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Misericordia e verità

In questo anno del Giubileo si parla di Misericordia un po’ in tutte le salse. C’è anche un po’ di buonismo, di solito, a condire il piatto. Si dice: misericordia è pazienza, voler bene, star vicino. E non si può dire che non sia vero. Si dice anche che per essere misericordiosi a volte bisogna chiudersi gli occhi, passar sopra ad alcune cose. Ma questo non è vero!
La misericordia è compagna di viaggio inseparabile della verità. Ma quale verità? Con quale misura si giudica il mondo, gli altri, noi stessi? Siamo noi il canone su cui misurare ogni cosa?
Uno scout sa che misura delle sue azioni è la legge. E la legge non è altro che un riflesso del Vangelo. È dunque il Vangelo che ci insegna qual è la verità. La verità del nostro agire, la verità sugli altri e sul mondo.
Guardiamo al mondo, agli altri e a noi stessi con occhi aperti, capaci di distinguere il bene dal male, la giustizia dall’ingiustizia, ma portiamo nel nostro sguardo la luce del Vangelo perché non ci capiti di giudicare in base al nostro capriccio o al nostro desiderio.
Questa è misericordia!

Dal Salmo 84
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra. Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a lui camminerà la giustizia e sulla via dei suoi passi la salvezza.
don Matteo

La misericordia

La misericordia è un sentimento generato dalla compassione per la miseria altrui (morale o spirituale). Tale termine deriva dal latino misericors (genitivo misericordis) e da misereor (ho pietà) e cor -cordis (cuore). È una virtù morale tenuta in grande considerazione dall’etica cristiana e si concreta in opere di pietà o, appunto, di misericordia.

