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Reparto Phoenix – Una nuova prospettiva… la mia!

15Ed eccomi qua, a scrivere il mio ultimo articolo tuttoscout da repartista.
Eh già, ragazzi, l’anno prossimo sarò in noviziato.
Un bel passo avanti, non pensate?
Il tempo è passato via davvero velocemente, e non sono ancora abituata all’idea che fra poco lascerò alle spalle il mio reparto, i miei amici diventati la mia famiglia, quelle persone speciali che mi hanno accompagnata, sopportata e supportata sempre.
Il tempo passa, è vero. Ma a volte vorrei soltanto che restasse fermo in un determinato momento o periodo. Ecco io vorrei rimanesse sempre in questi bellissimi 4 anni che ho, ormai, quasi finito.
Il reparto all’inizio mi spaventava, perché non sapevo chi mi sarei trovata davanti.
Ma ora eccomi qua, sono cresciuta, in tutti i sensi. Sono cambiata tanto e in meglio, ma non perché gli altri me lo hanno imposto, semplicemente perché loro mi hanno insegnato ad essere davvero me stessa.
16 bIl reparto è un posto fantastico, e per reparto intendo le persone speciali che lo compongono, guide, esploratori, rover, scolte e capi.
Tutti mi hanno resa la ragazza che sono ora, e devo a tutti la mia bellissima esperienza in questi anni.
Non so come farò senza le urla, i bisticci, gli sguardi ed i sorrisi che vedo sempre sui loro volti. Sono diventati importanti per me, e tutti hanno un posto nel mio cuore.
Abbiamo vissuto tante avventure insieme, e ci siamo sostenuti a vicenda in ogni momento. Ci siamo uniti e abbiamo capito che insieme siamo più forti, e abbiamo visto che l’amicizia è una cosa bellissima. Ho imparato molte cose, e spero di averne trasmesse altrettante.
Questi quattro anni sono stati pieni di emozioni, di risate e momenti indimenticabili.
Devo dire che per la prima volta in tutta la mia vita scout non so cosa scrivere e dire… Esatto, sono senza parole. Sono emozionata, felice, ma anche triste, pensierosa e, specialmente, in ansia, come al mio solito! Vado in ansia per ogni piccolezza, ho paura di tante cose e purtroppo questa non l’ho ancora vinta.
Ma sapete quale paura non c’è più in me? Quella del nuovo, del rischio di andare avanti per la propria strada, di proseguire su una via nuova, a me sconosciuta. E sapete perché non ho più paura? Perché so che così come in reparto ci sono state tante persone vicino a me, altrettante ce ne saranno in noviziato. Perché quando avrò attraversato quel ponte non sarò più la stessa. O almeno, sarò ancora la ragazza che sono e sono sempre stata, ma il mio punto di vista, la mia prospettiva della vita, quella cambierà. Perché diventerò un po’ più grande, come è successo in questi anni, e imparerò ancora di più, mettendomi alla prova stando al servizio degli altri. Perché, in fondo, è per questo che sono ancora scout, proprio perché ho tanta voglia di fare e di aiutare il prossimo voglio continuare il mio percorso per sempre, se Dio vorrà. Queste parole me le ricordo ancora, dopo tutto questo tempo. 16La promessa non l’ho fatta invano, l’ho fatta col cuore, ed ho pensato prima di chiederla perché è una responsabilità. Un impegno che ti prendi verso i coetanei, i più piccoli ed i più grandi, verso la staff, la squadriglia e il reparto, ma prima di tutto verso te stesso. Perché io ero consapevole di quello che stavo facendo, e l’ho fatto perché volevo correre il “rischio” di donarmi agli altri. E ora, passando, attraversando di nuovo quel ponte, dimostrerò che davvero voglio mantenere la mia promessa. Quindi non lo vedo tanto, quel momento, come un “lasciarsi il passato alle spalle” quanto un “camminare fiduciosa verso il futuro” sapendo che il passato sarà sempre lì per me.
Cambierò, come ho detto, la prospettiva, la mia visione delle cose. Infatti in questo tempo il reparto l’ho visto in modi diversi. All’inizio del mio primo anno era solo un insieme di persone diverse che si vogliono bene, ma ancora non ne avevo un’idea chiara. Dal secondo, invece, ho imparato a conoscere la gente, a non stare sempre solo con una persona, ma a battere la timidezza e andare a parlare con chi è nuovo. Perché per aiutare gli altri, dovevo prima aiutare me ad uscire dal mio guscio, ad essere me stessa ed a essere almeno un pelino estroversa. Dal terzo anno ho cambiato ancora la visuale delle cose. Sapete, diventando vice ho imparato a responsabilizzarmi, perché è una cosa importante, specialmente dal noviziato in poi. Ho imparato cosa vuol dire gestire una squadriglia, aiutare il capo ed organizzare le attività, ho imparato a non dar nulla per scontato e a vedere tutto a 360 gradi. Perché penso che per conoscere bene la gente non devi solo parlarle qualche volta, ma devi starle vicino, immedesimarti in lei e pensare come lo farebbe quella persona. Perché se guardi tutto dall’alto di una collina, non ti accorgerai dei piccoli dettagli che a volte sembrano banali ma, magari, sono essenziali. Se invece guardi tutto da un lato, non vedrai mai cosa c’è dall’altra parte della strada. Se scali una montagna e guardi verso il basso, vedrai che sei arrivato a buon punto, ma non vedrai quanto ti manca alla cima. Sforzatevi di vedere il mondo con occhi diversi, nuovi, giovani ma allo stesso tempo anziani. Con occhi da persona felice, responsabile e serena, con occhi da scout, insomma. Siate i primi a immedesimarsi negli altri e ad offrire l’aiuto per il prossimo. Perché la felicità sta nelle piccole cose, ed i sorrisi della gente sono i dettagli più minuti ed importanti.
18Voglio approfittare di questo articolo sulle prospettive per dirvi che la vita è bella, nonostante tutto e tutti. Perché dico per esperienza che noi siamo fortunati a vivere una vita per bene, ad avere opportunità che magari altri non hanno. Godetevi le piccole cose, le gioie della vita, purtroppo, non sono illimitate. Se pensate che la vostra vita non sia bella, che siete sfortunati a causa di qualcosa che non va bene, vi ricordo che c’è gente legata ad un letto per tutta la sua vita; vi ricordo che c’è gente che vive in pessime condizioni, a volte purtroppo anche disumane. Se pensate che la vostra vita faccia schifo perché siete presi in giro, bullizzati o qualcuno vi tormenta, ricordatevi che la vita è bella, se voi la considerate tale. Imparate a fregarvene di chi non s’interessa a voi e a tenere strette le persone a voi care. La vita è una sola, vivetela al meglio.

