Ho conosciuto (anche se purtroppo non di persona) Beatrice Vio, detta Bebe, come scout prima che come schermitrice grazie ad un servizio di Saverio Tommasi (Trenta cose che ho imparato sugli scout, lo trovate su YouTube).
Quando i suoi successi, tra cui l’oro alle Paralimpiadi di Rio del 2016, l’anno innalzata all’onore delle cronache ho potuto conoscerla meglio e scoprire cosa ci fosse di più.
Non voglio raccontarvi tutto di lei (questo articolo non basterebbe certo) ma, avendola finalmente incontrata a Tradate per un evento di presentazione del suo libro “Mi hanno regalato un sogno”, vorrei farvi capire perché per me Bebe non è semplicemente una bravissima atleta.
Ecco, preso dal volervi raccontare mi sono dimenticato di dirvi che Bebe, nome totem Fenice Rossa, tira di scherma da quando ha 5 anni ma, per una grave malattia, ha perso entrambe le braccia ed entrambe le gambe ad 11.
Adesso fa tutto con le protesi: dal lavarsi i denti al ballare in discoteca.
Quando Bebe inizia a parlare è incontenibile e gesticola animatamente (e chiunque mi conosca può capire perché apprezzo questa sua caratteristica). Parla benissimo con i bambini, li coinvolge, gli spiega le cose con semplice entusiasmo. Bene, Bebe è innanzitutto vera, trasparente: non ha remore a dire che “partecipare è importante ma si partecipa per vincere, perché tutti vogliamo vincere!”
La gara, il pregustare il calcio “alle prime due lettere di impossibile”, la vittoria che “in un solo attimo ti fa tirar fuori così tante emozioni… che sembri un po’ un pirla”.
Proprio di una gara mi piacerebbe parlarvi, cercando di ricordare le sue parole, ed è una gara scout…
Dopo una delle operazioni andai al campo estivo. Passando dal pulito di casa al fango del campo scout mi si infiammò la ferita (dell’amputazione). Vennero a prendermi i miei e mi portarono in ospedale dove mi sistemarono, mi diedero degli antibiotici e mi rimandarono a casa chiedendomi di “star ferma a riposo”. Appena uscita però risalii subito al campo.
Ero in carrozzina e non potevo aiutare la squadriglia a fare legna o cosa simili, ma ero vice-caposquadriglia e cercavo di darmi da fare. Un giorno c’era la gara di cucina e, ovviamente, la competizione era al massimo. Stavo cucinando delle zucchine grigliate con formaggio e pancetta. Solo che, un po’ per la foga della gara un po’ perché non ho molta sensibilità alla gamba, ero troppo vicina al fuoco che bruciava bello vivo. Avevo i leggings e ho iniziato a vedere del gonfiore in fondo al moncone. Ho pensato “tanto sono sotto antibiotici” e sono andata avanti senza volerci badare.
Come nella scherma, in cui in gara può succedere tutto perché c’è rabbia, concentrazione eccetera, ma dopo si chiede scusa all’avversario se si è andati giù troppo forte, così a fine gara ho alzato il pantalone per vedere cosa avevo combinato e ho visto questa bolla enorme. Era un’ustione di secondo grado.
Non ho voluto chiamare i miei genitori perché avrebbe voluto dire non finire il campo. Quindi abbiamo preso la nostra bellissima sacchetta dell’infermeria da in fondo alla sporchissima cassa di squadriglia, con coltello e forchetta abbiamo bucato la bolla e abbiamo medicato.
Alla fine del campo, quando sono arrivati i miei, la medicazione era sporca di terra ed erba ma non ho più avuto problemi. Così sono riuscita a farmi il mio campo scout.
Ora (penso ai miei amati repartisti) alla prossima gara di cucina state attenti al fuoco e, se per caso vi ustionate, non operatevi con coltello e forchetta. Ma la grinta che questa storia mostra, unita alla semplicità con cui Bebe l’ha raccontata, mi ha fatto venir voglia di condividerla con voi.
Se volete conoscere di più Bebe Vio potete informarvi anche sull’associazione Art4Sport fondata dalla sua famiglia per favorire gli sport paralimpici in Italia.
Geco coinvolgente