Archivi tag: Clan Kypsele

Una questione di scelte consapevoli

CLAN KYPSELE

Finalmente eccoci ritornati! È stato un lungo e difficile momento per tutti, ma ora siamo qui, più forti e decisi di prima a continuare la nostra avventura scout; e parlo per tutti: dai più piccoli ai più grandi.
Quanto è bello uscire di casa, entrare in sede e rivedere dopo tanto tempo questi volti familiari, che riconosciamo nonostante la mascherina? Quanto vi è mancato venire agli scout, fare attività e stare insieme? A me tantissimo. La prima volta che ci siamo trovati dal vivo dopo tutto questo tempo non potevo quasi crederci: ero contentissima. Figurarsi quando abbiamo deciso di fare la route! Ma di questo vi parlerò più tardi.
Adesso concentriamoci su qualcos’altro, qualcosa che ci ha sicuramente cambiati, si spera in meglio ovviamente: la quarantena. Altro che 40 giorni, questi sono stati 4 mesi davvero davvero strani, soprattutto per chi era abituato ad uscire giornalmente. Non penso che in molti siano stati felici di vedersi chiusi in casa senza poter andare al parco o dagli amici, addirittura senza poter andare a scuola, al lavoro o agli scout. Insomma, è stato un periodo di lontananza, ed anche sono sicura che non mancava pensare ai propri amici, soprattutto quando abbiamo tutti, o quasi, un telefono per chiamare e parlare come se fossimo vicino per davvero, penso non sia difficile rendersi conto che non è la stessa cosa del vedersi dal vivo, del battersi un 5 o dell’abbracciarsi, perché in questo periodo ci è proprio mancato il contatto fisico.
Se la quarantena mi è stata utile in qualche modo è proprio questo: mi ha fatto capire l’importanza dei piccoli gesti, di un sorriso, di un abbraccio, del tenersi la mano, del stare vicini anche se non si fa nulla… del dirsi queste parole che ormai si danno quasi per scontato, quali “Ti voglio bene.”, “Mi manchi.”, oppure anche solo un “Come stai?” ma chiesto col cuore e per puro interesse, non perché non si ha altro da fare, non per aspettarsi un semplice “Bene grazie, tu?”, ma per sapere davvero cosa prova l’altro.
Penso il lockdown sia stato tra i peggiori periodi che abbiamo mai vissuto. Certo, c’è chi l’ha passato meglio di altri, ma voglio farvi riflettere su una frase che ha detto il mio prof di italiano al rientro. “Ragazzi, per uno Stato chiudere le scuole è un grave segno di crisi: per dirvi, sono rimaste aperte anche durante la seconda guerra mondiale!”.
Ecco, questa frase, che magari a qualcuno non cambierà la vita, a me personalmente ha offerto uno spunto di riflessione. È come se la nostra quarantena fosse paragonata ad una battaglia, e forse lo è stata, in certo senso. Voglio dire, per fortuna non abbiamo usato armi, scavato trincee o combattuto fisicamente, però abbiamo lottato con tutte le nostre forze contro un nemico comune, anche se invisibile e stiamo facendo del nostro meglio per rispettare le norme di sicurezza che ci hanno comunicato, in modo da poter tornare il prima possibile alla normalità, anche se, ammettiamolo, sarà un po’ difficile.
Il virus è piombato tra di noi senza che ce l’aspettassimo, ci ha fatto soffrire ed ha ucciso molte persone, non ha fatto distinzioni: ha colpito e basta. Per questo è importante rispettare quelle poche regole che abbiamo: bisogna imparare ad essere responsabili degli altri e di noi stessi.
Ci ha fatto stare chiusi in casa, un po’ come i medievali nei castelli durante le guerre, non ci ha permesso di uscire e vedere i nostri amici e nemmeno il resto della nostra famiglia, ed in un certo senso ci ha lanciato una sfida, che noi abbiamo accettato e, tra alti e bassi, stiamo vincendo. Ci ha chiesto “Ce la farete?” e noi, sin dall’inizio, abbiamo gridato a piena voce, abbiamo scritto sui cartelloni, ed abbiamo riempito i social, abbiamo risposto di sì, “Ce la faremo!”. E, piano piano, ce la stiamo facendo davvero. Non erano solo parole buttate al vento, bensì una promessa a noi stessi.
A proposito di promesse: mi piacerebbe anche ricordarvi la nostra, perché a tal proposito il vecchio e caro BP ci ha lasciato delle belle parole: “Spirito scout è ricerca, voglia di cooperare con gli altri, desiderio di progettare e costruire, impegno per risolvere i problemi. È andare a vedere cosa c’è oltre l’orizzonte, verificare il senso delle cose, rendersi utili agli altri, entusiasmo e intraprendenza per “lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato”. È sfidare se stessi per divenire persone responsabili, attive, competenti, autonome. È stile di vivere secondo i valori della Legge e della Promessa.
