Archivi categoria: Tuttoscout

Il colore del vento

Lontano dalle città, tra le nuvole bianche delle rocce grigie a strapiombo sull’oceano, viveva un’aquila.
Non più di giovane piumaggio, l’aquila trascorreva le sue giornate al sole sulle sue montagne e amava lasciarsi cullare dal vento in voli lievi, chiudendo gli occhi, in piena armonia con il cielo.
Il suo mondo era il cielo ed il vento un caro amico, dai colori sempre diversi, sì, blu intenso quando arrivava da nord e rosso fuoco se da sud est.
Un giorno di fine estate, planando sulle calme acque dell’oceano, l’aquila scorse una creatura marina mai vista da così vicino. A pelo d’acqua, affiorò il dorso liscio e brillante di una creatura d’aspetto mite.
D’improvviso un guizzo, che fece spaventare l’aquila: il muso della creatura marina si aprì e con un sorriso bellissimo, la lingua morbida e rosea, si mosse ed un suono simile ad un gemito, ne uscì. La creatura si levò dall’acqua, vibrando in cielo, per poi rituffarsi in mare. L’aquila non aveva mai visto quella creatura e stava per tornare alle sue montagne, quasi spaventata, quando fu da lei chiamata. “Sono un delfino e tu, imponente uccello, chi sei e da dove vieni? ”
L’aquila muovendo pian piano le grandi ali, rimase ferma, cercò di rispondere al delfino e quasi dal becco giallo oro, non usciva suono, tanto che il delfino si volle avvicinare.
Due mondi, cielo e mare, erano così vicini, come mai. Stessi colori, azzurro, blu, bianco, uguale essenza, abitata da creature tanto differenti quanto uguali nel cuore.
Vicini per poco tempo, poterono parlare e scoprirsi.
Per diversi giorni l’aquila tornò a parlare con il suo nuovo amico e lui si allontanava dai suoi simili per rivederla, finchè il delfino dovette un giorno, riunirsi agli altri suoi simili.
Salutò dolcemente l’aquila in un abbraccio fra cielo e mare e rituffandosi nelle acque blu, raggiunse gli altri.
Per un po’ l’aquila seguì con lo sguardo il suo amico allontanarsi, finché non fu più in grado la sua vista, di scorgere fra le acque, la sagoma brillante di quella creatura marina.
Un vento rosso fuoco la riportò fra le sue montagne.
Creature tanto diverse, dallo stesso cuore, che un giorno condivisero lo stesso mondo in un cuore solo.

t. r.

