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L’accoglienza non è una pratica di assistenzialismo ma una festa

L’accoglienza è un tema scomodo e molto discusso in questi tempi e l’analisi delle varie parti politiche e sociali spesso risulta essere oltre che parziale insufficiente.
Per comprenderne meglio l’essenza è sufficiente partire da una semplice constatazione. L’accoglienza sta alla radice del nostro essere uomini e donne in questa terra. Fin dalla nascita ognuno di noi è stato accolto dai genitori e come figli abbiamo accolto i nostri genitori nel progetto della nostra vita. Non abbiamo scelto quella mamma e quel papà, eppure li abbiamo accolti e loro hanno accolto noi e tenendoci fra le loro braccia hanno percepito che eravano – molto più e molto altro – rispetto dall’immagine che si erano creati di noi. Accogliere dunque è scoprire l’altro.
Se partiamo da qui comprendiamo subito come ogni momento della nostra vita personale è in realtà caratterizzato dall’accoglienza e pertanto l’accoglienza non è una pratica di assistenzialismo come ce la vogliono vendere opinion leaders e politici (accolgo il povero, l’indifeso, il derelitto, perché ho di più, perché sono più fortunato, perché sono il buono) ma è una cifra che fa parte del nostro essere umani.
L’accoglienza dunque sta alla base delle relazioni che ogni giorno creiamo. Accogliere chi ci assomiglia, che vive nello stesso contesto, che condivide stile e tradizioni simili o uguali alle nostre è facile, talmente facile che lo diamo per scontato, che non ci sembra nemmeno di farlo. Eppure ne siamo esperti.
Oltre ad una scoperta l’accoglienza può esser una provocazione, perché quando accogliamo non è sufficiente fare affidamento al nostro ruolo o alla nostra competenza (figlio – genitore, educando – educatore, caposquadriglia – guida / esploratore…), ma dobbiamo metterci in gioco completamente, con le nostre debolezze e dobbiamo lasciare che anche l’altro ci accolga e accettare anche che l’altro possa decidere di non accoglierci.
Dobbiamo fare i conti con la possibilità che chi troviamo di fronte possa non condividere il nostro pensiero e la nostra cultura. In questo caso non è certo facile ma dobbiamo lasciarci guidare dalla consapevolezza che “Non si cresce solo tra chi ci assomiglia” (cit). Al contrario, maturità e crescita si basano sullo scontro e incontro di idee e pensieri differenti.
Come Scout e come Cristiani mi piace pensare che possiamo anzi che dobbiamo “fare la differenza” anche in questo. Dobbiamo rendere il nostro accogliere un atto di gioia e d’amore.
Basta pensare al modo di accogliere che sperimentiamo fin dal primo giorno in cui arriviamo in Colonia, Branco, Reparto… caratterizzato dalla felicità, espressa con canti e balli, abbracci e risate.
Questo è per me il giusto modo di accogliere. Una grande festa. Come quando nasce un bambino, come ad un matrimonio, come quando rivediamo un parente o un amico dopo tanto tempo, come Gesù che venne accolto a Gerusalemme dalla folla che lo acclama come Re, agitando fronde e rami presi dai campi.

Sara

Co.Ca. – La catena del bene

Ci sono tanti enti in cui potrei fare volontariato: l’asilo, l’oratorio… ma ho deciso di fare il capo scout inizialmente perché me l’ha chiesto un’amica. Questo è importante perché dimostra che lei ritiene che io possa dare qualcosa al prossimo e ciò mi ha portato a pensare: “perché non lo devo fare se altre persone prima di me l’hanno fatto? Se altri hanno dato a me?”. Voglio restituire quello che ho avuto.
Se avessi scelto di non fare il capo scout avrei stoppato una catena, come quella del film “Un sogno per domani”, in cui un bambino fa opere di bene al prossimo chiedendo in cambio dei favori per altre persone. Tutto nasce dalla domanda chiesta in classe dal suo professore di scienze sociali: “Cosa vuole il mondo da noi?”.
Attraverso questo film mi sono posta anch’io questa domanda: cosa il mondo vuole da me? A questa domanda non ho ancora risposto perché sono appena all’inizio del mio incarico di responsabilità. Ma ciò che so è che devo tramandare un bagaglio che mi è stato donato.
Giraffa Inarrestabile

Ti serve una pacca sulla spalla, Charlie Brown!

