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Cento anni di scoutismo spaziale

Era l’aprile 2117 quando Giorgio Povelli, illustre generale ed esploratore spaziale, condusse un gruppetto di giovani ragazzi e ragazze per un campeggio orbitante sull’asteroide Mare Bruno, di passaggio in quel momento tra la Terra e Marte.
Certo, guardando alle sconfinate imprese di esplorazione di quegli anni era poca cosa, come uscire da una metropoli per campeggiare al parco, ma in ogni caso fu considerato un successo. Sotto il cielo degli igloo geodetici e durante le lunghe passeggiate in assenza di gravità gli scout di Povelli riscoprirono il contatto con la natura (anche se attraverso le impenetrabili tute spaziali), l’autonomia, la libertà e la gioia di stare insieme. Ogni mattina dovevano svegliarsi di buona lena per spolverare i pannelli solari del campo, cercare il combustibile per preparare la colazione e pulire le tende pressurizzate. Insomma, compiti che sulla Terra erano, allora come oggi, lasciati ai robot, L’esperienza di Povelli non ci mise molto a diffondersi e, in pochi anni, sulla Terra e su quasi tutte le colonie della galassia nacquero esperienze di scoutismo spaziale.

Adesso, nel 2217, festeggiamo il centenario di quell’avventura così piccola in proporzione, ma così grande nella storia. Fu solo una breve escursione per quelli che la compirono, ma diede inizio alla grande avventura che ancora oggi viviamo. E dire che, cento anni prima, il nonno di Povelli era stato uno scout terrestre come tantissimi altri. Aveva iniziato come lupetto in un gruppo in quella che all’epoca veniva chiamata Provincia di Varese (anche se le fonti discordano su quale fosse esattamente, la soluzione che trova il maggior sostegno tra gli storici è Busto Arsizio).
Chi l’avrebbe mai detto che questo suo nipote avrebbe fatto così tanto per lo scoutismo galattico? Certo, le difficoltà non mancarono e Povelli dedicò tutta la sua vita alla crescita e organizzazione della Space Scout Association (la SSA il cui distintivo portiamo tutti sulla destra delle nostre tute). Ma furono anche tanti i sostenitori dell’idea che videro in questa esperienza la possibilità di lavorare ancora di più e meglio per l’educazione di giovani e fanciulli e per la pace tra i pianeti.

Sicuramente bisogna riconoscere che questo successo non riuscì mai a scalfire l’anima entusiasta e spontanea dei primi giorni su Mare Bruno. Questa storia, che a molti potrebbe sembrare semplicemente un lontano ricordo perso nel passato, ci deve in realtà far riflettere sull’imprevedibile grandezza che le nostre scelte (a volte folli) possono generare. Adesso che le uscite domenicali nella Fascia degli Asteroidi sono diventate la normalità, che i campi invernali su Plutone o le route tra cometa e cometa scandiscono la nostra crescita di ragazzi e ragazze verso l’essere uomini e donne del futuro, dobbiamo ricordarci da dove tutto è cominciato. Un po’ per ritrovare quella quasi sfacciata semplicità delle origini, ma anche per pensare a quale sarà il prossimo passo. Il prossimo grande salto verso l’infinito e oltre…

E.G.

Grandi cambiamenti

Ciao, mi chiamo Sara del branco Tiko. Oggi vi voglio raccontare la mia esperienza di quando sono entrata in questo branco.
Ero andata in un capannone dove tutti erano riuniti. Ad un certo punto mi hanno chiamata. Ero troppo agitata. Sono andata dal mio ex capo e mi hanno regalato una borraccia. C’era un telo blu, come un fiume, e sono passata sotto gattonando. Dopo una ragazzina mi ha preso la mano e mi ha portato dai capi i quali mi hanno dato il fazzolettone bianco. Il secondo giorno avevo un po’ di nostalgia del mio vecchio gruppo…
Dopo molto tempo, era un sabato, abbiamo fatto un pernotto e io e la mia amica, ci siamo divertite a pulire il bosco ma quella che affrontava le ortiche e le prendeva fra le gambe, ero io…
La sera siamo andati nel bosco in sestiglie. Io ero troppo spaventata. Quella sera, di fronte ad un fuoco, ho detto la mia promessa da lupetta e mi hanno dato il fazzolettone. Che pernotto!
Sara Romano

Poter dire:

IO C’ERO
Mi sono sentito/a:
. gioiosa e serena,
. emozionato,
. importante,
. bene e felice,
.come quando avevo otto anni e avevo appena fatto la Promessa.