Breve storia di un mezzo veloce

ttscout160 (25)Gli scout, si sa, amano e rispettano la natura. Un’altra cosa che gli scout amano fare è girare il mondo andando alla ricerca di nuovi posti da esplorare.
Uno sporco extra associativo potrebbe non notare, a prima vista, quale sia il problema eppure, chiunque abbia intrapreso la strada dello scoutismo (prego immaginarsi suono di trombe festanti) subito comprende la situazione: per viaggiare in lungo ed in largo, infatti, spesso bisogna fare affidamento a mezzi inquinanti e irrispettosi della natura quali automobili, autobus, motoslitte ed elefanti (aspettate che tutta la bella frutta che mangiano finisca di marcire nel loro stomaco e poi parliamo di emissioni tossiche).
Un problema apparentemente insormontabile il quale è stato affrontato, nei secoli, da alcuni degli scout più ingegnosi della Storia. Gli scout dell’età della pietra, per esempio, erano soliti fare le route a bordo di giganteschi Mammut, i quali funzionavano sia come mezzi di trasporto che come fonte di cibo durante le varie tappe. Nel 1492 un reparto di Genova sperimentò addirittura un nuovo tipo di imbarcazione nel tentativo di aggirare le spese autostradali durante lo svolgimento campo all’estero, accidentalmente scoprendo l’America. Charles Darwin, grande uomo di scienza, tentò di introdurre le tartarughe giganti delle Galapagos come mezzo di trasporto, le quali purtroppo non ebbero grande fortuna tra gli scout inglesi.
Nessuna di queste soluzioni, purtroppo, è sopravvissuta a lungo. Le cause sono tra le più disparate, come il rialzo del prezzo della carne di mammut o la costruzione delle autostrade sul continente americano.
Ma la soluzione era dietro l’angolo! La rivoluzione industriale, iniziata nel tardo ’800 da degli scout inglesi come esperimento per ingrandire la città e rendere le uscite domenicali nei boschi un’esperienza più speciale, ha infatti portato alla nascita di innumerevoli nuovi mezzi di trasporto… tutti inquinanti.
Tranne la nostra amica bicicletta. Dopo millenni di tentativi e fallimenti, finalmente gli scout avevano il loro metodo per viaggiare in lungo ed in largo, senza inquinare! Naturalmente, con la tipica lungimiranza che li contraddistingue, gli scout (prego immaginarsi nuovamente suono di trombe festanti) sono stati i primi ad apprezzare questa grandiosa invenzione, ma non gli unici. Così quello che è iniziato come un semplice mezzo per camminare in maniera più comoda (originariamente non aveva nemmeno i pedali) si è evoluto nelle svariate modalità di biciclette oggi in commercio, come la BMX, la bici da cross, il tandem ed il monociclo, per non parlare degli infiniti accessori aggiungibili al modello base, che la rendono adatta ad ogni occasione: come i parafango, la dinamo, la mitragliatrice, il portapacchi o il carrello per portare in giro di tutto.
Insomma, per una volta, si può davvero dire che con l’utilizzo della bicicletta abbiano vinto tutti. Madre natura può tirare un breve sospiro di sollievo, gli scout possono godersi la meravigliosa avventura ad impatto zero che è l’uscita in bicicletta, ed il mondo nella sua integralità ha guadagnato un metodo perfetto, infallibile ed indiscutibile per sapere in quali finesettimana, assicurato al 100%, pioverà.
Ma questa è un’altra storia.

Tricheco Birbante
(prego immaginarsi suono di trombe estremamente festanti)

La doppia vita di Bebe Vio

ttscout160 (24)Ho conosciuto (anche se purtroppo non di persona) Beatrice Vio, detta Bebe, come scout prima che come schermitrice grazie ad un servizio di Saverio Tommasi (Trenta cose che ho imparato sugli scout, lo trovate su YouTube).
Quando i suoi successi, tra cui l’oro alle Paralimpiadi di Rio del 2016, l’anno innalzata all’onore delle cronache ho potuto conoscerla meglio e scoprire cosa ci fosse di più.
Non voglio raccontarvi tutto di lei (questo articolo non basterebbe certo) ma, avendola finalmente incontrata a Tradate per un evento di presentazione del suo libro “Mi hanno regalato un sogno”, vorrei farvi capire perché per me Bebe non è semplicemente una bravissima atleta.
Ecco, preso dal volervi raccontare mi sono dimenticato di dirvi che Bebe, nome totem Fenice Rossa, tira di scherma da quando ha 5 anni ma, per una grave malattia, ha perso entrambe le braccia ed entrambe le gambe ad 11.
Adesso fa tutto con le protesi: dal lavarsi i denti al ballare in discoteca.

Quando Bebe inizia a parlare è incontenibile e gesticola animatamente (e chiunque mi conosca può capire perché apprezzo questa sua caratteristica). Parla benissimo con i bambini, li coinvolge, gli spiega le cose con semplice entusiasmo. Bene, Bebe è innanzitutto vera, trasparente: non ha remore a dire che “partecipare è importante ma si partecipa per vincere, perché tutti vogliamo vincere!
La gara, il pregustare il calcio “alle prime due lettere di impossibile”, la vittoria che “in un solo attimo ti fa tirar fuori così tante emozioni… che sembri un po’ un pirla”.
Proprio di una gara mi piacerebbe parlarvi, cercando di ricordare le sue parole, ed è una gara scout…