Queste parole mi hanno fatta un po’ pensare anche al momento che stiamo vivendo, perché è proprio vero che scout lo si è sempre. Noi ci stiamo impegnando, stiamo facendo del nostro meglio e stiamo costruendo il nostro futuro attraverso tutto ciò che sta succedendo. Stiamo trasformando la nostra vita e cerchiamo di rendere il mondo un posto migliore. Per esempio: quante volte capita che qualcuno, a volte anche voi stessi, abbia richiamato un amico perché non aveva la mascherina in un posto dove è obbligatoria? Quante volte, se mentre entrate in un negozio e si dimenticano di misurarvi la temperatura, lo ricordate? Quante volte rispettate le norme anche se non sempre è semplice? E sapete perché siete portati a rispettare queste regole? Perché essere scout significa essere obbedienti, rispettosi e onesti. E, per quanto difficile, cercate di essere positivi e di attraversare ogni momento con il sorriso, perché lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà.
A proposito di queste ultime volevo raccontarvi come noi (noviziato e clan) ne abbiamo attraversata una bell’e grossa, ma che non ci ha abbattuti. Penso che pochi oltre a noi abbiano fatto il campo estivo e, credetemi se vi dico che organizzarlo e viverlo non è stato facilissimo, soprattutto dopo questo lockdown chiusi in casa. Ma sapete cosa? Noi abbiamo voluto provarci, e ci siamo riusciti. Abbiamo cercato di mantenere le distanze, tenere la mascherina, igienizzarci le mani spesso, ognuno aveva la sua tenda, il suo cibo, il suo fornellino… Non è stato semplice, però non ci siamo arresi, abbiamo lottato fino all’ultimo e siamo sopravvissuti lo stesso.
Mi ricordo che la prima volta che ho pensato alla route è stata in reparto, al mio primo anno, cercavo di immaginare come sarebbe stata, dove saremmo andati, cosa avremmo fatto… ma alla fine, diciamolo, avevo sempre un po’ di paura e tornavo a concentrarmi su altro. Ma questo anno no, non potevo scappare, era l’occasione che aspettavo da tanto e non volevo dire no proprio ora.
Ho passato le settimane prima a pensare a quei fatidici giorni, avevo ansia, ero nervosa, ma allo stesso tempo non vedevo l’ora: ero anche entusiasta! Ho comprato la tenda, il fornellino, ho preparato il menù ed infine lo zaino. Mi sono ripetuta tantissime parole, tutte d’incoraggiamento. La sera prima ho fissato la sveglia, ho dato un’occhiata rapida a tutto e sono andata a dormire, pronta per quest’avventura. Ma non poteva di certo andare tutto liscio come l’olio. Alla mattina della partenza mi era salita un’ansia tremenda, ero spaventata dall’idea di partire, di andare in route. Ho provato ad alzare lo zaino ma non ce l’ho fatta, ero ancora più disperata. Ma piangere non serve a nulla, così ho preso il telefono ed ho scritto a Klaudia, una mia amica, e le ho detto che non riuscivo ad alzare lo zaino, che pesava sui 20 chili, che avevo paura di non farcela… ed ecco la mia ancora di salvezza, il motivo per cui alla fine mi sono fatta coraggio. Non penso sia semplice spiegarvi cosa si prova quando si ha paura di non farcela, di non essere all’altezza di qualcosa, è una sensazione che per capirla va provata e, sinceramente, spero non vi capiti perché è davvero brutto. Ma la cosa bella di tutto ciò è quando trovi una persona che riesce a starti vicino ed a trasmetterti il coraggio di cui avevi bisogno, che ti dice “Non preoccuparti, io ci sono.” e poi c’è sul serio.
Quando le ho detto che avevo paura e le ho spiegato ciò che pensavo, lei mi ha risposto così: “Ti posso capire. Ma ce la farai, be positive! Nel caso stai davanti a tutti e teniamo il tuo passo, e quando hai bisogno chiedi a chiunque perché tra di noi ci si aiuta. Ricorda una citazione scout, <la fatica aiuta a crescere>. E dajee!”.
Questo è il tipo di messaggio che ti aiuta a rialzarti dopo una caduta, e leggere queste righe ti dà sul serio la forza di tornare in piedi e continuare a camminare. Perché è proprio quando toccate il fondo che dovete risalire e scalare la montagna, non lasciate che la paura vi sottragga ciò che è vostro di diritto.
Ah, quasi dimenticavo di raccontarvi del campo. Cos’è successo dopo?
Beh, siamo partiti in ritardo, si è rotto uno dei due autobus che ci avrebbe dovuto portare in un punto da cui iniziare la camminata, che si è magicamente allungata da 4 a 7 ore… ma, in compenso, devo dire che da quando siamo arrivati al campo le cose sono andate abbastanza bene, a parte qualche goccia d’acqua ogni tanto. Però va bene… inoltre il paesaggio non era niente male. Abbiamo iniziato subito in quarta, abbiamo svolto le nostre attività senza troppi problemi, ci siamo molto divertiti, abbiamo vissuto pure dei momenti un po’ più seri, abbiamo stretto amicizia e, purtroppo, anche salutato alcuni capi ed il don perché avrebbero terminato con quest’anno il loro servizio.