PERCHE’ RIDARE LA PROMESSA?
. È una cosa importante,
. è un ricordo,
. si vuole rivivere un momento importante,
. la Promessa è una cosa seria da tenere nel cuore,
. ci fa imparare,
. è una cerimonia importante.

NOI C’ERAVAMO!
Branco “Albero del Dhak”

Corsa di Primavera

IL PERNOTTO CON TRE BRANCHI

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Sabato e domenica abbiamo giocato e fatto il pernotto con i Tikonderoga, Legnano 1 e Valle Olona 1. Ho fatto nuove amicizie ed ho incontrato due mie vecchie amiche. All’inizio mi sentivo persa insieme alle altre persone, poi mi sono abituata ed ho capito che mi piace stare con gli altri che non conosco. Però sono sempre stata al fianco della mia migliore amica del cuore Margherita. Ritornando al pernotto abbiamo giocato a roverino, tutti contro tutti e ad altri giochi. Domenica abbiamo fatto un gioco che parlava di un viaggio in diversi paesi, a me è piaciuta l’Italia, il Bangladesh e la Siria. Io mi sono divertita, spero di rifare un’esperienza così bella e di rincontrare i branchi e di fare nuove amicizie!

Layla Toso

 

UN GIOCO PER IL MONDO

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Domenica scorsa è arrivato il capo presidente del mondo e sono arrivati capi travestiti da persone di vari continenti. Ci hanno assegnato uno stato e ci hanno dato un passaporto. Ogni stato aveva un bollino. Nel primo stato si stava bene, nel secondo stato che si chiama Bangladesh mancavano acqua e cibo; nel terzo, l’Italia, arrivavano troppe persone; nel quarto, il Ciad, c’era molta povertà e si mangiava quasi solo pesce; nel quinto, la Sierra Leone, c’erano le malattie e solo un’infermiera; nell’ultimo che si chiama Siria c’era la guerra. Ad ogni stato corrispondeva un gioco. All’inizio l’italiano chiamava tutti “barbun”, ma alla fine ha chiesto scusa alla gente lontana che soffre. Mi è anche servito di lezione per farmi bastare quel che ho senza sprecare niente, Comunque mi sono divertito davvero tanto! Sebastian Valentini

Cento!!

CastoriniGAEccoli, quelli che crescono e apriranno la strada al prossimo Centenario
Lo scorso sabato 11 Marzo noi castorini della Colonia Grande Alce abbiamo fatto un pernotto importante.
Col treno siamo andati a Stresa al Collegio Rosmini.
La sera sul balcone, dopo alcuni bambini, Zio Malak mi ha chiamato e mi ha portato in una grotta dove c’erano Alice e Patti ad aspettarmi.
Alice mi ha cambiato il verbo, il quadratino di legno, da “esplorare” a “fare”.
Poi mi ha cambiato anche la coda: sono passato da coda fulva a coda marrone, cioè sono cresciuto.
Poi siamo rientrati e abbiamo giocato in palestra.
Poi siamo andati a dormire, e il giorno dopo siamo tornati a casa, dopo aver preso il treno.
È stata una magnifica esperienza!
Grazie a tutti i miei capi e a tutti i miei compagni Castorini, presenti e passati, per aver passato questi tre anni bellissimi.
Giovanni

Centenario Scout a Busto Arsizio

Tanti ma tanti anni fa, più meno un centinaio, il sogno di alcuni ragazzi a Busto si è fatto realtà: poter trovarsi in un gruppo e condividere momenti di sforzo, gioia, sofferenza, aiuto verso gli altri per crescere insieme cercando di superare le avversità, il dolore, imparando a vivere con gioia, attraverso il gioco, il sorriso ed il lavoro ma senza dimenticarsi che dietro tutta questa meccanica della vita c’è il meccanico che guida e conduce la macchina del destino: DIO, che attraverso suo figlio ci ha mandato un messaggio di luce e salvezza. Gesù attraverso il suo esempio ci ha insegnato a essere uno con Lui, il figlio, e uno con il Padre.