Dopo una delle operazioni andai al campo estivo. Passando dal pulito di casa al fango del campo scout mi si infiammò la ferita (dell’amputazione). Vennero a prendermi i miei e mi portarono in ospedale dove mi sistemarono, mi diedero degli antibiotici e mi rimandarono a casa chiedendomi di “star ferma a riposo”. Appena uscita però risalii subito al campo.
Ero in carrozzina e non potevo aiutare la squadriglia a fare legna o cosa simili, ma ero vice-caposquadriglia e cercavo di darmi da fare. Un giorno c’era la gara di cucina e, ovviamente, la competizione era al massimo. Stavo cucinando delle zucchine grigliate con formaggio e pancetta. Solo che, un po’ per la foga della gara un po’ perché non ho molta sensibilità alla gamba, ero troppo vicina al fuoco che bruciava bello vivo. Avevo i leggings e ho iniziato a vedere del gonfiore in fondo al moncone. Ho pensato “tanto sono sotto antibiotici” e sono andata avanti senza volerci badare.
Come nella scherma, in cui in gara può succedere tutto perché c’è rabbia, concentrazione eccetera, ma dopo si chiede scusa all’avversario se si è andati giù troppo forte, così a fine gara ho alzato il pantalone per vedere cosa avevo combinato e ho visto questa bolla enorme. Era un’ustione di secondo grado.
Non ho voluto chiamare i miei genitori perché avrebbe voluto dire non finire il campo. Quindi abbiamo preso la nostra bellissima sacchetta dell’infermeria da in fondo alla sporchissima cassa di squadriglia, con coltello e forchetta abbiamo bucato la bolla e abbiamo medicato.
Alla fine del campo, quando sono arrivati i miei, la medicazione era sporca di terra ed erba ma non ho più avuto problemi. Così sono riuscita a farmi il mio campo scout.

Ora (penso ai miei amati repartisti) alla prossima gara di cucina state attenti al fuoco e, se per caso vi ustionate, non operatevi con coltello e forchetta. Ma la grinta che questa storia mostra, unita alla semplicità con cui Bebe l’ha raccontata, mi ha fatto venir voglia di condividerla con voi.

Se volete conoscere di più Bebe Vio potete informarvi anche sull’associazione Art4Sport fondata dalla sua famiglia per favorire gli sport paralimpici in Italia.
Geco coinvolgente

La Penna d’Oro

ttscout160 (1)La Pattuglia Comunicazione del Gruppo AGESCI Busto Arsizio 3 è parte della Redazione di “Tuttoscout” insieme a Marco, il simpatico signore con la barba che fa sempre le foto ai nostri eventi e che si occupa della stampa di questo periodico. Ma ogni Tuttoscout durante tutto l’anno non sarebbe pubblicabile se non fosse per i moltissimi fratellini e sorelline che trovano un po’ di tempo per raccontarci le loro attività e le loro esperienze scout.
Abbiamo quindi deciso di ringraziarvi per la pazienza e l’attenzione che ci date con un premio: la Penna d’Oro, consegnata all’unità che ha prodotto il maggior numero di articoli per i Tuttoscout di quest’anno.
A vincere per l’anno 2016-17 (numeri dal 154 al 159) è il Reparto Pegaso con 12 articoli, seguito dal Branco Tikonderoga con 10 e dal Clan Kypsele con 8.
Con questo numero si apre la sfida per l’anno nuovo, sperando che possa essere altrettanto ricco delle vostre esperienze, ricordi ed emozioni.