Questo è ciò che ci dice la nostra carissima Wikipedia.
Per spiegare il significato che questa parola ha per me, vi racconto un’esperienza di noviziato fatta qualche week-end fa.
L’uscita del 28 febbraio è stata dedicata ai ciechi dato che volevamo provare esperienze diverse da quelle che abbiamo sperimentato nelle domeniche e nei pernotti precedenti.
Ovviamente il tempo era contro di noi, ma un buon scout sa come attrezzarsi!
In mattinata, stando in sede dopo la messa, abbiamo cominciato ad approcciarci al mondo dei non vedenti con attività preparate da due nostri compagni di avventure.
Ebbene sì, un certo signor M ed una certa signora E, come prima cosa ci hanno fatto ascoltare un brano. La protagonista era una ragazza che aveva perso la vista.
Noi abbiamo chiuso gli occhi, abbiamo spento le luci, abbiamo ascoltato la sua voce e tramite essa ci siamo immedesimati.
Questa ragazza, il cui nome era indefinito, raccontava di una sua normalissima giornata al mare. Ovviamente non descriveva ciò che vedeva con gli occhi; ma ciò che vedeva con le orecchie, con il naso e con il tatto: ci ha fatto capire quanto noi, vedendo le cose, a volte ci dimentichiamo di avere altri quattro sensi.
Una dimostrazione è stato il rumore che producevano le onde infrangendosi sulla spiaggia, il verso dei gabbiani, la temperatura che diminuiva con il tramonto ed aumentava con l’alba, il suono armonioso di una chitarra e le emozioni che tutto ciò riusciva a scatenare in questa ragazza.
E’ stato un momento splendido, mi sembrava di essere sulla spiaggia accanto a questa nostra amica che ci raccontava ciò che lei purtroppo non poteva vedere. Sentivo l’odore e il rumore del mare come quando annusi e porti all’orecchio una conchiglia trovata sulla sabbia. Sentivo la brezza sulla pelle e il verso dei gabbiani. Quante cose si possono vedere anche se si è non vedenti, quanti colori, quante emozioni, quanta gioia anche in una cosa così triste.
Finito questo momento ci siamo bendati tutti, ed i due organizzatori della giornata hanno fatto dei rumori con degli oggetti e noi per alzata di mano dovevamo capire che cosa fosse. Porte che sbattevano, sedie trascinate, penne sbattute sui quaderni di caccia, chiusura della cover del telefono, rumore di pagine di giornale sfogliate…
Successivamente ci siamo divisi in gruppi da tre e dovevamo mettere in atto una scenetta totalmente inventata da noi nella quale dovevamo far capire ai nostri compagni bendati, attraverso un narratore e degli attori che producevano i rumori di ciò che stavano recitando, ciò che la nostra scenetta prevedeva.
Dopodiché abbiamo fatto un gioco, ma ovviamente sempre in tema: mosca cieca!
La prima mosca è stata Luca che dopo un po’ di tempo e qualche testata al muro del porticato è riuscito a prendere Pier. Poi abbiamo continuato a giocare fino all’ora di pranzo.
Nel pomeriggio abbiamo preso un “ciuf ciuf” e siamo andati a Milano per partecipare al “percorso al buio”.
Per chi non c’è mai stato è un posto dove si può vivere un’esperienza da non vedente.
Prima di tutto ciò, però non può mancare l’aneddoto divertente della giornata.
Marco ha preparato un bella “Lista dei monumenti” che Luca Deveronico e Alex avrebbero dovuto visitare, mentre tutti gli altri facevano il percorso (una specie di caccia fotografica). Ovviamente pioveva quindi immaginate la gioia sul volto di Luca e di Alex che dovevano farsi questa bellissima attività alternativa. Abbiamo riso per tutto il resto della giornata pensando alle loro due facce che tramutarono dallo stupore, alla rabbia e alla tristezza!
Dopo di che ci siamo divisi in due gruppi e abbiamo iniziato l’attività.
La guida del nostro gruppo era Nevina. Ci ha dato dei bastoni per non vedenti e poi siamo entrati. Era tutto completamente buio, non si vedeva nulla.
Quando i nostri occhi si sono abituati alla situazione abbiamo cominciato seguendo le indicazioni di Nevina, che era l’unica a sapersi orientare alla perfezione.
All’inizio era un po’ spaventata, ma la nostra guida è stata in grado di mettermi a mio agio in pochi minuti e di farmi rilassare.
Nella prima stanza ci siamo trovati in un bosco. Si sentiva profumo di terra, di sottobosco e di muschio. L’aria era umida, il pavimento coperto da sassi. Abbiamo annusato delle piante che siamo riusciti a riconoscere come l’alloro, la lavanda e il rosmarino. Abbiamo toccato un ruscello e delle rocce umide.
Abbiamo fatto anche un giro in barca!
Nella seconda stanza eravamo in una camera e dovevamo cercare dei mobili. Io ho trovato un divano, un comodino, un armadio e uno specchio.
Poi ci siamo radunati tutti attorno ad un tavolo rotondo e Nevina ci ha fatto riconoscere altre spezie: cannella, origano e chiodi di garofano. Poi ci ha fatto toccare degli animali giocattolo e noi dovevamo capire quale fosse. Io avevo l’ippopotamo, sarà una coincidenza?
La terza stanza simulava una strada. C’era tanto rumore, quasi dava fastidio.
Rumore di clacson, di macchine che sfrecciavano, di moto e di persone che parlavano. Rumore di treni sulle rotaie.
In quel momento ho avuto paura.
Mi sono immedesimata in una persona non vedente che deve affrontare tutti i giorni un caos del genere.
Io non ci ho mai fatto caso perché prima di attraversare la strada posso guardare a destra e a sinistra, perché prima di attraversare sulle strisce pedonali, davanti ad un semaforo, so se esso è verde, giallo o rosso. Perché so che un giorno potrò guidare la macchina e forse sentirmi un po’ più sicura per strada. Perché posso vedere quando sta per arrivare un treno o una metro e so quando si sta avvicinando un pullman.
Capisco che terrore possa provare una persona non vedente tutte le volte che esce dal cancello di casa.
Posso immaginare l’ansia che provi quel soggetto e purtroppo la tristezza magari nel non poter vedere con gli occhi ciò che vede con altri sensi. Ma ogni cieco, come dice Nevina, sogna. Perché ha tutto un modo suo di immaginare i colori, le forme degli oggetti, la faccia che una persona che sta parlando potrebbe avere.
L’ultima sala è un bar e tu puoi ordinare quello che vuoi. Arianna, la barista, mi ha dato un succo di frutta all’albicocca e ha preparato un caffè alle altre persone che erano con me, ed è non vedente.
Ci siamo seduti al tavolo e abbiamo avuto la possibilità di fare tutte le domande che ci venivano in mente a Nevina.
La prima cosa che le ho domandato era se lei fosse non vedente e lei mi ha risposto che è nata ipovedente (era in grado di vedere solo le ombre), ma che ora non vede quasi più neanche quelle.
Le ho chiesto anche qual è la cosa più difficile che fa ogni giorno e le esperienze più belle che ha vissuto.
Per la prima domanda ha risposto che in realtà ogni cosa che fa tutti i giorni è difficile. Anche già solo l’alzarsi dal letto. Ha detto che ora è in grado di cucinare le cose più semplici come un piatto di pasta al sugo, ma che per le cose più complicate fa fatica, sta ancora imparando insomma.
Ha fatto diverse esperienze che probabilmente quasi nessuno farebbe anche vedendoci benissimo: parapendio, paracadutismo, sci d’acqua e tante altre attività adrenaliniche.
Mi ha colpito la gioia che mi ha trasmesso questa ragazza di trent’anni, il calore della sua voce, le emozioni che è stata in grado di farmi provare e l’allegria che ci ha messo nel farci percorrere questo viaggio che è durato un’ora e mezza.
Anche se non ho mai visto la sua faccia, perché ci ha lasciati prima che potessimo vedere di nuovo, so che ha sempre parlato con il sorriso stampato sul volto, perché quando una persona sorride mentre parla si nota la differenza.
Ho capito grazie a questa esperienza quanta fatica faccia una persona non vendente e quanto debba concentrarsi per ascoltare la voce di una persona che guidi i suoi passi, e vi assicuro che nella durata del percorso ho preso trentadue spigoli con il mignolo del piede, almeno tre muri in faccia, avevo la sensazione di entrare da una porta girare in tondo e riuscire dalla stessa parte e ho preso più gomitate in faccia dagli altri ragazzi in un’ora e mezza che in quasi un anno di attività insieme.
È stata un’esperienza che mi ha lasciata a bocca aperta e forse toglierei come parole che principalmente ci vengono in mente associate alla misericordia come pietà e compassione.
Per me questa giornata ha permesso ad ognuno di noi di portare la luce a chi non ce l’ha e ha insegnato a noi che forse dovremmo un po’ crescere e smetterla di avere paura del buio.