Ma cosa significa per i castorini un centenario? Per loro sono solo tantissimi anni… non è facile fare capire ai bambini che cosa significa compiere 100 anni, ma pensando a come riuscire a passare questo messaggio, noi vecchi castori abbiamo fatto una attività/gioco basata sulla linea del tempo e la nascita del castorismo. Suddivisi in capanne abbiamo fatto un lungo viaggio alla ricerca di una storia perduta fra le pagine di un vecchio libro scritto da un autore molto speciale e importante che ci racconta la storia della nascita del Castorismo. Purtroppo questo scrittore aveva perso dei pezzi ed i castori, come al solito sempre pronti ad aiutare gli altri, si sono messi subito a disposizione per ritrovare la storia: riportare ogni capitolo del libro al suo autore.
Capitolo 1 – Canada. Cosa c’era di speciale? Erano gli anni ’70. Lo scoutismo ogni giorno guadagnava più simpatia sia in Europa che in Canada che in America. Il branco andava a caccia e i fratellini più piccoli? Anche loro lo volevano… mancava qualcosa: insegnare ai bambini più piccoli a vivere, INSIEME, una esperienza di vita adatta alla loro età. Nasce allora una branca dove si accoglievano bambini dai 5 agli 8 anni: i Castorini!
Il capitolo 1 era stato ritrovato ma i castori ancora dovevano trovare il capitolo numero 2. Dopo aver parlato con un Canadese, hanno continuato il loro viaggio. Un soffio di vento li ha trasportati, e viaggiando attraverso il tempo e lo spazio sono arrivati a Torino dove hanno trovato due guide scout del gruppo Torino 101 che avevano una pasticceria. Lo scrittore, per sbaglio, aveva dimenticato il suo secondo capitolo da loro. I castori allora hanno letto che il castorismo è arrivato in Italia grazie a Capi Scout del Torino 101 i quali, vedendo che anche i fratelli più piccoli dei lupetti volevano partecipare alle attività del gruppo, hanno deciso di mettere alla prova un metodo che era nato in Canada e che aveva attività, racconti, patto, e progressione personale adatti alla crescita dei bambini dai 5 agli 8 anni e che li preparasse per entrare, successivamente, in branco.
Di nuovo i castori sono riusciti a trovare il secondo pezzo della storia ma si sono accorti anche che le due pasticcere avevano bisogno d’aiuto. Una grande festa era in preparazione, qualcuno compiva 100 anni. Le due pasticcere dovevano realizzare una grande torta ma il lavoro era troppo per solo loro due: avevano bisogno di aiuto. E chi meglio dei castori per fare una buona e bella torta? Fra un assaggio di nutella e varie leccatine di dita, alla fine la torta gigante era pronta per la festa di un centenario… Ma chi era così vecchio da avere 100 anni?
I castorini dovevano ripartire e non avevano tempo di tante spiegazioni. Di nuovo il soffio di vento li ha portati ad affrontare una sfida fra il gruppo del Carpi 4 e quello del Torino101. Il gioco del Mondo. Il gruppo Scout del Carpi 4 ha aperto la branca dei castori intorno al 1984. I nostri castorini viaggiatori sono riusciti a capire che dopo la nascita a Torino della prima colonia e a Carpi della seconda, piano piano sono nate tutte le altre. Si è così formata l’Associazione Italiana Castorini. Il vento ha ripreso a soffiare ed i castori hanno cominciato di nuovo a viaggiare fino ad arrivare a Busto Arsizio. Erano circa più di 30 anni fa quando si è aperta la prima colonia: la Stella Azzurra. Poi è arrivata la Grande Alce ed infine la colonia Cielo Blu. Adesso abbiamo tre colonie che festeggiano insieme a tutti gli scout di Busto i 100 ANNI DELLO SCOUTISMO BUSTOCCO! AUGURONI SCOUT DI BUSTO!