La PcD

Generazione X – So long, and thanks for all the friendship

Benvenuti cari amici ed amiche ancora una volta sulle pagine di generazione X.
Le storie di fantasia, spesso, hanno degli inizi molto bizzarri e spettacolari: astronavi che si inseguono, esploratori che scappano da macigni giganteschi, l’intero viaggio di un proiettile dalla fabbrica fin nella testa di un uomo, spie che ci sparano contro molto altro ancora. Ovviamente la funzione principale di questi espedienti è di catturare il prima possibile la nostra attenzione (e non farci accorgere che stiamo semplicemente assistendo ai titoli di testa) ma ciò non toglie che, quando sono fatti bene, essi diventano una parte integrante della storia, nella quale noi quindi entriamo “in media res” cioè quando la vicenda è già iniziata. La storia che noi viviamo di giorno in giorno, invece, inizia insindacabilmente coi monotoni e sonnacchiosi primi giorni dopo il parto.
Ma è davvero così?
Per molti potrebbe sembrare naturale pensare alla nascita come all’inizio della propria vita, e sono sicuro che per molti dei lettori più giovani il contrario non sia nemmeno da considerare eppure capita spesso, nella vita degli uomini, di arrivare ad un punto in cui dentro scatta qualcosa. Un incontro, una scelta, che inevitabilmente finirà per essere uno spartiacque della propria esistenza. Un esempio tanto estremo quanto significativo, in tal senso, può essere la vita di san Francesco. Sappiamo tutti come lui iniziò la propria esistenza come il figlio di un ricco mercante, amante delle armi e dei romanzi di cavalieri tipici dell’epoca, per poi cambiare completamente il proprio stile di vita e dedicarsi alla vita di chiesa. È difficile pensare che San Francesco pensasse a quei giorni di ricco ozio come una parte integrante di chi era, e non piuttosto come un trampolino che lo aveva preparato al grande salto verso la fede.
Molte volte, insomma, capita che quello che possa essere inizialmente concepito come l’inizio, non sia altro che una preparazione, un trampolino, e che il vero succo del cambiamento e della progressione stia piuttosto nei finali. Ad esempio per molti, oggi, si conclude un percorso nei castori, nei lupetti, in reparto o addirittura in Clan, solo per incominciarne un altro in una branca differente dove le avventure che si vivranno saranno ancora più varie ed emozionanti.
Ed è con in mente un’idea del genere che, dopo tanti anni, ho finalmente deciso che voglio provare a chiudere un capitolo della mia esistenza ed aprirne un altro, chiudendo questa piccola rubrica.
La nostra cara “Generazione X” era nata (tra l’altro, non per mia iniziativa) come un luogo dove un giovane scout potesse esprimere il suo punto di vista sull’associazione degli scout e come il suo stile di vita ne venisse influenzato, ed io questo ho provato a fare da quando la rubrica mi fu consegnata, all’inizio della mia vita di repartista.
Non dirò esplicitamente che sento il bisogno di chiudere la rubrica perché non sono più giovane; un po’ perché già solo nell’associazione c’è chi merita l’appellativo di “vecchio” ben più di me, un po’ perché sento di non meritare ancora quella supposizione di esperienza e saggezza che il titolo comporta, però sento, questo sì, di non essere più la persona ideale per rispecchiare quello che i membri più giovani del gruppo pensano e credono.
Questi motivi, quindi, mi spingono a lasciare queste pagine, nella speranza di trovare qualcuno, giovane ed amante della scrittura, che vorrà riprendere il prima possibile il mio posto.
Purtroppo per voi, questo non vuol dire che vi siate finalmente sbarazzati di me; sfogliando questo stesso numero troverete il mio nome sotto ad altri articoli, e così sarà ancora per spero molto, molto tempo. Quindi, anziché sentirci delusi per il passato che si è appena compiuto suggerisco, piuttosto, di essere felici per il futuro che è appena iniziato.

Tricheco Birbante

Hanno lasciato una traccia – Nicola Calipari

ttscout160 (23)Recitando la promessa ogni guida ed esploratore si impegnano a compiere il proprio dovere “verso il proprio paese” o “patria”, un termine sempre meno usato e di cui abbiamo ormai perso il significato sostituendolo semplicemente con “stato”. La risposta a quale sia pragmaticamente il dovere verso la patria non è univoca, nel bene o nel male. Durante la Grande Guerra risultò naturale armare i giovani esploratori del CNGEI ed addestrarli al combattimento, così come durante la rivolta di Varsavia gli scout polacchi del ZHP imbracciarono le armi contro i nazisti. Allo stesso tempo, invece, le Aquile Randagie avevano deciso che il loro dovere verso il proprio paese fosse quello di opporsi al fascismo con la resistenza non violenta.

Quando non esistono regole certe e non si riesce a dare una definizione completa ci si richiama a degli esempi. Quello che abbiamo scelto oggi non è forse uno dei più noti ma il suo nome forse riaffiorerà alla mente dei più grandicelli.