Alla fine devo dire che è stato davvero fantastico perché nonostante tutto siamo riusciti a vivere una bella esperienza. Ricordatevi che anche quando si cade e ci si fa male la cura è un sorriso ed il conforto di qualcuno che vi vuole bene. Non sarà stato il campo perfetto, però di sicuro è stato indimenticabile.

Ultima cosa, ma non per importanza: voglio raccontarvi un fatto accaduto ieri sera. Come al solito prima di un pernotto ci siamo trovati in riunione, ma questa volta c’erano anche dei visi che non conoscevo, tra cui una ragazza che ha condiviso con il clan la sua scelta di terminare il percorso scout. Cosa voglio dirvi con ciò? Vorrei condividere le parole che ha detto, perché sono state una lezione per noi, ma vorrei lo fossero anche per altri. Ha detto che tra i vari motivi in clan c’era un clima diverso, in cui era come se le cose andassero fatte perché si dovevano fare, non perché lo si voleva. Non voglio soffermarmi su certe questioni, quanto farvi rileggere questa frase per poi farvi una semplice domanda, ma che ha in sè un significato più profondo di quanto non dimostri. Le cose vanno fatte perché lo si vuole, perché ci si crede e perché le si desidera, detto ciò… perché siete scout?

Potete pensarci quanto volete, non pretendo certo una risposta. Però pensateci, perché è importante sapere i motivi per cui si fa una determinata scelta e si intraprende un determinato cammino.
Perché io sono scout? Ho fatto questa scelta perché voglio condividere i miei valori, voglio essere un’amica ed una compagna di viaggio e, un giorno, anche essere un esempio per gli altri.
Come conclusione penso che questo articolo, contenente più argomenti, si possa in realtà generalizzare con questa frase “La vita è una questione di scelte, e non si possono ignorare perché anche il non scegliere ha una conseguenza. Bisogna quindi ragionare e prendere una decisione consapevolmente”.
Penso di aver detto abbastanza, perciò vi saluto.
Buona strada,

Canarino Stravagante

19

È di nuovo route

CLAN KYPSELE

14

Il 7 luglio in riunione abbiamo deciso di metterci in gioco e organizzare la Route. Abbiamo deciso di salire in montagna all’Alpe Biuse in Piemonte. Perciò, il 1° agosto, dopo un lieve problema tecnico con la sveglia di una scolta, verso le sette siamo saliti sul pullman che ci ha portato a Cavaglio e, dopo aver camminato sette lunghe ore, siamo arrivati a destinazione carichi per questa nuova esperienza. Eravamo molto emozionati e gasati perciò ci siamo messi subito all’opera facendo una bellissima serata di cucina trappeur. Durante la giornata, mentre salivamo, avevamo un obiettivo: dovevamo tenere conto di una persona del clan scelta dalla sorte e aiutarlo/a nel momento del bisogno.
Il giorno dopo ci siamo svegliati e abbiamo fatto colazione tutti assieme. La pattuglia giochini ci ha deliziato facendoci fare una prova di “mister Kypsele”: cantare una canzone. Ci siamo cimentati in “Stand by me” (lo so che l’hai appena cantata!). Dopo con tantissima emozione e serietà, ci siamo dedicati ai nostri punti della strada: è stato un momento molto serio e importante perché si tratta del nostro cammino dentro il clan e nella vita. Il poterne parlare con i propri compagni di clan, averne un riscontro e dell’aiuto per raggiungere determinati obiettivi è importantissimo. Dopo aver pranzato abbiamo fatto una revisione della carta di clan spiegandone i valori importanti che ogni rover e scolta deve avere sempre nella propria testa. Per farne capire l’importanza ai novizi come tecnica abbiamo usato il dover rappresentare fisicamente il significato di ogni punto della carta di clan. È stato un momento molto bello, utile e importante perché oltre a far capire ai novizi il vero significato “aiuta anche il clan a seguire la retta via”.
Più tardi, abbiamo fatto un’attività riguardante “il proprio centro”, cioè praticamente bisognava scrivere su un foglio per ogni componente del clan un suo pregio o un suo difetto e dopo ognuno di noi con il proprio foglio doveva capire quali secondo lui sono gli aggettivi che “sono in superficie”, che si notano subito, e quelli invece che sono più nel mezzo, cioè che in pochi gli notano. Nel centro bisognava aggiungere l’aggettivo che ci rispecchia. È stata un’attività molto bella che mi ha fatto riflettere molto su di me i sui miei difetti, sul modo per migliorarli e progredire.
Un’altra attività da raccontarvi è questa: era a tema zombie e io con la mia pattuglia abbiamo ricreato un fantoccio che era così realistico che i giocatori si sono spaventati convinti che fosse una persona vera! In quel momento ero entusiasta al massimo.

I giorni sono passati in fretta, ma prima di tornare Kikko, Zio Malak, Sara, Don Claudio, ci hanno annunciato che non faranno più parte della nostra comunità. Eravamo tutti in lacrime e, fidatevi, mentre sto scrivendo queste righe lo sono ancora. Io e il Clan ci teniamo a ringraziarvi perché siete i pilastri del clan e sarà dura andare avanti senza di voi. Per questo vi ringraziamo dal profondo dei nostri cuori augurandovi “buona strada”!

Civetta perseverante

La bellezza di un piccolo gesto

Come definireste la gioia? Non parlo delle grasse risate che nascono da un battuta epica del nostro amico o dal ricorrente film comico di Aldo, Giovanni e Giacomo. 

No, vorrei parlare della gioia che nasce dalla semplice condivisione di storie, pensieri e azioni tra singoli individui; parlo della gioia che si può respirare solo osservando l’apertura di una persona verso un’altra, pur non avendo alcun legame apparente. 

Questo è solo uno scorcio del servizio che abbiamo svolto di clan qualche sabato fa, presso “Ca’ Nostra di Cornaredo”, una casa alloggio per malati di AIDS. Gli ospiti non hanno punti di riferimento familiari o abitativi o si trovano in condizione di non poter essere assistiti dai loro familiari: la struttura mira al miglioramento delle condizioni e della qualità della vita degli ospiti, riferito non soltanto agli aspetti fisici o psichici, ma anche al recupero della dignità personale e quindi anche nell’ambito esistenziale (aspetti sociali, etici e spirituali).

