il 10 gennaio ci siamo ritrovati alla chiesa di Santa Croce a Busto Arsizio, e lì abbiamo iniziato la nostra attività partecipando alla S. Messa.
Poi ci siamo spostati al Parco Alto Milanese. Lì abbiamo svolto il resto dell’attività.
Mentre stavamo facendo la siesta dopo mangiato, è entrato un fuori programma: stavamo giocando a “mago ghiaccio” quando un cane sguinzagliato è entrato nel nostro “campo” ed ha cominciato a girare intorno a noi.
Poi abbiamo giocato a “castellone”, seguendo le regole del D.P.C.M.: per “bloccare” gli altri si dovevano segnare gli avversari con un pennarello. Alla fine eravamo tutti colorati sulle gambe.
Dopo ci siamo spostati in un boschetto. Abbiamo costruito una capanna per sestiglia con quello che la natura ci offriva; la nostra capanna era un po’ bassa, ma ci si stava bene all’interno.
Infine siamo ritornati a Santa Croce, dove lì abbiamo concluso la nostra bellissima attività.

Giovanni Genoni

 

La mia promessa

BRANCO LUPI DELLA BRUGHIERA

La prima volta che sono stata con quello che oggi è diventato il mio branco ero davvero emozionata: era tutto così nuovo! Dopo poco, mi sono sentita più a mio agio ed è cominciato il mio percorso. Quando mi è stato consegnato il primo fazzolettone mi sono sentita accolta e sono stata davvero felice.
Il giorno in cui i nostri capi ci hanno detto che potevamo chiedere di fare la promessa, ho deciso di impararla quanto prima e quando ho chiesto di poterla recitare di fronte al branco, ho capito che ero pronta a fare ciò che era necessario per diventare un lupetto a tutti gli effetti.
Dopo qualche mese di attesa, dovuto anche al Corona Virus, quel giorno è arrivato. Ora mi sento una vera lupetta, ansiosa di continuare il proprio percorso negli Scout.

Noemi Rebecca Manca