Nicola Calipari nacque a Reggio Calabria il 23 giugno 1953 ed entrò a far parte dell’Associazione Scouts Cattolici Italiani nel 1965. Il reparto era l’Aspromonte del Reggio Calabria 1. Nel 1973 è capo dell’AGESCI Reggio Calabria 1 e 3. Sul sito Giunglasilente leggiamo: “Era il ragazzo più disponibile quando si doveva lavorare”, ricorda il professor Teofilo Maione, docente in pensione, capo scout a Reggio per molti anni. “Della sua squadriglia – dice ancora – era sempre quello che stava accanto ai più piccoli. Di lui ricordo anche le grandi capacità tecniche: era bravo nell’orientamento, nell’osservazione, nel costruire ponti, nella cucina; e nelle riunioni era una miniera di idee”. Per il professore Maione, “Nicola ha saputo tradurre la sua disponibilità al servizio da scout, anche nella sua attività professionale […] È difficile in un momento come questo frugare nella memoria per cercare tra i tanti momenti condivisi, ma non può non raccontare, tra lacrime di commozione, la disavventura vissuta con Nicola nel 1976. Eravamo diventati capi e ci avevano affidato un gruppo di ragazzi più piccoli durante un’escursione in Aspromonte; ci siamo persi in una zona impervia dove siamo stati costretti a pernottare. Nicola dava coraggio e forza a tutti, fino a quando l’indomani siamo riusciti a ritrovare il sentiero “. […]” Nel 1976 organizzammo in Calabria un raduno di scout che aveva per obiettivo lottare per restare in Calabria e per costruire una Calabria diversa. Il gruppo di Nicola, quello della Candelora, era il più numeroso, a dimostrazione della sua dedizione totale nel fare ogni cosa”.

Laureatosi in giurisprudenza, nel 1979, si arruola in Polizia e diventa funzionario. Dapprima dirige squadre mobili, poi collabora in una missione internazionale nel 1988 con la National Crime Authority australiana. Lavora ad alto livello in Questura e nella Polizia Criminale. Diventato Vice Consigliere Ministeriale riceve riconoscimenti per le operazioni di polizia giudiziaria portate a termine con successo relative, in particolare, ad operazioni antidroga e di contrasto al traffico internazionale di armi.

Nel 2002 entra nel Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare (SISMI) e viene assegnato alle operazioni in Iraq. Conduce le trattative per la liberazione delle operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta e dei tre addetti alla sicurezza Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. Non si riesce invece a riportare a casa Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni.

Il 4 febbraio 2005 l’Organizazione del Jihad Islamico rapisce la giornalista de “Il manifesto” Giuliana Sgrena a Baghdad. Seguono giorni di incertezza, tensione, ultimatum e minacce. A spendersi in prima linea per salvare la giornalista “scomoda”, che aveva mostrato al mondo i bambini colpiti dalle bombe a grappolo statunitensi, è Calipari.

Il 4 marzo la mediazione dei servizi segreti militari italiani dà i suoi frutti e Giuliana viene liberata e portata in macchina verso l’aeroporto. I posti di blocco americani si susseguono senza problemi quando all’improvviso una fitta pioggia di proiettili si abbatte sulla vettura. Calipari si getta su Giuliana per proteggerla e viene raggiunto da un colpo alla testa che lo uccide. Aveva promesso che l’avrebbe riportata in Italia viva e così fu.

Le ricostruzioni dell’incidente da parte americana e italiana differiscono e per anni i processi tentarono di fare luce sull’accaduto. Caliparì fu insignito dal Presidente della Repubblica della Medaglia d’Oro al Valor Militare. Gli erano già state conferite le onorificenze di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 2004 e di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 1999.

Approfondimento

Telegrammi da Balmuccia

Come primo campo estivo credo sia andato piuttosto bene, secondo me -STOP-

Il campo si è svolto a Balmuccia in provincia di Vercelli, ovunque essa sia -STOP-

Il territorio era abbastanza simpatico, anche se ho perso una torcia, ma sono dettagli.