 

Innanzitutto c’è da dire che un incontro del genere ha avuto un grande riscontro sulla nostra crescita personale, in particolare per quanto riguarda la disinformazione legata ad AIDS e HIV. La casa alloggio è stata fondata negli anni 80, in un periodo in cui dell’AIDS non si sapeva ancora molto e questo generava paura e sicuramente un atteggiamento ostile. Oggi c’è molta più informazione riguardo la malattia, i diversi aspetti che la concernono e fortunatamente non si pensa più (almeno nella maggioranza della popolazione) a coloro affetti da questa malattia negativamente, come a qualcosa di infettivo e quindi da evitare. 

Non è tuttavia qualcosa che va dato per scontato: è importante continuare ad abbattere questi pregiudizi ed essere testimoni di nuove realtà ed esperienze. 

 

E non è difficile farlo! In un semplice pomeriggio di febbraio siamo riusciti a creare un bell’ambiente con i 9 ospiti della casa e gli educatori presenti, semplicemente sfruttando qualche gioco tipico di un bivacco scout, qualche canzone con le chitarre e una bella sfilata di moda. 

Queste persone si sono presentate a noi nella loro purezza, mostrandosi come libri aperti e  accogliendoci come fossimo amici di lunga data. 

Uno di loro ci ha fin da subito mostrato la sua grandissima dote da poeta, recitandoci nel corso della giornata almeno 15 poesie scritte di suo pugno nel corso degli anni (e ve ne sono molte di più!). Una che ci ha colpito particolarmente si chiama “L’amore è immenso” e recita:

Immenso è l’amore,

se dolce come il polline di un fiore.

Immenso è l’amore,

se nasce dal cuore.

L’amore solo immenso se la propria umiltà

e dovere lo si porta dentro.

Immenso è l’amore, perché tutto ha una ragione.

 

“Immenso è l’amore” che ci è stato trasmesso nell’arco della giornata passata con queste persone stupende e piene di storie ed esperienze che hanno condiviso con noi. 

Non penso si possa quantificare la ricchezza di questo incontro, tanto per noi quanto per loro, che hanno espresso e trasmesso la loro gioia in tutti i modi possibili: 

“Grazie per essere venuti, vi voglio bene”; cosi ci hanno salutato e si è conclusa la nostra esperienza di servizio. Non sempre si è abbastanza forti per ricevere un ‘grazie’ di tale portata detto da persone estremamente sensibili e che hanno la tenacia di tenere testa ad una malattia. 

Proprio come uno dei punti della legge scout cita e cioè che ‘la guida e lo scout sorridono e cantano anche nelle difficoltà, tutti siamo stati in grado, grazie a questa esperienza, non solo di guardare il mondo da un’altra prospettiva, ma di trovare la bellezza nelle piccole cose che se assaporata rende trascurabile ogni avversità.

 

Mangusta sgargiante

Donnola fidata

Ocelot creativo

Cerbiatto loquace 

Ermellino sognatore

Tigre meticolosa

Civetta perseverante

Rinoceronte caparbio 

Upupa alacre

Panda rosso affidabile

Geco versatile

Gufo irreprensibile

Ci vediamo dall’altra parte

Il 16 febbraio è toccato anche a me scegliere. Decidere di prendere la partenza non è così facile come sembra perché serve capire davvero cosa si vuole fare della propria vita arrivati ad un certo punto. Ecco perché ho deciso di mettere la lettera che ho scritto al clan per far capire cosa per me ha significato prendere la partenza.

Caro Clan,
è strano essere qui in mezzo ai capi a leggervi la mia lettera. Non credevo che questo momento sarebbe arrivato così presto, nonostante siano passati quattordici anni da quando ho varcato il cancello della sede per la prima volta. Non mi sarei mai aspettata che gli scout diventassero così importanti nella mia vita: mi ricordo ancora come se fosse ieri quando ho chiesto alla mia Arcanda se agli scout si dormiva fuori senza genitori e lei mi ha risposto di sì. Ecco, quello è stato il momento in cui ho realizzato che da qui non mi sarei mai più mossa. Grazie ai miei capi delle Coccinelle (sì, vado fiera di essere stata una Coccinella!), che mi hanno accolto a braccia aperte, ho capito cosa volesse dire veramente la parola “Eccomi”.
Ma come tutte le avventure, anche questa è arrivata al termine e alla fine di un percorso vanno sempre prese delle decisioni che indirizzeranno la tua vita in futuro. Da quando sono entrata sapevo già come sarebbe andata a finire: non posso andarmene senza prima aver dedicato del tempo agli altri. Ecco perché ho deciso di rimanere in Associazione: ho voglia ed energia da dare a coloro che stanno muovendo i primi passi all’interno di questo mondo che a me ha cambiato la vita e vorrei essere al loro fianco per poter scoprire tutto quello che ancora non so proprio come dice la canzone “è adesso il momento di dare il meglio a viso aperto”.
Il lavoro che vorrò fare da grande mi porta a prendere un’altra decisione fondamentale per il cammino di partenza: quella di essere un buon cittadino e fare di tutto per poter “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato”. Sì, perché facendo l’insegnante avrò la possibilità di insegnare a coloro che saranno i miei alunni cosa vuol dire il rispetto per il mondo, la sua cura e soprattutto tutti quei piccoli gesti che potremmo fare anche noi nel nostro piccolo.
La scelta di fede invece è stata quella più complicata ma ho ricevuto un grande aiuto in un evento a cui ho partecipato e in cui ho lasciato un pezzo di cuore: la ROSS mi ha fatto capire che la fede non è solo dentro un momento prestabilito e inscatolato ma la si vive in ogni momento. Per me si può definire come un luogo in cui andare con la mente per cercare di trovare un momento di pace, un momento per ragionare sulle scelte prese, sul tempo vissuto e cercare un dialogo vero con Dio.
Eccomi qui allora, al momento in cui finisce la mia vita da educanda e inizia quella di educatore. Sicuramente non sarà tutto rose e fiori ma proverò a dare il meglio di me e a vivere appieno tutti i momenti che arriveranno. Mi è stata data la possibilità di vivere tutto ciò dalla mia famiglia che devo ringraziare di cuore per avermi sostenuta nell’andare avanti e non mollare mai.
Dopo di loro c’è una marea di gente a cui devo molto: grazie ai miei capi clan che, nonostante tutto, mi hanno accompagnato fino a questo momento dandomi anche l’opportunità di partecipare alla ROSS, nella quale ho conosciuto delle persone stupende che porterò sempre nel cuore. Grazie a tutte le staff in cui sono stata come scolta, per avermi dato la possibilità di mettermi in gioco, sbagliare ed essere corretta in modo da diventare un buon educatore.
E infine grazie clan: grazie ad ognuno di voi per avermi permesso di condividere un pezzo della mia vita con voi e di esserci stati quando più ne avevo bisogno. Spero di avervi lasciato una briciola di me tanto quanto voi ne avete lasciate a me. Dico solo una cosa ad ognuno di voi: ci vediamo dall’altra parte!
Buona Strada,
Giulia Rossetti Colibrì solerte

