Negli ultimi tempi assistiamo di continuo ad un fenomeno particolare: pochi vogliono essere ciò che sono.
Anche gli scout sembrano presi dall’assurda voglia di vivere nel futuro o rimpiangere il periodo passato, dimenticandosi così di vivere la realtà nell’istante presente. Quando ero in servizio in branca L/C un folto gruppo di lupetti portava il fazzolettone “alla reparto” (sarebbe a dire: nodino impercettibile e cementificato sul fondo, cosicché se mi trovo senza corde in un’emergenza e mi serve qualcosa per legare posso escludere di utilizzare il mio fazzolettone); nulla di nuovo, ai miei tempi si diceva “alla Orione” perché gli esploratori di quel reparto lo portavano così. Senonché una domenica mattina, mentre assistevo un lupetto nella complicata operazione di ritiro del sacco a pelo, mi si fa avanti un tosto lupo della legge che mi fa: “Hathi, guarda, io rifaccio il sacco a pelo alla reparto”. Lo guardo dubbioso: come sarebbe rifare il sacco a pelo “alla reparto”? Scopro allora che tutti gli esploratori e le guide, a detta del lupetto, semplicemente buttano il sacco a pelo nella sacca e lo pressano sino a che questa possa chiudersi. Ho sempre pensato alla interazione tra branche come ad un bene (lo abbiamo sperimentato anche lo scorso B.-P. Day con un’attività interbranca): per i ragazzi del reparto è un’occasione, un piccolo servizio, poter giocare con i fratellini e sorelline più piccoli e d’altra parte la branca L/C esiste in quanto fase preparatoria al reparto (lo dice B.-P. nel Manuale dei Lupetti: «Tutti i ragazzi hanno la possibilità di apprendere come diventare Esploratori entrando dapprima negli Scouts, proprio come nei tempi antichi gli Scudieri imparavano a divenire cavalieri. E così anche i piccoli Esploratori, i “Lupetti”, come i paggi di una volta che si preparavano per divenire Scudieri, possono imparare come divenire Esploratori quando ne avranno l’età»).
Certo, il presupposto per un felice incontro è che i grandi sappiano essere d’esempio, ed è esattamente per questo che svolgo ora il mio servizio in branca E/G. Sarà che ho cambiato da poco, ma ogni tanto ho qualche problema di identità: oscillo tra Hathi e Carlo Maria.
Mi sembrava di essere tornato nella Giungla quando il Con. Ca. (per i non addetti: il Consiglio Capi è, salvo eccezioni, costituito dai capi reparto e da tutti i capi squadriglia) si è visto pervadere da un vivace entusiasmo per la scelta del tema del campo invernale. Il tema è il filo conduttore del campo, grazie al quale è possibile passare uno specifico messaggio e ambientare le diverse attività; negli ultimi tempi quasi sempre si cede a film e cartoni animati molto simpatici e i capi non ci badano molto perché, tutto sommato, “basta che ci sia un tema per le scenette di lancio dei vari giochi”.
Da troppo tempo, insomma, il tema è sinonimo, anche in reparto, di “ambiente fantastico” all’interno del quale, appunto, ambientare le diverse attività.
C’è un problema: “l’ambientazione” è un elemento tipico del metodo L/C. Per carità: il Consiglio Supremo dell’Agesci non avrà nulla da ridire se utilizziamo strumenti di altre branche, la cosa non ci è vietata da nessuno. Come spesso accade, però, sconvolgere l’ordine creato ha delle conseguenze non banali: un uso massiccio, non controllato, dello strumento “ambientazione” in branca E/G conduce alla lupettizzazione. E così noi avremo lupetti che, coerentemente, aspirano a divenire esploratori ed esploratori che, accidenti, vogliono tornare lupetti! Lo stadio avanzato (cui, mi pare, siamo già giunti) comporta che quando si parlerà di “Up!” o di “Madagascar”, i ragazzi sfoggeranno capacità argomentative invidiabili per sostenere che l’uno è meglio dell’altro; quando si parlerà, invece, di impresa (che è rischio, avventura, sogno, progettazione, fatica…) un silenzio religioso avvolgerà il cerchio di reparto e il monito sibilante del vecchio Kaa si farà di nuovo sentire: “Quando abbiamo mutato la pelle, non possiamo rientrarci di nuovo”.
Carlo Maria
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Ask the boy
Nell’ultimo anno la Comunità dei capi del Busto Arsizio 3 ha avuto modo di confrontarsi più volte con alcuni esponenti dei vertici regionali dell’AGESCI. In questo contesto di accompagnamento a febbraio abbiamo incontrato padre Davide Brasca, dai più vecchi già conosciuto attraverso gli scritti che circolano in Associazione per lo più per la branca RS.
Abbiamo avuto modo così di riflettere insieme sul nostro metodo educativo.
Con una serie di provocazioni, anche divertenti, padre Davide ci ha messi di fronte alla ormai storica questione educativa: non confondere gli strumenti educativi con il fine dell’azione educativa. All’apparenza sembrerebbe un’attenzione banale ma se anche San Paolo ha voluto ricordarci che la legge serve l’uomo e non viceversa forse significa che l’umana natura spesso ci spinge in altre direzioni.
Capita così a volte di trovarsi ad applicare protocolli, magari pensati da altri, senza il necessario filtro critico che sempre si deve accompagnare all’azione educativa. É ciò che Lord Baden-Powell definiva la qualità più importante per uno scout, ovvero il buon senso.
Non è raro infatti imbattersi in capi, soprattutto se appena tornati dai campi formativi, che pensano che fare bene il capo sia applicare bene un regolamento o un manuale senza rendersi conto che i regolamenti si scrivono e riscrivono alla bisogna. Parafrasando San Paolo: i manuali servono il capo e non viceversa. Naturalmente per servire bene ad un capo il manuale/regolamento va conosciuto ma deve essere sempre filtrato dal comune buon senso. La ragione è che noi educhiamo persone, non esseri senz’anima, e che sappia io non ve n’è uno uguale all’altro come non vi sono identici contesti sociali. Fare il capo a Milano centro non è la stessa cosa che farlo su una piana delle Puglie. Dimenticarlo è da sciocchi, anche se poi rimaniamo saldi e certi della bontà del nostro metodo educativo.
Dobbiamo avere chiaro che la nostra azione educativa diventa davvero efficace quando sa generare un cambiamento positivo, un’emancipazione nella persona che ci viene affidata. Per poter generare questo cambiamento però dobbiamo accorgerci di chi è questa persona che il Signore ci ha messo davanti, con la sua unicità e sensibilità. E che educhiamo attraverso una personale testimonianza di valori e non raccontando di un modo di fare. Solo così possiamo veramente essere fedeli alla consegna ricevuta ormai più di un secolo fa: Ask the boy.
«L’ultimo giudizio, inappellabile, sulla validità del metodo di B.-P. è dato dai ragazzi: è stato creato per loro. A loro direttamente si è rivolto B.-P.: non ai maestri e ai saggi. Ben sapeva che gli esperti ed i colti sanno tante cose ma sono fuori dalla vita.» (don Ghetti)
Fabio Peruzzo