In genere io ero sempre addormentato, ma di buon umore -STOP-

Abbiamo fatto molte attività come gite, giochi e il fantastico rafting -STOP-

Ovviamente ci sono state anche alcune attività che non sono state il massimo, ma chi sono io per giudicare? -STOP-

Come ogni campo estivo si fa l’hike, quei due giorni massacranti dove devi solamente camminare per ore, noi durante il percorso abbiamo trovato delle difficoltà, ma siamo riusciti a superarle e ad andare avanti -STOP-

Dato che non so come andare avanti, credo che questa scarsa pagina possa andare bene quindi credo di poter chiudere qui -STOP-

Francesco Cacciagrano

Un campo all’Indiana Jones

E così è passato anche il mio secondo anno… il mio secondo campo… un campo pieno di sorprese, sfide… e camminate! Infatti siamo partiti dalla sede e abbiamo viaggiato in macchina fino a Balmuccia, la cittadina dove ci siamo fermati per poi continuare il nostro cammino a piedi lungo un sentiero di campagna “apparentemente” infinito, ma che, (fortunatamente!) terminò con la visuale di una carrucola, che abbiamo da subito usato per trasportare il materiale di reparto e di squadriglia. Poi abbiamo montato le tende e, FINALMENTE (!), ci siamo goduti un meritato e gustoso pranzo condiviso. Ma questo è stato solo il primo giorno, perché poi il campo ci ha riservato mille e mille sorprese spettacolari e uniche.

Ma ora non sto qui a scrivere per filo e per segno ogni singolo dettaglio, ma vi dirò velocemente che in tutto il campo abbiamo conosciuto Indiana Jones e lo abbiamo aiutato a recuperare il suo taccuino e la tavoletta che gli era stata rubata.

Nel frattempo i capi ci hanno introdotto “Mister Campo”, per farmi capire da eventuali lupetti che stanno leggendo questo articolo, una specie di San Scemo, solo che al posto dei balletti ci sono delle sfide, ma non voglio anticiparvi troppo, visto che lo saprete meglio quando sarete in reparto.

Quindi, come spero abbiate capito, è stato un campo fantastico, ma stancante; pieno di sfide, ma anche di sorprese; pieno di lavori, ma anche di giochi; pieno di silenzi, ma anche di MUSICA! Infatti il nostro carissimo Alessandro Baraldi, che ha sempre a portata di mano la sua chitarra ed i suoi canzonieri, ci ha rallegrato i bivacchi e le sieste.

Finisco con una dedica ai quarto anno, che mancherà moltissimo a tutti noi; anche a tutti i lupetti che fra poco passeranno, che dovranno cominciare un nuovo percorso anche loro; e anche a tutti coloro che stanno per cominciare un nuovo cammino, che sia un passaggio scout, l’inizio di una nuova scuola o un trasferimento…

“il sasso: la persona distratta vi è inciampata; quella violenta l’ha usato come proiettile; l’imprenditore l’ha usato per costruire; il contadino stanco invece come sedia; per i bambini è un giocattolo; Davide uccise Golia e Michelangelo ne fece la più bella scultura. In ogni caso, la differenza non la fa il sasso, ma l’uomo. Non esiste sasso sul tuo cammino che tu non possa sfruttare per la tua propria crescita.”

Spero che questa frase vi possa essere utile nel percorso che state per cominciare e che voi, miei carissimi quarto anno, non vi dimenticherete mai di noi, così come noi non ci scorderemo mai di voi!

Ecco che, come al mio solito, mi sono dilungata troppo! Spero di non avervi annoiato e vi rivolgo un sincero saluto scout:

Buona strada!

Canarino Stravagante

Carmela Scida

 

Curiose avventure nella località sperduta di Bosco Valtravaglia

21

Cari lettori rieccoci, siamo la farfalla e la tigre, le vostre racconta storie preferite, e vogliamo narrarvi di quella settimana che si svolge nei mesi estivi, nella quale ti lavi e mangi poco, corri come un dannato e non dimagrisci neanche di un chilo, chiamata anche comunemente campo estivo. Fra corse alle chiese, lezioni di erbologia (approfondiremo più avanti), calcio saponato in principio, divenuto in seguito rugby (la situazione è sfuggita di mano), e momenti strappalacrime dovuti all’ultima sera, il campo estivo a Bosco Valtravaglia è stato memorabile.