Credete in voi stessi e fidatevi di chi vi sta accanto

“Accogliere con gioia”. Quando mi è stato presentato il tema di questo tuttoscout mi si sono prospettate due idee: o mandare alla redazione la mia lettera della partenza (opportunamente riadattata per non farla sembrare proprio una copiatura…) o scrivere un articolo inerente all’argomento ma senza partenza.
Ho scelto invece di spiegare perché secondo me “accogliere con gioia” è stato un po’ il motivo per cui sono finita a prendere la partenza.
Sono stata accolta con gioia dai miei genitori, che mi hanno fatto conoscere questa splendida avventura che è lo scautismo e che sempre con la stessa gioia del primo momento hanno perseverato nella convinzione che fosse il tipo di educazione di cui avevo bisogno.
Mi hanno poi accolto i miei vecchi lupi così come ero, con il mio carattere, le mie insicurezze e i miei difetti. Con gioia mi hanno accompagnato negli anni del branco, sapendo che in quel momento stavano facendo giocare una bambina, ma che quella stessa bambina poi sarebbe diventata grande.
E così i miei capi reparto, poi i miei capi clan: mi hanno accolta così come ero, senza la pretesa di plasmarmi ma con la voglia di fare di me non solo una brava persona ma anche una buona cittadina. E questa è una cosa che riempie di gioia me.
Mi hanno accolto con gioia tutte le persone che ho incontrato sul mio cammino, da quelle che ho visto per magari solo qualche uscita a quelle con cui condivido anni di avventure e amicizie.
Accogliere con gioia nell’amicizia e tra pari non è scontato, o quantomeno non è scontata la gioia.
Forse lo dico perché mi è stato inculcato sin da piccola (“il lupetto vive con gioia e lealtà” o “sorridono e cantano anche nelle difficoltà”), ma credo che in realtà sia il modo più autentico con
cui vivere le relazioni, ci piacciano o non ci piacciano.
E così -per tornare da dove sono partita- l’accogliere con gioia è stato un modo per vivere il mio cammino di partenza.
Per chi non lo sapesse o è rimasto indietro, la partenza prevede tre scelte: politica, di servizio e di fede.
Probabilmente sembrano abbastanza scontate, ma anche qui il segreto è stato scegliere accogliendo con gioia quello che sarebbe venuto.
Non nascondo che il cammino verso lo scegliere è stato costellato da dubbi e anche momenti di sconforto, ma adesso mi rendo conto davvero che se si è convinti delle scelte fatte significa che si è accolto il rischio e con gioia si è accettato quello che sarebbe arrivato. Posso umilmente dire che io ho fatto così (certo qualche incertezza l’ho ancora, ma è normale).
Quella che forse mi ha messo più in crisi è stata la scelta di servizio. Ho guardato a Dio per sapere cosa fare, e dal suo esempio ho capito che volere il bene del prossimo è sempre la scelta giusta e che per fare questo nel mio caso dovevo diventare da educanda educatrice.
In questo senso ho accolto con gioia questa sfida, perché nonostante i dubbi credo che la gioia che sapranno darmi i ragazzi sarà quella che mi insegnerà a farli crescere.
Come ho anche concluso la lettera della partenza -e qui sì che la cito!- suggerisco a tutti coloro che non conoscono la gioia dell’accogliere, di credere. Credete in voi stessi e fidatevi di chi vi sta accanto. Solo così potrete diventare prossimo per gli altri, perché sarete in grado di accoglierlo con gioia.
Anna Balossi
Gazzella Loquace