E con queste foto vi saluto, da repartista, e vi dico che ci vediamo l’anno prossimo, da novizia.

Buona strada!
Canarino Stravagante

Reparto Perseo – Linci: un’uscita fantastica

169 Dicembre 2018: sapete a cosa corrispondeva? Ad un’uscita di squadriglia, finalmente! Ma anche allo sciopero dei treni purtroppo…
Probabilmente i capi ci hanno voluto mettere alla prova se hanno programmato per questo giorno sfortunato una delle attività più amate! Così gran parte del Perseo è andata un po’ in panico avendo scoperto ciò solo il giorno precedente.
A noi Linci però, che siamo sempre fortunate -non proprio sempre-, il treno non è stato cancellato, e a differenza di altre squadriglie non abbiamo dovuto aspettare due ore in stazione!
Tirato un sospiro di sollievo siamo partite per Milano, ma non per vedere il solito Duomo, bensì la parte più moderna e meno conosciuta. Il treno era pieno di gente a causa dell’Artigianato in fiera, ma siamo riuscite a non perderci nella folla e ad arrivare a destinazione al completo.
La prima tappa è stata piazza Gae Aulenti, che era già addobbata per bene in tema natalizio; lì abbiamo scattato un sacco di foto stupende e Polaroid, ed è stato molto difficile resistere al profumo di dolci che arrivava dalle bancarelle! Per risolvere questo dramma abbiamo scelto di spostarci alla Bibioteca degli alberi, quindi alla chiesa di Santa Maria Incoronata, dove abbiamo partecipato alla messa.
Ormai devastate dalla fame, ci siamo sedute su delle panchine in prima classe con vista Bosco Verticale per pranzare. Poi, presa la metro Linea Lilla, siamo arrivate a City Life, dove abbiamo fatto visita al piccolo Leone in casa Ferragnez -non ricordo se sia andata proprio così… – e ci siamo spaparanzate davanti ad una fontana a prendere il sole, ma nonostante l’impegno, siamo più bianche di prima…
Siccome abbiamo finito il programma gentilmente realizzato dalla nostra capo sq. almeno due ore prima -Schumacher può solo invidiarci- abbiamo deciso di anticipare un po’ il rientro, e anche questa volta Trenord è stata dalla nostra parte!
Così si è conclusa la nostra uscita di squadriglia in modo perfetto, e devo dire che non vedo l’ora della prossima!