Visto che sappiamo che non state più nella pelle di sapere tutti i particolari vediamo di accontentarvi…

Vi siete mai sentiti un tutt’uno con la natura? Avete mai pensato di preparare un’insalata a base di erbe di prato? Lo sapevate che le piante hanno poteri curativi e magici? Ebbene se aveste fatto parte del Reparto Pegaso, ora le risposte vi sarebbero chiare, ma visto che non ne fate parte e siamo particolarmente gentili, risponderemo noi per voi a queste domande. Verso la metà del campo, tre esperte sono venute dove campeggiavamo per farci comprendere il mondo delle piante. L’esperienza ci è servita particolarmente poiché ci ha fatto capire che ogni pianta ha una propria caratteristica che spazia anche nell’inverosimile ad esempio: sei preoccupato che la prof ti interroghi poiché non hai aperto libro? Nessun problema: cospargiti di felce e diventerai invisibile! Però oltre a farci fare due risate e fantasticare, l’attività ci è servita per farci conoscere i benefici di alcune piante che in futuro trovandoci in determinate circostanze potrebbero servirci. Un’altra attività che speriamo diventi una tradizione sono stati i giochi d’acqua, in particolare calcio saponato. L’attività ha dato modo a tutti (soprattutto ai maschi) di svagarsi muniti solo di un telo di plastica del sapone e di una palla. Ecco perché dicono che gli scout si divertono anche con poco! Ovviamente non sono mancati le risate e le canzoni intorno al fuoco, gli estenuanti gioconi notturni senza le torce, incidenti vari per i quali sono state fatte corse sfrenate all’ospedale (ma senza conseguenze, per fortuna!) e le prove di “Mister Campo” che abbiamo deciso di non rivelare per evitare traumi ai lettori più giovani. Volevamo inoltre riservare una parte di questo articolo per un saluto speciale ad una persona che per 3 anni ci ha fatto sorridere, riflettere e, per la maggior parte, far girare i nervi; alla quale però dobbiamo molto e senza il quale oggi non saremmo quello che siamo… chi ha orecchie per intendere intenda.

Un saluto caloroso

Farfalla visionaria,

Tigre meticolosa

Kandersteg

Oggi siamo qui per raccontarvi la nostra stratosferica esperienza all’International Scout Centre di Kandersteg. I nostri amatissimi capi (che ruffiani che siamo) hanno offerto questa opportunità al solo 4° anno e noi più che carichi abbiamo deciso di coglierla. Gasatissimi di questa idea, ci siamo “subito” messi all’opera dividendoci in pattuglie e organizzando meglio il tutto. Dopo svariati incontri, finalmente avevamo tutto pronto: cibo, catechesi e persino logistica. Il giorno 26 giugno, esattamente alle 7 di mattina, ci siamo ritrovati in sede carichissimi per partire verso le alpi svizzere! Dopo 5 ore rinchiusi in macchine stracolme di materiale e con un minimo spazio vitale, siamo finalmente giunti alla meta e delle bellissime montagne ci hanno subito accolto.

Finite le attività proposte dall’International Friendship, che erano finalizzate a facilitare la socializzazione con altri gruppi, ci siamo resi conto che l’unico modo efficace per conoscere gli scout presenti era tramite un bel torneo di calcio, organizzato inaspettatamente dai gruppi americani.

Per poter partecipare però a questo torneo, ci servivano altri giocatori e chi meglio degli “spietati” e “terribili” polacchi, un esercito di instancabili carri armati alimentati a pane, burro e cetriolini, con i quali avevano quasi completamente riempito tutti i frigoriferi a disposizione del campo.

Il gemellaggio che si è creato tra polacchi e italiani ha dato i suoi frutti. Ovviamente siamo usciti vincitori e per festeggiare al meglio la vittoria e per stringere nuove amicizie, abbiamo accettato l’invito dei polacchi alla loro meravigliosa e squisita grigliata che è stata accompagnata sia dai nostri canti che dalle loro classiche canzoni polacche. Purtroppo, abbiamo dovuto abbandonare i nostri amici perché il giorno dopo ci avrebbe aspettato un’escursione al bellissimo lago Oschinensee, allora dopo esserci salutati siamo andati nella nostra tenda per riposarci dalla faticosa giornata.