Una promessa cucita sul cuore

12 gennaio 2019 – Venegono Superiore

“Ciao Clan! Vi parlo finalmente anche io da questo particolare pulpito.
Riflettendo sul mio percorso scout, come si suole fare in questa occasione, sono riuscita a trovare solo una parola adatta a descriverlo: INCREDIBILE. Incredibile, ma proprio nel significato di in-credibile: difficile, quasi impossibile da credere. Sembra sempre retorica ma fatico, davvero, a credere di aver trascorso circa 560 weekend con, se al freddo, mio malgrado, i pantaloncini corti. Fatico a credere, e quasi mi spaventa, a quanto gli scout abbiano contribuito a rendermi la persona che sono ora, lo trovo davvero provvidenziale. Sarebbe per me poco credibile, diffiderei senza dubbi, se qualcuno mi raccontasse di aver toccato con le proprie mani l’Amore. Eppure, mi sento proprio così fortunata, mi sono resa conto di quanto sia incredibilmente tangibile l’amore che ho ricevuto fin da quando, alta appena più del mio zaino da pernotto, ho fatto la mia Promessa. Ho assaggiato la dolcezza con cui venivo consolata per tutte le pallonate che prendevo in faccia da piccola, la dolcezza di chi mi teneva la mano ai pernotti quando non riuscivo a dormire. Ho annusato l’odore, direi anche puzza, degli abbracci a fine campo o route, quelli che vengono da un ascolto sincero. Ho visto negli occhi di tutti i miei capi l’attenzione alla mia progressione personale, alle mie conquiste nella vita di ogni giorno. Ho ascoltato le parole di consolazione nelle mie innumerevoli crisi di pianto quando pensavo che le cose non stessero andando per il verso giusto. Ho toccato l’Amore. La gratuità con cui i capi si sono sempre dedicati alla crescita mia e di tutti i compagni con cui ho condiviso la strada, è per me il Miracolo del servizio.
Ed è qui che subentra la contraddizione: la mia scelta extra associativa. Mi è spesso venuto il dubbio di stare venendo meno alla Promessa che esibisco da sempre, di stare deludendo le aspettative di quanti immaginavano di vedermi con il fazzolettone quadrato ogni weekend. Mi sognavo anche io così, da sempre. Ma poi penso a quello che ho promesso: di fare del mio meglio, compiere il mio dovere verso Dio e il mio paese, di osservare la legge scout. Mi soffermo sul mio dovere che so essere quello di fare il mio, di cambiare il mondo ogni giorno. Come? Non ho dubbi: portandomi dietro la grande valigia che lo scoutismo mi ha riempito di competenze (a volte non troppo competenti), valori da trasmettere, bans e giochini da insegnare, aiuto da dare. Sento dentro che il mondo scout non è più il mezzo con cui il mondo voglio cambiarlo, pur sapendo benissimo quanto sia fondamentale nell’educazione dei ragazzi, avendolo vissuto in prima persona. Voglio farlo, ad ora, in Croce Rossa, in attività che coinvolgono i migranti che, come ricorderà il mio noviziato, sono da sempre per me fonte di grande arricchimento e dove riscontro un concreto bisogno di aiuto che un servizio (e chissà, magari un giorno, un lavoro) deve andare a colmare. Prometto di testimoniare dovunque faccia servizio il Miracolo che ho vissuto in prima persona.
Sulla mia fede piazzerei un bel “work in progress”: so però dirvi con certezza quando trovo Dio: trovo Dio nei momenti in cui la testa tace e l’emotività parla. Lo trovo nell’empatia che provo verso qualcuno in difficoltà, in tutti i legami che stringo, nel sorriso che scambio con uno sconosciuto. E poi ancora nelle cose che non so spiegare, nell’ordine che tutti cerchiamo per contrastare il caos che vediamo e che abbiamo dentro. A questo Dio ho imparato a dare il nome di Gesù, in cui vedo il paradigma della forza e della rinascita quando si è incastrati nella difficoltà e nel dolore. […]
Un’ultima cosa vorrei dire, a ciascuno di voi come singolo; dal viaggio che ho fatto quest’estate e da quando ho scelto di prendere la partenza ho quanto mai riflettuto sul fatto che la vita è mia e di nessun altro. Voi direte: ma quante ne sai?! So che è chiaro a tutti, ma capita secondo me troppo spesso di darlo per scontato e di vivere non guidati da qualcun altro, ma in balia di scelte e decisioni che neanche appaiono tali, cose che è ovvio che si facciano, che è normale fare, che tutti fanno. Neanche ci si accorge di vivere facendo delle scelte ogni minuto. E invece è così, ogni frammento della nostra giornata è una scelta, ogni cosa che non ci piace più può essere cambiata, ogni cosa che desideriamo può essere inseguita; bisogna essere incisivi, farsi spazio, dare la propria personale impronta alle cose. Quindi, è quanto mai importante mettere da parte la paura e la pigrizia, alzarci dal divano, fare cose concrete, essere protagonisti.
Vi saluto con tanto affetto e anche con un bel nodo in gola (sempre che io non stia già piangendo dalla terza riga), preoccupata per quanto il mondo scout, il MIO mondo da che ne ho memoria, mi mancherà.
Buona strada!”
Stento a crederci: il mio ultimo articolo sul Tuttoscout, che è stato, a volte mio malgrado, il portavoce di molte avventure che ho vissuto, nei lupetti, in reparto e in clan. Non ci crederete ma davvero ricordo il mio primo articolo, l’impegno che ci misi nella descrizione di un pernotto di Branco, rassicurata dall’unica direttiva che mi era stata data: concludere il pezzo con il canonico ma quanto mai vero “NEL CUORE PER SEMPRE TIKONDEROGA”. Adesso direi piuttosto un “nel cuore per sempre Busto 3, famiglia di via Pepe”, consapevole che troverò sempre le porte di casa aperte.
È la mia corsa di primavera, come qualcuno mi ha sapientemente suggerito. Lascio un pezzo di me, ma ho una promessa cucita sul cuore.