Fennec Elegante (Marta Ruggeri)

La leadership nel reparto

13-2Lo chiamano “repartismo” per distinguerlo dallo “scoutismo” (o “scautismo”, in italiano desueto) in generale, dal “lupettismo” (che poi, perché “coccinellismo” non si sente mai?), roverismo e castorismo. Il “capismo” non esiste, e questo dovrebbe mettere la parola <FINE> sui discorsi di chi vede la Comunità Capi come una quarta branca (ma quarta o quinta?). L’idea del reparto (o “riparto”, sempre in italiano desueto), si è evoluta parecchio da quando è stata inventata più di un secolo fa. Per di più non si è mutata su una strada singola, ma il Metodo del reparto ha preso strade diverse diramandosi, allontanandosi e riavvicinandosi di volta in volta all’idea originale che, ad oggi, sarebbe quasi difficile spiegare.
Fatto sta che mi è capitato di sentire più volte discutere riguardo a quella che dovrebbe essere una delle massime che guidano proprio lo scoutismo in generale: “Ask the boy”. Il problema delle massime è che sono molto ispiranti, ma a volte lo sono troppo perché, invece di indicare una strada, mostrano un orizzonte. Ecco così che, quando ragioniamo sull’ask-the-boy powelliano, è come se contemplassimo un panorama dall’alto di un monte, ma senza avere una destinazione. In fondo i nostri boys (che, graziaddio, sono anche girls) sono dei mondi su cui noi capi gettiamo il nostro sguardo.
A questo punto il rischio dell’ask-the-boy “a prescindere” è quello di delegare scelte e (peggio che peggio) responsabilità ai nostri fratellini e sorelline. Un rischio per un capo e un peso non dovuto per un bambino o un adolescente. L’ask-the-boy è uno strumento, non un modo di fare. Al contrario l’impresa, ad esempio, non è uno strumento ma un modo di fare. Quindi il geniale, portentoso e rivoluzionario ask-the-boy non ci dice come guidare i ragazzi e ragazze che ci sono affidati, ma ci dà un potente strumento di attenzione, ascolto e partecipazione, ma non necessariamente di democrazia, si badi bene!
Allora come si fa? Se questo è un mezzo, qual è il modo?
13Vorrei condividere un’immagine che mi è stata consegnata a questo scopo da capi molto più esperti di me e che mi è particolarmente piaciuta: immaginate una nave. Può essere una nave di qualsiasi tipo (da crociera, spaziale…) ma a me piace pensare ad un veliero pirata o corsaro o di un qualche condottiero dal grado strano tipo “commodoro” o “contrammiraglio”. Ognuno sulla nave, indipendentemente dal tipo di imbarcazione, ha un suo posto e un suo ruolo. L’equipaggio è ovviamente composto da esploratori e guide, ma i capi dove stanno? Al timone? Di vedetta? Seduti al quadrato degli ufficiali con la mappa e la bussola?
Signornò! Noi capi non siamo sulla nave: siamo il mare che la tiene a galla e, a volte, il vento che la spinge. Tutto il resto è in mano a loro.

EG (di nome e di fatto)

Reparto Perseo – L’unione

23La notte tra sabato 11 e domenica 12 agosto è successa una cosa che alcuni si potevano aspettare ma altri no, ed è proprio per loro che sto scrivendo questo articolo che racconterà di un fatto riguardante due reparti: l’unione tra i due reparti Pegaso e Orione che all’apparenza potrebbe per alcuni essere una cosa molto triste ma per altri (come i capi) molto positiva. Ma non perdiamoci in chiacchiere e incominciamo, dunque, era sera e ogni reparto stava facendo le proprie cerimonie conclusive come l’assegnazione della vittoria dell’ultimo campo ecc… erano circa le undici e mezza di sera e la cerimonia era alle cinque del mattino e quindi tutti erano indecisi su cosa fare in tutto quel tempo ma alla fine c’era chi stava davanti al fuoco a cantare, a far due chiacchiere o a riscaldarsi visto la temperatura invernale, c’era anche chi è andato in tenda a dormire per la stanchezza… c’erano tante cose che si potevano fare. Scoccate le cinque ci siamo messi tutti in camicia e diretti davanti alla tenda della cambusa ogni reparto con le varie squadriglie ha urlato il proprio urlo per l’ultima volta, abbiamo tutti quanti attraversato il passaggio di lumini creato dai capi: c’era chi piangeva disperato e chi invece era felice di conoscere nuove persone e arrivati nel cerchio più grosso rispetto agli altri ci siamo ritrovati a essere un reparto unico e gigante. 22È stata una cosa incredibile passare da una normalità di un reparto qualunque ad essere in un’altra molto più grossa e forse anche più bella… ma non si sa mai perché di solito l’apparenza inganna e nessuno vuole questo. Però mancano delle cose perché un reparto non si forma soltanto prendendo delle persone ma mancano ad esempio il nome, l’urlo… questo ancora non è ancora un reparto completo ma non vi svelerò né il nome né l’urlo. Si potrà scoprire alla festa di apertura con tutti i vari passaggi.
Quindi questo è il racconto dell’unione tra Reparto Pegaso e Reparto Orione.
Alessandro Branda,
squadriglia Albatros del Reparto Pegaso