Bravi Castori, siete riusciti a ricomporre tutta la storia dello scoutismo e anche a fare festa, perché la festa di 100 anni era proprio quella dello Scoutismo bustocco!
Tutti insieme abbiamo festeggiato e tagliato la nostra torta del centenario!
Cielo Blu

Un secolo Scout a Busto Arsizio

unsecoloscoutPalco L’incontro avvenuto lo scorso 27 Febbraio tra i gruppi scout Busto Arsizio 1,3,5 e MASCI è stata una meravigliosa occasione per unirsi, confrontarsi e capire quanto bene si è riusciti a fare per la città in questi ultimi cento anni.
Il flash mob, organizzato con il Comune, ha visto la presenza di molte persone, tra capi e ragazzi che hanno voluto giocosamente invadere piazza San Michele come simbolo della fratellanza che esiste tra i vari gruppi della città, nonché una vetrina per annunciare ufficialmente una serie di attività che andranno a svolgersi nell’arco di tutto l’anno sul territorio cittadino.
A sottolineare la vicinanza del comune ai diversi movimenti scout c’è stata la presenza di diverse figure istituzionali, tra cui il sindaco Emanuele Antonelli ed il vicesindaco Stefano Ferrario, anche lui scout.unsecoloscoutPiazza
Momento particolarmente bello è stata la Messa tenutasi in San Michele, chiesa che da sempre accoglie con gioia gli scout della città, che sia per una semplice messa oppure, come in questa occasione, per terminare una giornata speciale partecipando tutti assieme alla funzione liturgica.
Ed è stato proprio lì, spartendosi i diversi compiti tra i vari gruppi, ma agendo tutti assieme sotto il cappello della messa ed intonando le canzoni come un’unica voce, che secondo me le diverse realtà scoutistiche della città hanno dato il meglio di sé. Dimostrando di saper mettere da parte le differenze e poter lavorare come un unico uomo non solo per poter fare onore allo scautismo durante l’impegnativo anno che verrà, pieno di manifestazioni, ma anche per i prossimi cento.

QUI le foto dell’evento
Filippo Mairani

Quattro chiacchiere con Carlo Valentini

Sono già cento!
Ricordate? Lo abbiamo urlato insieme a tutti i gruppi scout della città lo scorso B.P. Day. Ebbene, sì. Se nel 2007 abbiamo commemorato i cento anni dalla fondazione del movimento, oggi a dieci anni di distanza, viviamo l’anno di un nuovo centenario: quello dello scoutismo a Busto Arsizio.
A onor del vero, i primi scout “conquistarono” la città 102 anni fa, nel 1915, con la nascita dei primi gruppi GEI (Giovani Esploratori Italiani), voluti da un comitato promotore formato da diversi dirigenti di associazioni bustocche. Solo successivamente, nel 1917, appunto, si assiste alla formazione del primo gruppo cattolico, che è l’evento che festeggiamo; l’inizio della nostra storia.
L’idea di un Lord inglese che si fa strada tra le vie di Busto. Cosa ne è stato e cosa ne è oggi?
CarloValentini2Facciamo una chiacchierata con Carlo Valentini, storico capo gruppo del Busto 1, che di questi 100 anni, ne ha conosciuti una buona fetta.
Carlo si sta spendendo tantissimo per questo centenario. Molte altre informazioni le potete trovare sul sito unsecoloscout.it

Ho fatto la promessa da lupetto nel 1949, a 10 anni e nel 1951 ho pronunciato la mia promessa di esploratore. I miei genitori non conoscevano il mondo scout; sono stati consigliati dal fratello di mio padre, uno zio prete, che aveva familiarità con il movimento. Scoprire che mio nonno, Carlo Valentini, fu parte del comitato promotore del 1915 – era dirigente di un’associazione di ginnastica – è stata una grande sorpresa. Nessuno lo sapeva, ma mi piace pensare che ci sia stata una sorta di predestinazione.

Carlo (al quale diamo del “tu”, come si conviene tra scout), può vantare un lungo percorso nell’associazione, costellato da non poche imprese e traguardi.