Banda Elena, Oribi emotivo

Caro capo ti scrivo

Caro capo, mi ritrovo qua, organizzatissimo come al solito, a scrivere qualcosa per scout: una volta è la lettera della partenza, un’altra l’articolo del Tuttoscout…
Proprio la partenza dovrebbe essere il tema di questo articolo. Ho pensato abbastanza a cosa scrivere, ma ero in difficoltà. Ho letteralmente l’imbarazzo della scelta. Ad una certa ora mi è venuta in mente cosa dire, ma ci arriviamo con calma.
Tu caro capo sai perfettamente, più di me perlomeno, che cosa sia la partenza. Non voglio scrivere un trattato su cosa sia filosoficamente la partenza, anche perché sarebbe un articolo abbastanza scarso, vorrei tuttavia dire qualcosina. Cercherò di essere breve, per quanto il mio essere prolisso consenta.
La partenza è un momento del proprio cammino scout nel quale si è chiamati ad effettuare una scelta. Ognuno decide quando prenderla, ma soprattutto, se prenderla.

“Fece una scelta di umile uomo: Fede, Servizio e Comunità”
(Lungo la Strada)
La Partenza si articola in tre scelte: la Scelta Politica, quella di Servizio e quella di Fede.
Lascerò a te, caro capo, spiegare bene ai prossimi Rover e Scolte che cosa sia-no queste, vorrei dire oggi qualcosa in particolare sulla Scelta di Servizio.
Il servizio non è volontariato, non è solo questo perlomeno. “Servire” significa dedicare del tempo ed energia per gli altri e non per sé stessi. L’obiettivo è il bene dell’altro e non il ritorno che avremo. Fare servizio significa aiutare una persona in difficoltà senza che lei ti ringrazi o che ti manifesti affetto o gratitudine.
Nel cercare di capire che cosa fosse il servizio non posso che menzionarti, caro capo. È questo il punto dell’articolo. Mi sono reso conto che sei l’Esempio di servizio più importante ed efficace che io abbia. Un esempio che non è solamente una citazione “a titolo esemplificativo”, ma un esempio da seguire.
Caro capo, so che non è stato facile starmi dietro in questi anni. I momenti di tensione, di incomprensione, di difficoltà, ci sono stati, è indubbio. È disarmante però vedere che eri lì, nonostante non ascoltassi, non scegliessi, fossi in ritardo, non portassi a termine gli impegni, croci comprese. Con questo non voglio dire che sei perfetto: penso di avere ancora ragione in alcuni, se pur pochi, casi. Nonostante ciò tu però c’eri, questo conta. Eri sempre pronto nonostante fosse estremamente difficile ottenere la nostra fiducia, essere rispettati, saper comunicare etc. etc.
Magari ciò che facevi non era palese ai nostri occhi, tu però lavoravi comunque per noi, lo so.
Per comprendere l’essenza del servizio credo che sia necessario essere disposti a fare qualcosa che non piace ma che serve.
Le soddisfazioni immediate del servizio sono sicuramente una grande risorsa che ti aiuta nella tua attività ma non è il requisito essenziale della partenza. La scelta di servizio non si basa su quanto sia divertente e appagante farlo. Questa si basa sul voler aiutare l’altro. Il venir meno del “piacere di prestare servizio” non deve intaccare le tue scelte. Certo, nessuno dice che sia facile, ma abbiamo scelto noi di essere qui.
Tanta fatica e “poche soddisfazioni”. Questo rapporto credo che raggiunga il massimo peso nel servizio in clan. Bada bene, non intendo dire che il servizio in clan sia più difficile di altri, ogni servizio ha le sue difficoltà e non c’è una gerarchia tra queste, penso però che la mancanza di soddisfazioni “quotidiane” sia una caratteristica che raggiunge la massima dimensione quando si è capi R/S.
Questa mancanza io non l’ho ancora vissuta, un po’ mi spaventa. Ritengo però di essere pronto per affrontare questa sfida. Scelgo di esserlo.
Caro capo, vorrei dirti così GRAZIE. Lo faccio a modo mio: in ritardo, in maniera disordinata e confusa, ma sono sicuro che tu mi abbia capito.
Sono carico per affrontare questa nuova sfida che è la partenza: essere un buon cittadino.
I dubbi ci sono, le difficoltà arriveranno, gli esempi da seguire rimangono.
Grazie. Buona Strada.

Canguro Amletico

Ho scelto di partire

“Eccomi qua, davanti a tutti voi, pronto per partire, dopo dodici anni con il fazzolettone al collo. E’difficile descrivere con una lettera questi anni, le migliaia di esperienze vissute, le persone conosciute e quelle con cui ho condiviso un pezzo del mio percorso (più o meno grande), penso quindi che iniziare ringraziando tutti sia la cosa migliore.”
Così inizia la mia lettera della Partenza, che ho letto davanti a tutto il clan e agli ospiti presenti, sabato scorso 24 novembre al Campo dei Fiori. Anche dopo una settimana, ragionando a mente fredda su tutto quello che ho scritto nella lettera, resto convinto che la cosa migliore sia stata ringraziare tutte le persone che ho incrociato sulla mia strada, chi per qualche anno e chi anche solo qualche minuto, se sto scrivendo queste parole è anche grazie a loro.
La scelta di prendere la partenza non è stata semplicissima, è partito tutto da un cammino di partenza durato circa un anno che si è concluso con la consapevolezza di voler Servire, di voler essere testimone, di voler “aiutare gli altri in ogni circostanza”; motivo per cui ho scelto di continuare il mio percorso all’interno dell’A.G.E.S.C.I. La cosa più difficile però è stata lasciare il gruppo che ormai si era creato con i miei compagni di Clan, un gruppo di amici con cui ho condiviso esperienze, momenti di allegria, di gioia e stupidità; momenti in cui abbiamo fatto fatica, ci siamo aiutati, non abbiamo mollato anche se tutto sembrava contro di noi, e quando magari mettevamo insieme queste due cose, come mentre andavamo verso Venezia in kayak, ci siamo fermati nel fango, sotto al diluvio, sul bordo di un canale, e ci siamo messi a cantare a squarciagola, perché noi siamo scout, e ridiamo e cantiamo anche nelle difficoltà… ecco, credo mi mancherà tutto questo…
Concludo augurando a tutti Buona strada e con la speranza di poter lasciare, durante questa nuova avventura all’interno del nostro Busto 3, quanto i miei capi hanno lasciato a me in questi dodici anni.