REPARTO Pegaso – Una storia lunga sedici anni

Pegaso2018Due fiamme erette, che avrebbero dato vita a due reparti differenti, erano impiantate nel terreno durante l’ultimo giorno di campo estivo del reparto Andromeda annata 2002/2003. La notizia scaturì grande dissenso da parte dei’repartisti’, che mai avrebbero pensato di doversi dividere in due reparti, per di più uno composto solo da guide (Idra) e uno composto solo da esploratori (Pegaso). Non ho mai potuto conoscere il reparto Idra e non ho vissuto sulla mia pelle l’inizio del reparto Pegaso, ma solo la fine, e posso dire con certezza, dopo quattro anni passati in questo reparto, che il lavoro e la dedizione dei primi ragazzi del Pegaso hanno dato vita a un reparto degno del suo nome.
La parola “nascere” del reparto Pegaso non ha un senso solo simbolico, in quanto esso è partito da zero: non aveva materiale per le attività, per il quale ha dovuto fare parecchio autofinanziamento, non aveva una sede che si è posto come obbiettivo tramite la sua prima impresa e non aveva tradizioni, che nacquero dalla creatività degli esploratori stessi. Ad esempio, una delle tradizioni che da sempre fa parte del reparto Pegaso è quella “dell’uovo di Pasqua” che consiste nello spaccare in testa ad un ragazzo o una ragazza del primo anno un grande uovo di cioccolato.
Una delle poche cose, che il reparto Pegaso mantenne dal reparto Andromeda, furono i nomi delle quattro squadriglie maschili: Albatros, Puma, Ermellini, Lupi. Quando poi passarono le prime nove ragazze dai branchi/cerchi nacque la squadriglia delle Aquile, seguita negli anni a venire da Colibrì e Coyote. Un’altra delle cose che il Pegaso mantenne dal vecchio reparto, fu l’usanza di “Mr. Campo” che ricorreva a ogni campo estivo e che è durata fino ad ora. Con il passare del tempo ho potuto scoprire che molte cose si sono trasformate o addirittura cambiate totalmente. Andando avanti con gli anni si sono chiuse delle squadriglie e aperte delle altre, il numero di esploratori e di guide è cambiato a modo alterno, naturalmente con il passare degli anni la staff del Pegaso ha continuato a variare anch’essa e di conseguenza il clima del reparto ha subito delle mutazioni, rimanendo comunque positivo.
Ripercorrendo in prima persona la strada del Reparto Pegaso si può notare che essa è lastricata di ricordi e avventure che solo chi ha vissuto personalmente conosce e, siccome non tutti hanno potuto vivere questa esperienza così da vicino, ho deciso di informarmi per rendervi partecipi anche dei più piccoli dettagli che fanno parte di questo Reparto. La mia domanda ’il primo ricordo che ti viene in mente quando pensi al Pegaso?’ ha avuto diversi punti di vista “Ne ho tanti di ricordi ma quello che rammento di più, è del mio secondo anno. Era il mio compleanno e quando sono entrato in sede mi hanno fatto una festa a sorpresa”, “il ricordo più impresso che ho è il primo pernotto del reparto Pegaso, durante il quale abbiamo scelto l’urlo di reparto” due ricordi di due dei fondatori del Pegaso: Enrico Bellotti e Paolo Maglietta. “Non è un ricordo particolare ma un sentimento, l’emozione di sapere che eravamo più di un reparto, potevo contare su chiunque e sapevo che nonostante tutto, il reparto Pegaso era la mia famiglia” pensiero di Martina Richiusa, una delle prime ragazze ad entrare a far parte del Pegaso. Non posso darle torto, è normale che un Reparto diventi una ’seconda famiglia’ grazie alle persone che ne fanno parte, grazie alle esperienze che le legano, ai rapporti che si creano, grazie alla staff, a quei capi che ci fanno da fratelli maggiori ma anche da educatori, che “ci preparano la ’spa’ dopo l’hike con tanto di massaggi e creme” come ricorda Giorgia Broggi. Spesso molti dei ricordi che sono venuti fuori chiedendo a queste persone sono aneddoti divertenti o scherzi che possono sembrare sciocchezze ma che alla fine sono sempre ciò che si ricorda meglio come Alessandro Chiarot “Sono troppi ricordi per sceglierne soltanto uno! Campo invernale del quarto anno, vinto dalla mia squadriglia Ermellini, tema Cavalieri dello Zodiaco, abbiamo realizzato un video parodia, del primo episodio del cartone. Memorabile.” o Giorgio Lualdi “Ce ne sono tanti… ma uno ’particolare’ fu quando il mio vice rimase appeso per le mutande durante un percorso Hebert, scendendo dal quadro svedese”. “Quando ero al terzo anno di reparto, durante un pernotto, mentre i capi stavano facendo staff dopo averci messo a letto, io e la mia amica Chiara siamo ’sgattaiolate’ in bagno per chiacchierare, ma siamo rimaste chiuse dentro ed essendo le tre di notte, nessuno veniva ad aprirci. Per un attimo ho creduto che avrei dovuto dormire lì”. Questo è uno degli aneddoti divertenti di cui parlavo prima e che mi viene in mente per primo quando ripenso ai ricordi gioiosi che mi ha lasciato il mio Reparto anche se per quanto mi riguarda il Pegaso ha fatto molto di questo, in quanto non mi ha lasciato solo storie simpatiche da raccontare ma amicizie, esperienze e emozioni che porterò sempre con me.