È una buona lezione quella di questa mostra che apparentemente non mostra e che, invece, insegna, a noi fagocitati delle immagini, anche il valore del buio per vedere davvero la realtà.”

 
Tigre energica

La misericordia nella mia vita (esperienze nello scoutismo)

«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5,7)
Probabilmente negli articoli a seguire si parlerà di misericordia in tutti i suoi aspetti, tuttavia penso sia importante iniziare col capire il significato di questa parola.
L’etimologia della parola misericordia è latina e collega, unisce due parole misereor (ho pietà) e cor-cordis (cuore): avere nel cuore un sentimento di compassione, di pietà.
Misericordia, una parola bellissima, ma di per sé molto difficile da decifrare, una parola talvolta usata a sproposito nel linguaggio comune, che ne travisa il significato facendola diventare una esclamazione un intercalare di disappunto, stupore o paura.
Permettetemi ma avere misericordia non vuol dire semplicemente avere pietà, io vedo in questa parola un sentimento puro che nasce dal cuore, completamente svincolato dal pensiero, dove il fare qualche cosa per qualcuno non presuppone un ritorno di sentimenti o di ringraziamenti è semplicemente “donare con il cuore”.

Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (S. Paolo ai cristiani di Corinto).

Donare e donarsi senza aspettarsi un ringraziamento e… nel nostro piccolo è un po’ quello che facciamo con i nostri bambini e ragazzi è quel messaggio che talvolta passa inosservato, ma che è spesso presente nelle nostre azioni, nel nostro modo di comunicare con loro, nelle attività proposte.
Papa Francesco parla spesso di opere di misericordia, ma quali sono queste opere di misericordia e che ci azzeccano con noi scout?

Le sette opere di misericordia corporale
• Dar da mangiare agli affamati.
• Dar da bere agli assetati.
• Vestire gli ignudi.
• Ospitare i pellegrini.
• Visitare gli infermi.
• Visitare i carcerati.
• Seppellire i morti.