Novembre è finalmente arrivato, ed ha portato con sé un cielo quasi sempre plumbeo e raffiche di freddo che solo i più coraggiosi, o i meglio coperti, si azzardano ad affrontare.
Ma non tutto è perduto, se infatti le avventure fruibili all’esterno diventano meno numerose per via del clima freddo, ecco che vengono in nostro soccorso le avventure create dalla fantasia, sotto forma di un buon libro o, perché no, di un nuovo film in uscita che la pubblicità preme a non farci dimenticare.
Questo mese pare infatti particolarmente ricco di titoli che avranno sicuramente forte presa sul pubblico, come i nuovi film di Hunger Games, James Bond, il nuovo film della Pixar coi dinosauri, e tutto questo senza scomodare il gigante “Star wars: episodio VII” in uscita a Dicembre.
Tra tutti questi film, però, uno in particolare ha stimolato la mia attenzione e la mia curiosità, cioè il film dei Peanuts.
Che, per quelli forse più giovani che non lo sanno, non sono delle arachidi ma bensì il nome collettivo col quale ci si riferisce a Charlie Brown, Linus, Lucy Van Pelt, Piperita Patty e naturalmente il turbolento bracchetto Snoopy.
L’elemento che più mi preoccupa, di questo lungometraggio che sembra ruotare attorno alla figura di Charlie Brown, è che il bambino protagonista possa… vincere.
Non fraintendetemi, non provo uno strano, sadico piacere nel vedere il giovane padrone di Snoopy fallire, ma la verità è che il forte del personaggio di Charlie Brown, quello cioè che gli ha permesso di conquistarsi un cantuccio fisso nel cuore di milioni di lettori, e che rende così facile immedesimarsi in lui è proprio questo: il fatto che debba sempre rapportarsi con la sconfitta, come spesso è capitato di dover fare anche a noi. Con però l’immancabile appendice, piccola ma fondamentale, che Charlie Brown non si arrende mai.
Proprio questo è il bello del bambino dalla testa rotonda, che non importa che la sua migliore amica gli tolga il pallone da rugby da sotto i piedi, che il suo migliore amico preferisca lottare con Snoopy per una coperta piuttosto che giocare con lui, quante partite di Baseball siano state sospese per pioggia o quanti aquiloni gli siano stati divorati dall’albero dietro casa, lui continua imperterrito, e forse (ma in maniera del tutto personale) addirittura fiducioso, ad affrontare il futuro a testa alta.
Del resto, Charlie Brown non è veramente un fallito. è il capitano della squadra di baseball del quartiere, ha un sacco di amici che (benché a modo loro) gli vogliono un gran bene, e l’unica volta che si è allontanato dal suo quartiere, per andare al campo estivo, ha avuto un successo strepitoso (benché con un sacchetto di carta in testa).
Il problema è che Charlie Brown non riesce a vedere tutte queste sue vittorie perché, a differenza di quanto accade negli altri fumetti, e come invece succede quasi sempre nella vita reale, nessuno gli dice quando ha conseguito una vittoria. Nessuna medaglia, nessun banchetto, nessuna premiazione. A volte neanche un complimento, solo la soddisfazione di aver fatto del proprio meglio.
Ma, almeno sotto questo punto di vista, noi scout abbiamo la nostra personalissima soluzione al problema. Ogni pagina di questo Tuttoscout è piena di facce colorate di ragazzi e ragazze a cui è appena stato detto, sopra alla traballante pedana lignea di un ponte, che ce l’hanno fatta; che hanno portato a compimento qualcosa, e che ora qualcosa di ancora più grande li attende*.
Questa è la vera magia dei passaggi, che con la loro fisicità, con la loro mera presenza, permettono a tutti noi di vedere fin dove siamo arrivati nel nostro percorso, e quanto ancora possiamo intraprendere.
Chissà, forse se Lucy si fosse avvicinata un giorno al nostro eroe in maglietta gialla, dicendogli “Complimenti, sei il nuovo capitano della squadra di baseball, Charlie Brown!” il bambino avrebbe guardato al futuro con un po’ più di ottimismo, conscio dei risultati raggiunti.
O, più probabilmente, Lucy avrebbe aggiunto subito dopo “Ora non ti resta che diventare un buon capitano” ma sono sicuro che il padroncino di Snoopy non si sarebbe fatto abbattere più di tanto perché, inavvertitamente, Charlie Brown segue nella sua vita quotidiana quello che è uno dei miei punti preferiti della legge, che insegna a ridere e cantare anche nelle difficoltà.
Che, forse con qualche “misericordia!” in più, è esattamente quello che Charlie Brown ha sempre fatto, e sempre continuerà a fare.