pegaso2018
NEL FIRMAMENTO UN CAVALLO ALATO RIEVOCA TEMPI LONTANI

REPARTO PEGASO

Questo è ciò che venticinque ragazzi sedici anni fa hanno creato, durante il primo pernotto del reparto Pegaso, questo urlo fra poco non avrà più voce, ma la suo eco rimarrà nella storia, fino alla fine dei tempi.
TM

REPARTO Phoenix – Un campo da Ghostbusters!

18Ciao a tutti, sono felice di riprendere a scrivere su questo meraviglioso giornalino.
Qua ci sono sempre un sacco di notizie interessanti e mi fa sempre piacere leggerle. Spero valga la stessa cosa per voi, visto che ora vi racconterò la storia di un reclutamento di ghostbusters.
Quell’afosa giornata estiva siamo partiti verso il luogo dove ci saremmo poi accampati, un isolato bosco con un prato che lasciava spazio alle nostre tende nella sperduta città di San Domenico di Varzo. Abbiamo dovuto trovare un posto adatto per montare la nostra futura dimora per quei giorni ed, essendo che il luogo era in pendenza, abbiamo deciso di sfruttare le nostre capacità costruttive per preparare una struttura di legno capace di sostenere il peso di quattro o più persone, una cosiddetta sopraelevata. Alla fine, tra alti e bassi, siamo riusciti nel nostro intento e la giornata è proseguita tranquillamente, fino a quando… UN FANTASMA?! ODDIO! E dietro di lui abbiamo visto un signore che lo inseguiva. Ma, non riuscendoci ha chiesto aiuto a noi. Se aveva fatto bene non lo abbiamo capito da subito, ma nel corso dei giorni ci siamo allenati, divertiti ed abbiamo imparato a conoscere i fantasmi per poi acchiapparli! E, ovviamente, dovevano essere reclutati nuovi ghostbusters quindi quale modo migliore del meraviglioso e talentuoso MISTER CAMPO? Perché, come si suol dire, una sfida al giorno toglie i fantasmi di torno. Quindi abbiamo passato oltre una settimana molto attiva perché, fra prove e giochi, ci siamo stancati abbastanza. Ma non sono mancate nemmeno le sieste, che ci sono state però date dai terribili temporali che spesso incombevano su di noi. Ma questi non erano affatto momenti morti, perché ci siamo rallegrati cantando, spesso a squarciagola, e mostrando al temporale che nulla può ostacolare il nostro sorriso. Tra canzoni e risate, alla fine la tempesta è quasi sempre passata via velocemente. In fin dei conti la gioia ha vinto sulla pioggia e dopo nove giorni di campo ci siamo ritrovati in sede per tornare a casa stanchi ma felici di aver vissuto una nuova avventura. Perché la vita, scout o meno, è così: cadere sette volte, e alzarsi otto. Non arrendetevi al primo errore, ma tentate mille volte di fare ciò che non riuscite per imparare da essi e migliorare. E ora, prima di andarmene, voglio parlarvi velocemente della nostra vita, per ricordarvi che non va sprecata nè rovinata perché, in fondo, è una cosa molto rara: la maggior parte della gente, infatti, esiste e basta, non dà importanza al mondo che c’è intorno e, purtroppo, ai giorni d’oggi questo succede a causa dei telefoni, dei tablet e dei vari aggeggi elettronici. Ammetto che anche a me piace giocare e navigare su internet ma spesso stando troppo davanti a uno schermo perdi la cognizione del tempo e questo ha le sue conseguenze. Quindi cercate di limitarvi, piuttosto prendete un pallone ed uscite fuori, andate al parco o comunque andate a giocare un po’ per davvero!
Un’ultima cosa prima di finire: vorrei dedicare due parole anche a Sonia e a Baraldi, un quarto anno ed una capa entrambi davvero speciali. Vorrei ringraziarvi di tutto, perché da quando sono entrata in reparto voi mi avete sempre ascoltata e aiutata nel bisogno. Mi avete sempre fatto sorridere e mi avete insegnato un miliardo di cose e, tra alti e bassi, abbiamo vissuto un miliardo di avventure che non dimenticherò mai. E voglio ricordarvi che non è la distanza a separare le persone, ma il silenzio, quindi spero che non perderemo mai il rapporto, ci tengo davvero a voi!
Adesso vi saluto, buona strada!
Canarino Stravagante
(Carmela Scida)