Le sette opere di misericordia spirituale
• Consigliare i dubbiosi.
• Insegnare agli ignoranti.
• Correggere i peccatori.
• Consolare gli afflitti.
• Perdonare le offese.
• Sopportare pazientemente le persone moleste.
• Pregare Dio per i vivi e per i morti.
Ma sta a vedere che noi non facciamo nulla di ciò. Non penso proprio, buona parte delle opere di misericordia rientrano nel nostro essere scout, è che lo facciamo senza soffermarci col pensiero… forse perché è un qualche cosa che nasce solo dal cuore? Si, forse per i capi che propongono l’attività o per il ragazzo/a del Clan che ci crede e propone una attività mirata al gruppo, ma per gli altri?
Per gli altri rischia di diventare una azione subita, un gesto nel quale si deve semplicemente aiutare chi versa in difficoltà, senza sentire, senza percepire il vero essere della “misericordia”.
Diciamo che per un bambino/a questa “misericordia” è difficile da interiorizzare, la speranza è che le semplici esperienze proposte, magari oggi vissute passivamente, rimangano salde nel loro cuore ed emergano spontaneamente quando ce ne sarà bisogno e che presto o tardi “donino col cuore, prima che con la mente”.

Visto che gli scout sorridono e cantano anche nelle difficoltà chiudo con lo stralcio di un brano del cantautore e poeta Fabrizio De Andre’, tratto da Corale (Leggenda del Re infelice), contenuto nel suo album “Tutti morimmo a stento”.

Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà
per pietà
per pietà

Per tutti quelli che vogliono approfondire il tema della misericordia nella canzone italiana vi consiglio di visitare questo link

Zio Malak

Due esempi di vita di rara bellezza

06Se avessi una macchina del tempo organizzerei un incontro tra B.P. e P.F.
Sappiamo tutti chi è B.P.
Ma P.F.? Papa Francesco!
Sono entrambi due esempi di vita di rara bellezza.
B.P. ci esorta: “Cercate di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”
È una frase importante. Ma come si fa?
Il nostro amato Papa ci suggerisce dei modi possibili.
Il 13 giugno, durante l’udienza generale in San Pietro (e noi c’eravamo!) ci chiede un impegno: “Fate ponti, per favore. Col dialogo, fate ponti!”
Considerando inoltre che l’8 dicembre è iniziato l’Anno Santo dedicato alla misericordia ci siamo interrogati su cosa avremmo potuto fare di concreto.
Ecco perché noi coccinelle abbiamo deciso di creare un ponte con l’associazione “Casa Onesimo” di Busto Arsizio. È una struttura che offre ospitalità a rifugiati, ex detenuti e detenuti in fine pena con lo scopo di aiutarli in un inserimento nella società.
Abbiamo trascorso un pomeriggio magico! Non saprei come definirlo in altro modo!
Quando siamo arrivati siamo stati accolti da 3-4 ragazzi della struttura e da operatori e volontari che prestano lì il loro servizio.
Ci siamo seduti in cerchio, le cocci hanno loro offerto biscotti e cioccolatini e abbiamo iniziato a conoscerci.
Noi ci siamo presentati, ma la nostra era un normale racconto di un gruppo scout.
Quando loro si sono presentati, in varie lingue ci hanno raccontato di viaggi della speranza, famiglie disperse di cui non si avevano notizie, figli lontani, parenti sicuramente persi… a loro il merito di averlo fatto con rara delicatezza, ma vi assicuro che sentirlo dalla viva voce dei protagonisti è diverso che ascoltarlo al telegiornale!
Ma il bello è stato che subito dopo ci hanno detto di quanto erano felici di avere una speranza per il futuro, per esempio uno di loro vorrebbe diventare un rapper famoso e si è esibito per noi. A quel punto noi abbiamo rilanciato coinvolgendoli con le nostre bans ed era fantastico vedere come man mano si univano altre persone a noi e i sorrisi si moltiplicavano sempre più.
Inoltre le cocci hanno addobbato per loro due alberi di Natale!
Dopo un po’ di foto ricordo purtroppo era il momento di lasciarci: non dimenticherò mai quegli occhi pieni di gratitudine e quegli abbracci sinceri per il tempo e la gioia che avevamo condiviso con loro.
Sono sicura che anche questi piccoli gesti rendano il mondo migliore!
Mamma scotty