Nel ’53 – eravamo 6 esploratori e un rover – decidemmo di fare un campo mobile: “Colico a pè” (Colico a piedi). Partendo da Busto, raggiungemmo a piedi il campo scuola di Colico. Fu un’impresa memorabile. Oggi coraggiosa, all’epoca… eroica!
Nel ’55 partecipai al Jamboree, in Canada (l’ottavo world Jamboree), il solo a cui ho partecipato.
Appassionandomi al servizio, divenni responsabile per il reparto quando ancora ero un rover. Successivamente sono stato capo clan e capo reparto, poi capo gruppo, responsabile di provincia con Monsignor Livetti – don Claudio – che fu assistente provinciale e poi responsabile di zona, quando vennero create le zone.
Oggi, da 15 anni, presto servizio per le basi scout. In collaborazione con la Fondazione e Ente Baden, nel 2004 abbiamo inaugurato la base scout in Val Codera, la “centralina”, e abbiamo costituito la comunità capi Codera 1, che gestisce le attività scout in tutta la Valle. Sono entrato per la prima volta in Codera nel ’65, per un campo di noviziato e da quel momento sono state centinaia le mie visite. Ho conosciuto Monsignor Andrea Ghetti (Baden) quando dirigeva il mensile della diocesi e mi chiese di collaborare per delle illustrazioni. L’impegno in Codera è ed è stato grande: riconquistare la fiducia ed allacciare i rapporti con la gente di Codera, l’acquisto della baita, l’affitto della seconda in collaborazione con il Consorzio dell’Alpe Bresciadega, che la utilizzava in modo condiviso con i proprietari, per fare il formaggio (da cui il nome: “La Casera”) e poi il terreno a Bresciadega. Oggi la base di Codera si trova dislocata in diversi punti della valle. Tuttavia, il mio primo amore rimane Colico. Colico, uno dei “luoghi educanti” del mondo scout, è stato il mio primo servizio dopo il mio ritiro dalla carica di capo gruppo. Naturalmente non ero solo a gestire il tutto: insieme alla Pattuglia Regionale Ambiente, della quale ero parte, mi occupavo della custodia della base e dell’organizzazione delle attività.

Come si è modificato lo scoutismo a Busto? Vedi differenze tra gli scout di allora e gli scout di oggi?

Certo che le cose sono cambiate. Il mondo cambia. Sicuramente è cambiato molto il modo di fare scoutismo, ma lo spirito è lo stesso di cento anni fa.
CarloValentini1 Negli anni ’50 e ’60 non era semplice essere scout a Busto Arsizio. C’era molta ignoranza e venivamo presi in giro. Soprattutto era difficile il rapporto con i parroci. Noi non eravamo propriamente parrocchiani e quindi apparivamo fuori da ogni regola. Dopo il nostro assistente don Giuseppe Ravazzani, per molto tempo non abbiamo più avuto assistenti ecclesiastici parrocchiali o ce ne sono stati pochissimi; erano frati, missionari, studenti del seminario di Venegono…
Effettivamente, lo scoutismo non nasce dall’interno della Chiesa, ma è ecclesiale perché vive i valori cattolici.
Solo in tempi recenti assistiamo a una rinata capacità di dialogo e collaborazione tra parrocchia e mondo scout. Si comprende finalmente che c’è una complementarietà.

Che rapporto c’era allora con la cittadinanza e il comune?

Negli anni ’60 eravamo un gruppo piccolo, una ventina di esploratori e pochi capi. La nostra visibilità si limitava a comparse quando aprivamo le processioni in uniforme. Sul piano numerico non eravamo abbastanza per entrare in rapporto con la cittadinanza. Se cresce il numero, cresce anche la consapevolezza. Oggi, molto di quello che lo scoutismo offre nell’ambito dell’educazione al senso civico è testimoniato da persone che dallo scoutismo sono uscite, come esponenti politici e amministratori comunali di Busto. Questo ha aiutato lo scoutismo a guadagnare considerazione e rispetto via via sempre meno marginali.

Come si colloca il Busto 3 in tutta questa storia?

Parlavo di numeri… Sicuramente la quantità fa tanto e i grandi numeri sono presi in considerazione molto più facilmente.
Da quando è nato, nel 1980, il Busto 3 è sempre stato un gruppo numeroso, che ha sicuramente aiutato il dialogo con l’amministrazione comunale.