Reparto Phoenix – Vita di uno scout

15Ciao a tutti, come va?
Oggi abbiamo in serbo per voi un articolo speciale, diverso dal solito e molto molto bello.
Ci abbiamo pensato verso la fine dell’anno scorso e ci abbiamo lavorato questa estate, impegnandoci.
Esatto, ho parlato al plurale. Infatti questa volta leggerete…

UN’INTERVISTA SCOUT!

È stata scelta una persona per sq e, allo stesso tempo, una persona per anno in modo da sapere i pensieri che balenano nella testa dei vari repartisti Phoenix.
(Da ricordare che tutti i dati sono riferiti all’anno scorso, eccetto l’età; inoltre le risposte saranno in un esatto ordine, ossia quello in cui li presenteremo: -)
I privilegiati sono: Alessia Zanella primo anno della sq Volpi; Francesco Cacciagrano secondo anno della sq Giaguari; Carmela Scida terzo anno della sq Tigri e Alessandro Baraldi, quarto anno della sq Cavalli.
Ma ora bando alle ciance e iniziamo!

1) Come ti chiami? E quanti anni hai?

- Mi chiamo Alessia ed ho 13 anni.
- Mi chiamo Francesco ed ho 14 anni.
- Mi chiamo Carmela ed ho 15 anni.
- Mi chiamo Alessandro ed ho 16 anni.

2) Quali hobby e passioni hai? Pratichi qualche sport?

- Suono la chitarra, il basso ed il pianoforte e pratico motocross e box.
- Mi piace guardare film e serie tv, non pratico nessuno sport.
- Suono chitarra, sassofono e piano. Pratico tchoukball, una specie di pallamano e adoro leggere e scrivere.
- Suono la chitarra ed ho una forte passione aeronautica.

3) Che cosa ti ha spinto ad iniziare il tuo percorso scout?

- Ho iniziato questo percorso grazie ad una mia amica.
- Sono venuto perché mi ha convinto il mio vicino di casa.
- Sono venuta a provare grazie a una mia amica.
- Ho provato a venire in un giorno di prova e mi è piaciuto.

4) Qual è il tuo ruolo all’interno del reparto?

- Sono una squadrigliera.
- Sono vice.
- Sono diventata capo sq nel corso dell’anno.
- Sono capo sq.

5) Cosa ti piace e non del reparto?

- Mi piace il rapporto che ho instaurato con gli altri, mentre non mi piace quando, a volte, sembra che alcune persone guardino altre con una specie di superiorità.
- Mi piacciono le attività che facciamo e, sinceramente, non vedo nulla di negativo.
- Del mio reparto mi piace il fatto che siamo una grande e bellissima famiglia, che riusciamo sempre a superare le litigate ed i bisticci e che siamo uniti come fossimo veri fratelli. Di negativo invece non vedo tantissimo, solo a volte scarsa autostima di qualcuno.
- Di bello c’è lo spirito d’iniziativa ed il coinvolgimento. La parte un po’ più negativa è che a volte le persone non sono come vorrei.

6) Cosa ti rimarrà del reparto una volta passato?

- Di sicuro le amicizie.
- La positività.
- I sorrisi delle varie persone ed i ricordi delle innumerevoli avventure passate insieme.
- La preparazione a livello tecnico e molta molta felicità che mi è stata trasmessa.