 

Tricheco Birbante

 

*Il numero cartaceo di novembre del Tuttoscout è dedicato anche alle immagini di coloro che hanno compiuto un “passaggio” di branca.

Sii tutto ciò che puoi essere

Quando ci viene detto di “fare tutto ciò che possiamo” per raggiungere un certo obbiettivo di solito ci sentiamo, quantomeno, a disagio. Penso che sia la parola “tutto” a spaventarci: noi umani siamo spesso in soggezione davanti a questo “tutto” che vediamo incomberci addosso come un’onda anomala che rompe gli argini della nostra piccola baia di “abbastanza” e “almeno”.
Quando sentiamo “tutto” spesso una parte di noi pensa, forse senza che ce ne accorgiamo, “ma proprio tutto tutto tutto?
Ma dietro ogni paura c’è sempre un desiderio e, in effetti, quanto ci piacerebbe essere tutto quello che vogliamo?
Io, come immagino tanti di voi, ho molti sogni e ci sono tante cose che vorrei fare, ma devo sempre cedere al tempo, alle possibilità, alla stanchezza… Vorrei, oltre a essere studente e capo in reparto, essere un suonatore di armonica, un giocare di baseball ogni tanto e un viaggiatore; vorrei anche seguire un bel corso di recitazione o di canto, costruire modellini come facevo da bambino…
Io, voi e ogni altro, prima o poi, finiamo, nel senso che non riusciamo mai ad arrivare a quel “tutto” che, in fondo, in fondo, ci piacerebbe. Per quanto penso che a rendere difficile la massima del titolo non sia la parola “tutto”, ma la parola “puoi”, che è sempre un compromesso tra un “vuoi” e un “devi”.
“Compromesso” è un’altra parola che tendiamo a evitare perché sì, ci fa ottenere ciò che volevamo o qualcosa di molo simile, ma ci chiede anche di rinunciare a qualcos’altro, cosa che non piace praticamente mai!

Per riuscire a superare questo litigio tra il “vuoi”, il “puoi” e il “devi” è utile usare una cosa il cui nome è diventato così fastidioso ai nostri orecchi che non lo si sente quasi più usare: la disciplina.
Feeeermi tutti! Aspettate! So già che c’è chi alza lo sguardo spazientito e chi sta già per voltare pagina, ma, vi prego, datemi il tempo di spiegarmi: questa parola ci fa venire in mente sergenti dei marines che urlano a squarciagola, generali con il frustino, parate militari, ordini perentori e “Signorsì!”, ma questa è una disciplina pensata per far fare quello che vogliono gli altri mentre io vorrei parlarvi di una disciplina per farci fare quello che vogliamo noi.
È un concetto più “orientale” o, se volete, più “sportivo” o, meglio ancora, più “scout”; è l’idea di darsi da sé degli obbiettivi e delle regole da seguire per raggiungerli. In un certo senso è più difficile seguire questa disciplina perché spetta tutto a noi e non c’è nessuno che ci obbliga, che ci sta con il fiato sul collo per costringerci, ma è la disciplina della libertà.
Pensando a dove vogliamo arrivare, capiamo come dobbiamo muoverci e che regole darci per fare, in ogni momento, quello che possiamo per avvicinarci alla meta lungo la strada verso il successo.
Geco Coinvolgente

