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La sindrome del nonno pantofolaio

Con un grande salto di Akela, all’inizio di questo anno scout, ho lasciato la Giungla e sono atterrato nel villaggio degli uomini: la branca EG. Un cambiamento di servizio inaspettato, accompagnato da molte curiosità: che cos’è il reparto oggi? Quali competenze mi occorrono per abitare la verde avventura? I ragazzi di oggi sono come ero io, come erano i miei compagni di reparto? A queste e a molte altre domande ho cercato di dare una risposta in questi primi tre mesi di attività.
È stato inevitabile paragonare la mia esperienza di reparto, di squadriglia, in generale di relazione, con l’esperienza vissuta oggi dagli esploratori e dalle guide del reparto Orione. Non posso dire di aver risposto a tutto, ma posso comunque proporvi una prima serie di considerazioni.

I ragazzi sono cambiati: pare un’affermazione scontata, ma occorrono delle precisazioni. Siamo un po’ tutti vittima, noi capi, della sindrome del nonno pantofolaio: “Non c’è più il reparto di una volta! Ai miei tempi…”. Veterani di innumerevoli campi invernali, di Pasqua ed estivi ci sentiamo forti nell’affermare il primato del reparto di allora contro la mediocrità del reparto di oggi. Non posso avere certezze, ma credo che si tratti soltanto di una questione di prospettiva. Ora che siamo noi i grandi, i ragazzi ci sembrano davvero piccoli. I ragazzi sono cambiati perché è mutato l’ambiente che vivono e perché i capi non sono più gli stessi. Ogni peggioramento, se c’è, è da ricondurre a questi due fattori. Esemplifico: quando ero io in reparto WhatsApp non esisteva ancora ed oggi la dinamica dei gruppi, delle visualizzazioni senza risposta e degli status influenza decisamente il modo in cui i ragazzi si relazionano (ecco allora il compito della Staff: leggere il fenomeno, tenere ciò che di buono c’è, buttare il superfluo…); quanto al fattore capi possiamo dire con saggezza Bellottiana: la squadriglia è lo specchio del capo squadriglia, il reparto è lo specchio dei capi reparto (da qui si deduce che ogni staff ha uno stile, predilige aspetti diversi dell’avventura scout e quindi, in definitiva, lascia un’impronta diversa).
Quanto alle competenze richieste al capo (in particolar modo in branca EG), penso che non serva molto più di quel bagaglio minimo costituito dalle capacità e dalla tecnica dell’uomo dei boschi (che il capo avente una formazione scout dovrebbe già possedere). B.-P. stesso ci ha tranquillizzato su questo punto: “vorrei smentire il diffuso preconcetto che, per essere un buon capo, uno debba essere una persona perfetta o un pozzo di scienza” (Il libro dei capi, capitolo I). Oltre a questo, oggi più che mai occorre ricordare la competenza fondamentale, ben sintetizzata da una frase del Papa che costituisce il tema di questo numero di Tuttoscout: “essere costruttori di ponti”, cioè essere abili tessitori di relazioni, essere capaci di arrivare a tutti e specialmente ai più lontani, ai più soli, ai più deboli.
Carlo Maria

Cambiamento

Reparto Pegaso alla festa di apertura

Cambiamento: probabilmente la parola più adatta per descrivere questi ultimi mesi.
Dall’inizio della scuola superiore, quindi nuova scuola e nuovi compagni, agli scout, ma soprattutto il trasferimento. Cambio casa, paese e di nuovo scuola.
È stato abbastanza duro, ormai erano quattordici anni che vivevo in quel paese, in quella casa, il mio campo di atletica, un po’ conciato, ma ci avevo fatto l’abitudine e poi i miei amici, quelli che vedevo ogni giorno appena uscivo da casa, con cui ho condiviso tutto, dalle cose brutte a quelle belle.

La scuola, abitavo in un paese piccolissimo in cui ognuno sapeva tutto di tutti, sono sempre andata a scuola a piedi e invece quest’anno ho cominciato a prendere il pullman; a scuola adesso ci sono i ragazzi più grandi e a volte mi sono sentita e mi sento piccolissima. Riguardo all’indirizzo di studi che ho scelto penso ancora che sia quello giusto. Con i compagni di su ho subito legato, con questi ci ho messo un po’ di più perché ero ancora confusa da tutto quello che stava succedendo.
Atletica: come ho scritto prima ero molto affezionata al mio campo, un po’ conciato, vero, ma era il mio campo e avevo legato con tutti. Gli allenatori erano tutti molto in gamba e temevo che qui non fossero così, invece sono davvero bravi e a me sembra mi stiano aiutando e controllando molto.
Casa, la mia casa, anzi le mie case, perché praticamente vivevo nella casa di mia nonna ogni giorno, in quelle case ci ho passato tutta l’infanzia, inutile dire tutti i ricordi che ho e che sicuramente non dimenticherò.

Anche gli scout, cinque anni, non volevo abituarmi all’idea che tutto sarebbe finito, in fondo però sapevo bene che in qualche modo avrei continuato. L’ultima notte del campo ero disperata, pensavo che non potevo lasciare a metà il mio cammino, l’avevo iniziato e l’avrei dunque portato avanti, infatti la settimana prima dei passaggi mi è stata fatta un proposta che senza pensarci ho accettato, continuare almeno ai campi.
Un altro importante cambiamento avvenuto proprio agli scout, è stata la divisione del Bustotre; l’unica cosa che posso dire è che mi spiace, pur non essendo presente, vedere il solito “quadrato” più piccolo, manca anche il mio vecchio branco. So che è una storia complicata e delicata, ma penso, forse un po’ ingenuamente, che un modo per non arrivare a questa situazione ci sarebbe stato. Con questo non voglio dire che non rispetto questa decisione, ma continuo a pensare che, magari fra un po’ di anni, tutto tornerà come prima.

Il cambiamento porta a nuove esperienze, l’uomo ha paura delle cose nuove, di ciò che non conosce e anch’io adesso so che tutto quello che reputavo un “dramma” alla fine era solo paura e di una cosa sono certa: senza l’aiuto dei miei amici non sarei qui a scrivere, mi sono stati vicini, mi hanno fatto sentire che c’erano.
Alla fine il più grande cambiamento sono stati proprio loro: la paura di perderli non c’è più perché, vedendo che ci sono stati e ancora adesso continuano ad esserci, ho cominciato a credere che “se gli amici sono veri, restano per sempre”; sono piccola per un “per sempre”, ma questo pensiero mi rassicura.

Giorgia Maggiolo (Lepre lapidaria)