7) C’è un consiglio che vuoi dare a ogni scout del Busto 3?

- Divertitevi sempre, siate bravi scout e sorridete!
- Godetevi anche le più piccole cose.
- Non sottovalutare mai nè te stesso, nè gli altri. Sii felice e segui sempre il tuo cuore!
- Trova sempre il lato positivo in ogni piccola cosa; e ricorda sempre:
ESTOTE PARATI!

E ora che l’intervista è finita vi auguriamo di continuare serenamente il vostro percorso.
Buona strada!

Alessia Zanella
Francesco Cacciagrano
- Geco Sorprendente
Carmela Scida
- Canarino Stravagante
Alessandro Baraldi – Turaco Tenace

Una presa tira l’altra

Orione arrampicata1Domenica 11 dicembre, dopo il primo fantastico giorno di pernotto, si prosegue la nostra attività in una palestra da arrampicata.
All’inizio, l’attività non ci sembrava tanto entusiasmante, visto che affaticarci non ci entusiasma per niente. Bhè, sta di fatto, che questa attività non è come sembra. Prima di tutto non esiste un solo modo per fare arrampicata, ma ben tre.
Il primo, il più comune, è l’arrampicata su parete in cui, con l’imbragatura e con la corda, si sale sulle pareti, sì quelle con le prese tutte colorate. Lì si seguono i percorsi differenziati per colori. ovviamente ci sono varie difficoltà.
Orione arrampicata2Il secondo, meno conosciuto, è il boulder. Una serie di percorsi bassi che possono essere difficili o facili. Si parte coi quattro arti posizionati sulle prese indicate e ci si arrampica fino all’ultima presa con cui bisogna tenersi con due mani per tre secondi per poi lasciarci cadere nel vuoto, tranquilli c’era un materasso. Le pareti del boulder non sono dritte, anzi, sono molto deformate rendendo i percorsi ancora più difficili.
Orione arrampicata3Il terzo e ultimo è la gara, ovvero ci si arrampica su una parete dritta nel meno tempo possibile contro ad un avversario ed il primo che arriva in cima vince.
La parte di teoria fa sembrare la cosa moooolto noiosa, ma appena abbiamo provato ad arrampicarci ci siamo totalmente innamorati di quei percorsi.
A questo punto vi chiederete cosa può portare ad appassionarsi di uno sport che sembra infondato, noioso e senza senso. In realtà non lo so di preciso neanche io, so solo che appena ti attacchi ad una presa hai tanta paura, poi una presa tira l’altra e ti dimentichi totalmente delle tue paure, pensi solo e solamente alla cima.
Orione arrampicata4Una volta sopra, sei soddisfatta di esserci arrivata. Guardi in basso e pensi come diavolo hai fatto ad arrivare fin lì. Quindi per chiunque pensi che fare fatica per questo sport, ma anche in generale, non serva a niente, che ci pensi due, tre, ma anche quattro volte prima di ripeterlo e ascolti bene queste parole: faticare serve e servirà sempre. Se vuoi fare lo scalza fatiche per tutta la vita sei destinato a vivere male; non pensare che le cose si risolvano da sole.
Mi sto dilungando e vi sto annoiando troppo, quindi vi lascio cari lettori del Tuttoscout e spero abbiate capito le mie parole.

Colibrì Creativo

La doppia vita di Bebe Vio

ttscout160 (24)Ho conosciuto (anche se purtroppo non di persona) Beatrice Vio, detta Bebe, come scout prima che come schermitrice grazie ad un servizio di Saverio Tommasi (Trenta cose che ho imparato sugli scout, lo trovate su YouTube).
Quando i suoi successi, tra cui l’oro alle Paralimpiadi di Rio del 2016, l’anno innalzata all’onore delle cronache ho potuto conoscerla meglio e scoprire cosa ci fosse di più.
Non voglio raccontarvi tutto di lei (questo articolo non basterebbe certo) ma, avendola finalmente incontrata a Tradate per un evento di presentazione del suo libro “Mi hanno regalato un sogno”, vorrei farvi capire perché per me Bebe non è semplicemente una bravissima atleta.
Ecco, preso dal volervi raccontare mi sono dimenticato di dirvi che Bebe, nome totem Fenice Rossa, tira di scherma da quando ha 5 anni ma, per una grave malattia, ha perso entrambe le braccia ed entrambe le gambe ad 11.
Adesso fa tutto con le protesi: dal lavarsi i denti al ballare in discoteca.