Sono tornato in clan: di nuovo sull’essere adulti

Al termine di una giornata lunga, mi si fa incontro un pensiero breve. In un recente articolo scrivevo di come durante un incontro regionale, noi giovani capi siamo stati posti in guardia proprio su quel che credevamo essere un punto di forza: la nostra età. Ventenni o poco più, ci dicevano, siete chiamati ad essere adulti e non più giovani.
Una settimana fa, in barba a questo ammonimento, ho deciso di partecipare ad un incontro per i “giovani della parrocchia”. Ebbene sì, l’ho fatto. Si trattava di un incontro di catechesi sulla beatitudine della misericordia (“Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” Mt 5,7), ribattezzabile “l’altra faccia della misericordia: la giustizia”: se ne parla tanto e se ne parlerà ancora, ma non è ciò di cui voglio parlare ora.
Per un attimo mi è sembrato di tornare in clan: c’era il capo clan che parlava (il don) e un gruppo numeroso di r/s (“i giovani”) che lo ascoltavano in attesa di una qualche illuminazione. Inviti a partecipare alla discussione, domande provocatorie… e nessuno parla. Ad un certo punto mi sono detto: sarebbe un buon momento per un ban! Mi guardo intorno ma niente: non c’è traccia della pattuglia menate. A dirla tutta non c’è traccia di alcuna pattuglia o gruppo, che dir si voglia, che si sia preso in carico l’animazione di questo o quel momento della serata. Tutto dipendeva dal capo (il don): esattamente la situazione che, ci diciamo sempre soprattutto in branca RS, non dovrebbe verificarsi.
Di nuovo scruto i volti di questi giovani, la maggior parte dei quali ben oltre l’età della Partenza: vedo diversi studenti universitari, alcuni lavoratori; in particolare vedo adulti costretti ad essere etichettati ancora come giovani, potenziali capi scout (deformazione professionale), potenziali responsabili in qualche associazione di volontariato… E ringrazio la mia Associazione, che compiuti i 21 anni mi dice: tu sei pronto e lo devi rimanere sempre (“estote parati”), vai nel mondo e costruisci qualcosa di buono. La mia Associazione e la mia Co. Ca. si fidano di me e mi affidano un compito immane: contribuire alla crescita di oltre trenta ragazzi. Una responsabilità che solo con l’aiuto di Dio possiamo effettivamente ed efficacemente sostenere.
Chiedo scusa agli amici del “gruppo giovani”: certamente in ambito oratoriano avranno tutti modo di fare servizio e spendere il proprio tempo per gli altri assumendosi responsabilità importanti. Ho soltanto preso spunto da una situazione per svolgere un discorso più ampio. A proposito di ampiezza, occorre fare alcune precisazioni:
1) Quando ci diciamo adulti non significa che dobbiamo abbandonare quella serie di vantaggi, quella freschezza che ci deriva dal poter spegnere ancora a fiato -e non con un idrante- le candeline sulla nostra torta di compleanno. Quel che conta, si sa, è lo spirito: per questo gli adulti non sono necessariamente vecchi e i vecchi non sono per forza decrepiti.
2) Per la nostra Associazione, prima di diventare capi noi siamo adulti sì, ma “in formazione”. L’adulto quindi (ma neanche il capo io credo) non può dirsi arrivato: gli occorre una formazione di base e una formazione continua, da curare con attenzione.
Doveva essere un pensiero breve, perdonatemi.

Carlo Maria

La grande bellezza

Rieccoci! Siamo ripartiti verso un anno che sarà pieno di gioco, avventura e servizio!
Tutto ha avuto inizio con la bella giornata d’apertura che abbiamo vissuto insieme. Vedete, riflettendo sulla giornata come attorno ad un fuoco di bivacco dopo un bel pezzo di strada, ci siamo accorti che la nostra festa d’apertura può essere definita come una grande bellezza. La bellezza di essere stati insieme nella nostra casa che abbiamo custodito e reso calda ed accogliente, nonostante il tempo, grazie alla gioia, allo stupore, all’attesa e all’emozione che traspirava negli occhi di ogni fratellino e sorellina in attesa della grande nuotata, del volo o del ritorno al villaggio degli uomini.
La bellezza insita in ogni esploratore/guida che inizia la propria strada con lo zaino sulle spalle salutando il proprio reparto con cui si sono condivisi momenti “indimenticabili” ed affrontando il nuovo cammino con l’aiuto di ogni rover e scolta sempre pronti ad aiutarti. La bellezza che risiede negli occhi dei capi che salutano i ragazzi/e che gli sono stati affidati ricordandosi, nella propria mente, quando li hanno accolti per la prima volta con vero senso di accoglienza trasmesso con pochi gesti ed a volte solo con l’esserci da veri testimoni. La bellezza di vedere tanti genitori che si emozionano con noi e che credono nella nostra azione educativa e nei valori della nostra associazione. La bellezza di fare rete sul territorio con la presenza del MASCI (movimento adulti scout cattolici italiani) e di aver allietato il palato ed allenato la mente grazie alle storie dietro i prodotti alimentari, e non, esposti dalla bottega equo solidale Migrando.
La bellezza di aver accolto all’interno della Comunità Capi Giulia, Enrico e Filippo che hanno appena iniziato il loro cammino di adulti chiamati ad essere capi. La bellezza di aver condiviso la giornata con l’assessore Paola Reguzzoni per conto dell’amministrazione comunale con cui abbiamo una forte e reciproca collaborazione, nel nostro essere associazione di frontiera, che contiamo di mantenere viva e feconda.
Per ultima, nel senso evangelico del termine, la bellezza del gruppo genitori che con il loro prezioso aiuto fattivo ed incondizionato ci sostiene ed aiuta a crescere. Tutte queste bellezze formano la nostra grande bellezza. Ad ogni singolo capo l’augurio di essere custodi della Vera grande bellezza accompagnando ogni ragazzo/a ad essere protagonisti delle proprie scelte e dei buoni cittadini andando a cercare strade nuove e fare ponti così come una piccola cocci, incontrando un’aquila di nome Arcanda sulla cima della montagna, e volando sulle sue ali vide la grande bellezza dell’orizzonte sconfinato comprendendo di non aver terminato il suo viaggio, ma di averne iniziato ancora uno più grande.