Come immagini una Busto senza scout?

Busto senza scout? E come faccio a immaginarla? Tutta la mia vita è stata spesa nello scoutismo. Sicuramente gli scout hanno dato un grosso contributo alla città; hanno fatto crescere una coscienza, hanno dato la sveglia a molti giovani. Questo lo si vede dall’accresciuta considerazione sia da parte dell’amministrazione, sia da parte della Chiesa.
La testardaggine di testimoniare il bene paga, ma ci vuole pazienza, come ce ne è voluta per recuperare la baita in val Codera.

Cosa vede per il futuro del movimento scout a Busto?

Che dire? Penso che possiamo andare avanti su questa strada, “con l’aiuto di Dio”, visto che in un certo qual modo siamo in missione per conto di Lui.
Per me, lo scoutismo non ha bisogno di numeri. Oggi abbiamo circa 180.000 scout e guide AGESCI in Italia, ma è forse meglio di quando ce n’erano 80.000? Certo, cambia il peso e l’autorevolezza dell’associazione, ma il numero non ha l’importanza maggiore. Bisogna insistere sulla qualità!
Non voglio fare come gli anziani che ripetono sempre “ai miei tempi…” e non lo dirò, ma sono certamente cambiate le condizioni.
Ricordo ad esempio, che per accedere al campo scuola di Colico, per la formazione capi, bisognava percorrere un sentiero disseminato di prove tecniche e c’era gente, che trovandosi incapace di superarle, tornava a casa.
Era considerato molto importante il saper fare e il saper fare bene.
Vi faccio un esempio: il nodo non è il semplice congiungere due corde; il nodo ha un valore educativo. Conoscere l’alfabeto morse, il semaforico, saper leggere una mappa… che significato possono avere queste cose nell’era della messaggistica istantanea e del GPS? Ebbene, noi crediamo che imparare a fare queste cose, saper leggere una mappa, aiuti il ragionamento e la crescita del ragazzo e, ancora adesso, abbiamo il coraggio di proporre la topografia.
Poi un’altra grande sfida con cui bisognerà confrontarsi è sicuramente quella dell’interculturalità e dell’inter-religiosità… insomma, come dicevo, si può solo continuare a camminare con testa e gambe, ricercando uno scoutismo autentico. Per questo penso che la Codera, altro luogo educante, sia uno dei posti migliori, poiché fornisce condizioni ambientali ottime per fare vero scoutismo. In quanti luoghi possiamo ancora accendere fuochi, cucinare all’aperto?
Un tempo le Aquile randagie salivano quassù ricercando un luogo nascosto, per fare scoutismo libero, cosa che non era possibile a Milano. Oggi tutto è cambiato ma, un po’ come allora, lo scoutismo non si può fare proprio ovunque. Qui si può recuperarne davvero l’originalità.

Ringraziamo Carlo e ci ripromettiamo di fare al più presto una visita alla centralina, su in Codera. Ancora oggi, come negli anni ’40, non esiste una funivia per arrivarci; è possibile raggiungerla solamente salendo con fatica i famosi gradoni che conducono alla valle. Sì, ci vuole fatica: un’esperienza sempre meno banale, che spaventa molti, ma che nostro malgrado resta il motore di qualsiasi impresa degna di questo nome.
Forse, proprio questo può essere un augurio per i prossimi cento anni: non perdere mai la voglia di fare fatica per fare, fare bene, fare il bene.
Buona caccia e buona strada!