La mattina successiva, dopo aver fatto un’eccellente colazione, siamo partiti più carichi che mai per raggiungere la meta; la durata prevista era di circa 4 ore, ma noi camminando e parlando non ci siamo nemmeno accorti del tempo che passava e una volta arrivati sulla cima, abbiamo potuto ammirare l’immensità e la bellezza del lago. Dopo aver camminato ancora un po’ in un bosco che era decorato da strane statue in legno abbiamo deciso di fermarci perché la fame aveva preso il sopravvento e così subito dopo aver finito di mangiare, abbiamo iniziato ad avvicinarci al lago: inizialmente per lanciare banalmente dei sassi, poi per pucciare i piedi e alla fine per farci un bel bagno nella “caldissima” acqua del lago.

Dopo aver fatto il momento di catechesi sulla riva, siamo ripartiti per ritornare al nostro campo. Essendo la strada tutta in discesa, ci abbiamo impiegato molto meno tempo e una volta arrivati abbiamo deciso di giocare a beach volley prima di farci una doccia rilassante.

La sera, dopo essere sfuggiti ad un altro invito da parte dei polacchi, abbiamo cucinato tutti insieme e dopo aver mangiato, ci siamo dedicati al momento di catechesi che ha previsto un pochino di abilità manuale visto che abbiamo fatto un anti stress. Alla fine ci siamo messi a dormire perché il mercoledì era prevista una camminata al lago Blausee, però ci sarà una sorpresa.

La mattina siamo partiti subito dopo colazione e una volta arrivati in paese, ci siamo divisi in gruppi da 2. Dopo una breve spiegazione su cosa fosse l’azimut e su come utilizzare una cartina, ogni gruppo è partito speranzoso di raggiungere la meta (bella sorpresa vero?). Ovviamente siamo arrivati tutti senza problemi all’ambito lago, dove l’acqua era talmente blu da riuscire a vedere il fondo con dei bei pesci che ci sguazzavano all’interno, inoltre si poteva ammirare anche una statua di una ragazza.

Dopo aver mangiato i nostri panini, abbiamo avuto del tempo libero in cui ognuno di noi ha potuto fare quello che più gli piaceva: per esempio sdraiarsi su un’amaca, usare lo scivolo dei bambini o semplicemente camminare intorno al lago per ammirarne la sua bellezza. Per nostra fortuna ha iniziato a piovere appena abbiamo iniziato ad avviarci; una pioggia che ha persistito per tutta la strada del ritorno. Tuttavia, ci siamo consolati cantando per tutto il tempo.

Il pomeriggio lo abbiamo passato a pensare cosa avremmo dovuto fare il giorno dopo (l’ultimo giorno) e abbiamo deciso che visto il brutto tempo non sarebbe stato brutto andare in piscina, tanto l’acqua era riscaldata quindi non ci sarebbero stati problemi.

Avendo una giornata tranquilla, ci siamo svegliati relativamente presto e siamo andati subito alla piscina, dove appena entrati ci siamo fiondati in acqua e ci siamo restati per un po’ di ore giocando insieme. Tornati al campo, dopo cena, eravamo abbastanza carichi per poter affrontare una veglia durante la quale ognuno di noi aveva l’opportunità di esprimere i propri dubbi e perplessità riguardo la religione, occasione ben colta da tutti. Essendo l’ultima sera, abbiamo approfittato per stare svegli più a lungo rispetto gli altri giorni per passare insieme il tempo che ci rimaneva prima di tornare a casa.

Il giorno della partenza… durante la mattinata abbiamo preparato gli zaini, smontato la tenda, sistemato materiale e cibo avanzato e caricato tutto quanto sulle due agilissime macchine che ci hanno accompagnato durante il viaggio. Dopo un pranzo leggero e un’interminabile partita a scacchi svoltasi sotto la reception di KISC, siamo partiti verso casa e questa volta tutti noi avevamo più spazio vitale che ha permesso di “addormentarci più comodamente”.

Quest’esperienza ci ha senza dubbio permesso di legare e di conoscerci meglio, perché il tempo non basta mai ed auguriamo di poterla vivere a tutti coloro che hanno voglia di mettersi alla prova per confrontarsi e migliorarsi.