Tommaso

Niente di speciale… o forse sì?

Venerdì scorso in università, mentre cercavo di spiegare a una mia compagna per quali ragioni lo scoutismo – e la mia partenza – mi assorbissero a tal punto da portarmi a saltare le lezioni pur di trovare il tempo necessario da dedicargli, mi sono trovata in difficoltà. Il fatto è che mi sono ormai abituata a giustificare i pantaloncini corti con la neve e con il sole, l’assenza di ombrelli anche con il diluvio universale, le “vacanze estive” passate a fare scarpinate di 10 ore avendo come unico carburante le canzoni della Disney e beh, sì, anche un po’ di Polase.
- “sì, sì quasi ogni domenica ci alziamo presto per andare a messa, sì riesco a trovare il tempo per studiare e, ok, una volta mi è capitato di cagare nei boschi, ma non è questo il punto!”
Eppure la mia amica, non si accontentava di risposte preconfezionate a domande cariche di pregiudizi, no lei voleva capire il mio mondo!
Niente da fare: 5 anni di liceo classico, lacrime e sudore versati sul greco e il latino non sono serviti a fornirle una risposta convincente!
Lo scoutismo è una fetta consistente della mia vita, niente di meno e niente di più; è parte della mia essenza, come lo sono il cioccolato fondente o l’odio per il colore giallo. Questo discorso – o almeno la prima parte – credo sia condivisibile da voi, miei colleghi del clan e miei lettori che suppongo abbiate un qualche legame con il mondo scout; ed è proprio qui che sta l’inghippo: come spieghi qualcosa che è così intrinsecamente parte di te che quando provi a delimitarla in un’area precisa ti trovi a non sapere chi saresti senza quella parte?
Prima degli scout ero una bambina spaventata dal mondo a tal punto che nel dubbio se affrontarlo o meno mi rinchiudevo in libri di 1000 pagine- bellissimi per carità, ma anche la realtà ha il suo perché, come ho scoperto quando la mia saggia Akela, mi ha convinta che forse, lasciando i libri a casa, mi sarei divertita ancora di più. Così, la bambina timida, senza rinunciare del tutto alla sua fantasia, ha iniziato i lupetti, nonostante una prima uscita traumatizzante al Sacro Monte. Di uscita in uscita, è cresciuta sino a diventare una ragazzina brontolona e incazzata con tutti. Sì certo tutti, ma le sue amiche del reparto in realtà sapevano come renderla felice quasi quanto un tè caldo dopo una giornata sotto la pioggia (rigorosamente in calzoncini corti). In noviziato poi, la “famiglia” che si era creata in reparto, si è allargata per poi crescere ancora in clan, dove ho iniziato a intravedere i principi dietro allo scoutismo.
Ed eccomi qui.
Il 03/09 di quest’anno sono stata trascinata, più o meno controvoglia, a un concerto gratuito dello Stato Sociale, e, si sa, di solito se non si conoscono le canzoni il divertimento non è alle stelle; con questa prospettiva di serata, una canzone mi ha commossa. Oggi penso perché cattura perfettamente cosa lo scoutismo è, ed è stato per me in questi anni.
Infatti all’inizio recita “non è sognare che aiuta a vivere, è vivere che deve aiutarti a sognare”, sostanzialmente la prima lezione che Chiara-lupetta ha ricevuto dalla sua Akela, poi continua: “come faccio a dirti che non mi piace il tuo tenermi nascosto agli occhi del mondo, quando è il mondo che non sai guardare?”, che rappresenta esattamente quello che, se lo scoutismo fosse una persona, mi avrebbe detto in reparto, quando mi vergognavo di definirmi scout con i compagni delle medie. Poi prosegue: “vorrei una domenica pomeriggio per ogni lunedì che non ho saputo iniziare, ma siamo una storia che non si può dire, non abbiamo niente di speciale, non fosse che io ho paura di crescere”, però “non scegliere è scegliere di subire” e “ogni volta che scegli, scegli il tipo di schiavo che non sarai” ed è qui che descrive come mi sento adesso: sul punto di crescere, di scegliere, l’unica cosa che mi sento di chiedervi è di “tenermi le mani e tenervele a vicenda, potrà capitarci di bere, ma non annegheremo”. Tutti questi insegnamenti e molti altri che ora l’emozione non mi consente di esprimere se non con parole di altri, mi hanno portato a fare dello scoutismo e del servizio la mia scelta di vita; i giorni in cui non mi presentavo come scout sono finiti e con loro la paura di crescere, sbagliare, cadere, annegare, rialzarmi, semplicemente vivere non mi paralizza più. Concludo incoraggiando tutti voi a seguire sempre i vostri sogni, senza perdere il contatto con la realtà e sapendo sempre che avete la comunità scout su cui poter fare affidamento, e questo credo sia il dono più grande dello scoutismo – che però va coltivato: una famiglia.
Buona Strada a tutti voi.
Chiara Sidoti
(Ornitorinco Shackerato)