Erica Oldani

Una strada lunga cent’anni

unsecoloscoutBAUn anno strano questo per me, il primo come Capogruppo, il primo senza fare servizio attivo con i bambini. Un anno pieno di novità, qualcuno direbbe di fatiche, io preferisco dire di rinnovamento, di buoni propositi, di grandi progetti e non ultimo di ricorrenze.
Ricorre infatti quest’anno il Centenario dello Scoutismo Cattolico a Busto Arsizio, cento anni da quando un gruppo di ragazzi dell’età dei miei figli inaugurò nel territorio del nostro Comune l’Avventura Scout che riecheggia ancora nelle nostre sedi, nelle nostre strade e nei cuori dei piccoli, dei giovani e degli adulti che non hanno mai smesso di credere nell’efficacia della pedagogia scout.
Di tempo ne è passato da allora e si può dire che è successo proprio di tutto. La storia dello scoutismo è passata anche di qui, anche per le vie di Busto Arsizio, nessuno può dirsi immune, nessuno ne è escluso ed è proprio per questo che questa ricorrenza ha un valore. Ma un valore che non sancisce tanto il traguardo, ma che segna un percorso, ci fa intravedere una via, ci permette di andare avanti nella strada, perché siamo sicuri del sentiero tracciato da altri fino ad ora.
Senza quei giovani di cento anni fa, dei loro capi e dei loro assistenti ecclesiastici come potremmo dire: “io sono scout?” Cos’è che vale veramente in ciò che facciamo, che sia partecipare come bambino, ragazzo e giovane alle attività scout o proporre queste attività come Capo, come Comunità?
Credo fermamente che il valore della proposta educativa scout non risieda tanto in ciò che facciamo, nelle belle attività che proponiamo ai ragazzi e nemmeno nei risultati tangibili che otteniamo vedendoli impegnarsi nell’essere dei buoni cittadini. Credo piuttosto che il valore dello scoutismo si esprima in quel “lasciare” il mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato, dove proprio il termine “lasciare” identifica quel testimone che di giorno in giorno, di anno in anno, di secolo in secolo tramandiamo gli uni agli altri.
Quegli esploratori di cento anni fa si sono indubbiamente divertiti nella giovinezza, hanno superato grosse difficoltà, si sono sposati, hanno messo su famiglia, si sono impegnati all’interno della società civile e sono poi ritornati alla casa del Padre consentendo alle generazioni future, una dopo l’altra di proseguire nel grande sogno di Baden Powell.
È questa l’eredità che voglio raccogliere, insieme a tutti i Capi della mia Comunità e con tutti i ragazzi scout del nostro Gruppo, dopo Cento anni di scoutismo: che possano le future generazioni continuare sulla strada che anche noi stiamo contribuendo a tracciare e che prima di noi altri hanno iniziato.
Buona strada.
Sara Michela Lualdi

Crescere

C’era una volta un bambino che non voleva crescere: guardava i grandi e gli sembrava che fossero un po’ poco felici. Allora disse alla mamma: “Mamma, ho deciso che non voglio crescere!”. “Come mai?” chiese la mamma. “Perché non voglio diventare triste!” “Bene!” disse la mamma: “Allora, da bravo bambino, farai tre cose: mi aiuterai nelle faccende di casa, andrai a scuola (perché i bambini vanno a scuola, si sa) e giocherai molto con i tuoi amici!” Il piccolo non poteva credere alle sue orecchie: la mamma era d’accordo con lui, la mamma gli dava il permesso di rimanere bambino! Era così felice che da quel giorno si mise a fare con grande impegno i tre compiti che la mamma gli aveva affidato: la mattina andava a scuola e con entusiasmo cercava di capire più cose che poteva e nel pomeriggio usciva a giocare con gli amici ma si ricordava sempre, prima o dopo, di dare una mano alla mamma.
Un giorno un certo don Bosco venne a cercare il nostro amico mentre era impegnato a giocare con gli amici, lo chiamò e gli disse: “La tua mamma mi dice che non vuoi crescere, è vero?” “Certo” rispose con un sorriso. “Molto bene! Posso chiederti un favore?” chiese don Bosco. “Certo” rispose di nuovo. “Vorrei presentarti una persona!  È un giovane uomo, contento della vita, che ha imparato molte cose grazie alla scuola, che conosce il valore del gioco e dell’allegria grazie ai suoi amici ma anche quello dell’impegno e della generosità grazie alla sua mamma. Vorresti conoscerlo?” “Certo” rispose per la terza volta. Don Bosco infilò la mano in tasca e tirò fuori un fazzoletto di stoffa che nascondeva qualcosa e glielo mise in mano. Il nostro amico con cautela aprì il fazzoletto e si trovò a fissare uno sguardo pieno di gioia e di voglia di vivere. Il suo.

-Don Matteo