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La giornata del ragazzaccio

Kelly Day - cappellaAgosto 1951. In Austria, nella località di Bad Ischl, si tiene il settimo Jamboree mondiale (il secondo dopo la morte di B.-P.). L’organizzazione ha indetto una gara di costruzioni con tecniche scout: ogni contingente dovrà costruire un ponte sul fiume che attraversa la zona del campo. Sono più di cinquanta le nazioni rappresentate. Nel contingente italiano, uno sparuto gruppo di esploratori dà lustro all’intera brigata marciando accompagnato dal suono delle zampogne: sono i ragazzi del Milano II, guidati dal loro capo il cui nome è già leggenda nel panorama dello scoutismo cattolico italiano ed internazionale. Malgrado il curriculum di tutto rispetto, il “Bad Boy” milanese (così era stato soprannominato dal colonnello Wilson, successore di B.-P. alla guida del Movimento scout, per la tenace resistenza al fascismo dimostrata in oltre 17 anni di attività scout clandestina) non è coinvolto nella progettazione del ponte italiano. Ma stare con le mani in tasca mentre altri lavorano, non appartiene allo stile scout: anche i milanesi, allora, si danno da fare per la costruzione di un altro ponte fuori concorso. Taglia, incastra, tira, annoda e il ponte del Milano II è concluso entro i termini e si aggiudica la vittoria, quello “ufficiale” italiano, invece, risulta ancora incompleto allo scadere della gara. Sarà comunque una vittoria dell’intero contingente.
Milano 2Occorreva partire da qui, per raccontare la figura di Giulio Cesare Uccellini, alias Kelly, alias Tigre, capo indiscusso delle Aquile Randagie durante il periodo della Giungla Silente. L’episodio mi è stato raccontato in anteprima la mattina di domenica 12 marzo presso la “Casa Scout” di Milano da Giulio Maria Chiodi, uno dei “ragazzi di Kelly”, presente naturalmente al Jamboree del 1951. Mi è apparso di fronte con una divisa da far invidia a chiunque: dal capellone ai calzettoni, tutto perfetto. “Kelly avrebbe voluto così”, mi confida. La giornata è tutta dedicata al grande capo: alzabandiera, S. Messa presso la cappella S. Giorgio e tavola rotonda per la presentazione della biografia del “ragazzaccio” dello Scautismo italiano. L’occasione per la felice giornata, che ha visto riuniti scout di ogni generazione, è data dalla traslazione della salma di Kelly dal cimitero monumentale di Milano alla cappella di via Burigozzo dove, per volontà della famiglia, riposerà insieme all’amico mons. Andrea Ghetti – Baden. L’impresa è magnificamente riuscita grazie all’operoso e instancabile impegno dei fratelli dell’Ente e Fondazione Baden (“Fondente” per gli amici) che hanno speso molte energie in questo progetto.
Al solito, non è mia intenzione fare un resoconto giornalistico dell’incontro. Piuttosto vorrei condividere qualche pensiero che, spontaneamente, si è fatto largo nel brulicare delle emozioni. Ecco il primo, che è una domanda: perché ricordare? Il puzzo della retorica già si insinua nelle narici: il tema del ricordo è assai inflazionato e nessuno vuole correre il rischio di passare per nostalgico. Peggio: vecchio nostalgico. Peggio ancora, nel mio caso: giovane e già vecchio nostalgico.
Lungi da me: non ci serve a nulla ricordare Kelly, se questo sforzo di memoria non ha risvolti immediati sul modo in cui, visto il personaggio, intendiamo il servizio nel movimento scout o, meglio ancora, l’essere scout, più semplicemente. Bisogna partire da cose concrete; l’attenzione all’uniforme (che non è vezzo paramiltare, ma educazione all’ordine: soprattutto all’ordine interiore, del quale l’uniforme perfetta non è che un segno), la fede viva (che sostiene tutte le attività, non è ridotta “al momento fede”, pur sempre necessario), la competenza nelle tecniche scout (senza le quali non si può fare vita rude all’aria aperta).
Il secondo è un pensiero di stupore: quei ragazzi alle soglie degli 80 anni, fieri nello splendore delle consunte divise Asci, mi hanno riportato alla mente l’esigenza che grandi ideali debbano necessariamente passare attraverso piccoli uomini, quali siamo noi. Gli esploratori di Kelly erano presenti per il loro capo, non per l’ideale. Ma il loro capo era l’ideale, lo aveva incarnato. Risulta, infatti, più facile essere fedeli ad una persona, che non ad una parola o ad un concetto. Kelly, evidentemente, lo aveva capito ed è per questo che si faceva sempre prossimo ai ragazzi (in un episodio de L’inverno e il rosaio, libro che racconta le avventure delle Aquile Randagie al tempo del fascismo, è descritta la storia di Lucianino, giovane esploratore ammalatosi gravemente e poi defunto al quale Kelly, durante la malattia, non fece mai mancare il suo affetto, con visite quotidiane e piccoli regali).

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Al termine del “Kelly Day”, in una Milano dove il sole inizia a tramontare gettando una luce diversa che sa di primavera, sulle note dell’inno nazionale cantato all’ammainabandiera, una sola parola rimane: tradizione. Che non vuol dire adorare le ceneri, bensì, come diceva Gustav Mahler, custodire il fuoco.
Carlo Maria