Quando Bebe inizia a parlare è incontenibile e gesticola animatamente (e chiunque mi conosca può capire perché apprezzo questa sua caratteristica). Parla benissimo con i bambini, li coinvolge, gli spiega le cose con semplice entusiasmo. Bene, Bebe è innanzitutto vera, trasparente: non ha remore a dire che “partecipare è importante ma si partecipa per vincere, perché tutti vogliamo vincere!
La gara, il pregustare il calcio “alle prime due lettere di impossibile”, la vittoria che “in un solo attimo ti fa tirar fuori così tante emozioni… che sembri un po’ un pirla”.
Proprio di una gara mi piacerebbe parlarvi, cercando di ricordare le sue parole, ed è una gara scout…

Dopo una delle operazioni andai al campo estivo. Passando dal pulito di casa al fango del campo scout mi si infiammò la ferita (dell’amputazione). Vennero a prendermi i miei e mi portarono in ospedale dove mi sistemarono, mi diedero degli antibiotici e mi rimandarono a casa chiedendomi di “star ferma a riposo”. Appena uscita però risalii subito al campo.
Ero in carrozzina e non potevo aiutare la squadriglia a fare legna o cosa simili, ma ero vice-caposquadriglia e cercavo di darmi da fare. Un giorno c’era la gara di cucina e, ovviamente, la competizione era al massimo. Stavo cucinando delle zucchine grigliate con formaggio e pancetta. Solo che, un po’ per la foga della gara un po’ perché non ho molta sensibilità alla gamba, ero troppo vicina al fuoco che bruciava bello vivo. Avevo i leggings e ho iniziato a vedere del gonfiore in fondo al moncone. Ho pensato “tanto sono sotto antibiotici” e sono andata avanti senza volerci badare.
Come nella scherma, in cui in gara può succedere tutto perché c’è rabbia, concentrazione eccetera, ma dopo si chiede scusa all’avversario se si è andati giù troppo forte, così a fine gara ho alzato il pantalone per vedere cosa avevo combinato e ho visto questa bolla enorme. Era un’ustione di secondo grado.
Non ho voluto chiamare i miei genitori perché avrebbe voluto dire non finire il campo. Quindi abbiamo preso la nostra bellissima sacchetta dell’infermeria da in fondo alla sporchissima cassa di squadriglia, con coltello e forchetta abbiamo bucato la bolla e abbiamo medicato.
Alla fine del campo, quando sono arrivati i miei, la medicazione era sporca di terra ed erba ma non ho più avuto problemi. Così sono riuscita a farmi il mio campo scout.

Ora (penso ai miei amati repartisti) alla prossima gara di cucina state attenti al fuoco e, se per caso vi ustionate, non operatevi con coltello e forchetta. Ma la grinta che questa storia mostra, unita alla semplicità con cui Bebe l’ha raccontata, mi ha fatto venir voglia di condividerla con voi.

Se volete conoscere di più Bebe Vio potete informarvi anche sull’associazione Art4Sport fondata dalla sua famiglia per favorire gli sport paralimpici in Italia.
Geco coinvolgente

Un fine settimana in canoa

Oggi vi racconterò la mia esperienza al campetto di specialità di canoista.
Dopo un lungo viaggio in auto sono arrivata nella base scout di Colico. Ci hanno diviso in continenti, come delle squadriglie, io ero nel continente Oceania. Dopo ci hanno fatto mettere il costume, salire sulle canoe con un capo e fatto arrivare su un’altra sponda dove c’era un capo ad aspettarci. L’unico problema che abbiamo affrontato durante il tragitto è che non sapevamo girare! Quando siamo arrivati dopo aver messo le nostre cose nella tenda abbiamo inventato il nostro urlo di squadriglia. Come prima cosa dovevamo trovare un nome che c’entrasse con il nostro continente. In poche parole il nostro urlo dopo miliardi di tentativi era: “Meduse! Sempre attive noi siamo, state attenti o vi pungiamo!” dopo di che si era fatta ora di cena e quale prelibatezza poteva essere la più adatta per questo campetto? ovviamente del pesce! Che abbiamo cucinato noi sul fuoco. Dopo questa gustosa cenetta e dopo la messa abbiamo fatto un bivacco tutto cantato. La mattina seguente dopo una ricca colazione abbiamo fatto il gioco finale: la squadriglia divisa in due gruppi doveva superare delle prove. La prima metà della squadriglia doveva superare le prove in canoa e l’altra metà doveva cercare dei punti ben precisi nella base scout con l’aiuto di una cartina e poi viceversa. Il gioco durò fino all’ora di pranzo. La giornata finì con la premiazione. Noi siamo arrivate seconde per solo qualche punto dai primi. È stata un’esperienza fantastica e mi sono divertita un sacco!
Sara Carobene