Buona strada!
I capigruppo

I sentieri dell’educare

In cammino verso Kandersteg
In cammino verso Kandersteg

Capita sempre, quando si organizza un’escursione di qualsiasi tipo, di trovarsi di fronte una grande varietà di percorsi possibili, e spesso può capitare che la mente dell’organizzatore si perda in mezzo a questa moltitudine di possibilità. Meglio provare sentieri aspri e tortuosi, che salgono con pendenze anche non indifferenti, portando l’escursionista sul tetto del mondo, percorsi piacevoli e pianeggianti per chi preferisce perdersi nel verde della natura piuttosto che perdere il fiato, oppure una qualunque delle pressoché infinite possibilità intermedie?
Allo stesso modo, chiunque si ritrovi a svolgere il ruolo dell’educatore, si trova a dover decidere, basandosi sulla propria esperienza, quale tra le ancora più numerose possibilità della vita sia quella giusta verso la quale indirizzare il proprio educando.
All’inizio può capitare di farsi prendere dall’entusiasmo, di decidere di correre su per le salite più impervie, ridendo in faccia alle avversità che si sono già affrontate decine di volte, sicuri della riuscita più che positiva delle nostre azioni.
Eppure ora che finalmente mi avvicino al concetto di educatore, mi rendo conto che questo è il modo sbagliato di affrontare le cose, e ancora una volta mi aiuta a capirlo la metafora dell’escursione.
La prima idea, infatti, può essere sfruttata senza problemi quando a praticarla è una persona ricca d’esperienza, ma inadatta a chiunque si trovi alle prime armi.
Così, come la regola d’oro non scritta della montagna vuole che il percorso debba sempre essere tarato sulla persona meno esperta del gruppo, allo stesso modo mi sto rendendo conto che, se voglio davvero essere un buon educatore, dovrò essere in grado di mettere da parte il mio desiderio di far conoscere loro tutto e subito, per poter invece diventare una guida decisa ma comprensiva, ed essere in grado di accompagnare l’educando nel suo percorso.
Nella paradossale speranza che, un giorno, il suo passo diventi più veloce del nostro, e questo continui il suo sentiero da solo.

Tricheco Birbante

Canto delle salite (della Co.Ca.)

Ecco il frutto di un momento di preghiera con il nostro A.E. (assistente ecclesiastico) don Matteo: un salmo “composto”, redatto mettendo insieme versi tratti dai “salmi delle ascensioni” (Salmi dal 119 al 133).

Canto delle salite (della Co.Ca.)

Dal profondo a te grido, o Signore,
Signore ascolta la mia voce:
se tu, Signore, non costruisci la casa,
invano si affaticano i costruttori.

Se il Signore non fosse stato per noi,
quando eravamo assaliti,
allora le acque ci avrebbero travolti,
un torrente ci avrebbe sommersi.

Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
ne la luna di notte.

Non resterà lo scettro dei malvagi
sull’eredità dei giusti,
perché i giusti non tendano le mani
a compiere il male.
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.

Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.

Troppo tempo ho abitato
con chi detesta la pace.
Il nostro aiuto è nel nome del Signore:
egli ha fatto cielo e terra.

Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

Chi confida nel Signore è come il monte Sion
non vacilla, è stabile per sempre
Perché il Signore manda la benedizione
la vita per sempre.

Dice il Signore: “Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre:
qui risiederò perché l’ho voluto.
Su di te sia pace.”