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Un anno speciale in Noviziato

Al termine di un anno scout particolarmente intenso e unico (in tutti i sensi) mi sembra giusto trarre qualche conclusione e condividerla con voi lettori.
Non sono abituato a tracciare dei bilanci, nonostante sia abituato a guardare il presente tramite passato, ma proverò comunque a capire ciò che per me ha reso questo anno così speciale.
Se penso ai primordi, ossia quando ancora il noviziato era solo un’idea che a poco a poco si avvicinava e che si sarebbe concretizzata dopo aver varcato il ponte, devo dire che tutti i miei pensieri relativi a un futuro ignoto che mi faceva paura sono crollati.
Temevo più di ogni altra cosa che l’ambiente caldo e accogliente che aveva il reparto sarebbe svanito per sempre, poiché non sapevo come avrei vissuto questo anno, ma soprattutto non sapevo con chi lo avrei vissuto (non ignoravo chi fossero gli altri suoi membri, ma non avevo con loro un rapporto così stretto come l’ho adesso).
Dopo poco tempo questo timore è svanito: ho imparato da questo che l’ignoto non deve fare paura, ma che semplicemente deve essere scoperto.
Un’altra caratteristica particolare che ha contraddistinto questo anno è stato l’approccio al servizio. Devo dire che forse questa era la parte che più aspettavo prima di passare.
Ho fatto le cose più diverse, dallo smistare mutande a giocare a calcetto con dei ragazzi, ma la cosa che sempre mi ha trasmesso l’aiutare gli altri è stato capire che attraverso il servizio che davo a qualcuno o per qualcosa rendevo felice qualcuno che magari felice non lo è mai stato.
Attraverso il servizio sono riuscito, come B.-P. e il mio prof di filosofia dicono, a rendere il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato, e questo è stato molto gratificante, perché fino a poco tempo fa lo credevo impossibile.
Ripensando inoltre a quello di cui avevo paura, cioè non trovarmi particolarmente bene con i membri della comunità nella quale sarei malauguratamente finito, posso con tranquillità affermare che tutti i dubbi e i pregiudizi che nutrivo nei loro confronti sono stati sciolti nei primi 10 minuti di vita del noviziato.
Temevo di risultare arrogante, antipatico, altezzoso e mille più pregiudizi che affibbiavo anche agli altri.
Purtroppo mi sbagliavo.
Sarà perché il reparto non era più la forma di comunità adatta alla mia età e alla mia mentalità, sarà perché ho trovato persone particolarmente amichevoli (sto sopravvalutando il contenuto di questa parola), ma ora posso senza dubbio dire che le amicizie che si sono create in questo anno sono molto profonde e saranno parecchio durature.
Non è facile arrivare all’alba dei diciassette anni ed essere legati alle persone così fortemente: credo che sia l’ambiente scout in sé, sia la comunanza di interessi e idee che ho con loro abbiano giocato un ruolo fondamentale nel creare questi legami così forti.
Questo anno è stato per me anche un passaggio fondamentale per capire chi sono e che cosa voglio dalla mia vita scautistica (per la mia vita in generale ci sto ancora lavorando, ma siamo a buon punto!).
Per la prima volta, libero dagli affanni dei giochi e dall’avventura, ho potuto affrontare serie riflessioni su chi sono, cosa penso e perché.
Questo è stato davvero importante per me, abituato ad analizzare problemi e situazioni, ma mai ad indagare con serietà colui che indaga, che alla fine si rivela essere qualcuno che non si aspettava di essere quello che è.
In più occasioni ho sperimentato, oltre al servire, anche il buona strada: ne abbiamo fatta davvero molta in molti modi diversi, e credo che sia stato un modo per confrontarmi e condividere aspetti positivi e negativi del cammino, metaforico e non.
Una delle parti più belle (per me, meno per coloro che mi circondavano) è stata concretizzare una delle frasi a me più care: canta e cammina.
Non dimenticherò facilmente questo cantare, né dimenticherò questi momenti.
Difficilmente dimenticherò il mio anno in Noviziato.

Dromedario esilarante

La misericordia

La misericordia è un sentimento generato dalla compassione per la miseria altrui (morale o spirituale). Tale termine deriva dal latino misericors (genitivo misericordis) e da misereor (ho pietà) e cor -cordis (cuore). È una virtù morale tenuta in grande considerazione dall’etica cristiana e si concreta in opere di pietà o, appunto, di misericordia.

Questo è ciò che ci dice la nostra carissima Wikipedia.
Per spiegare il significato che questa parola ha per me, vi racconto un’esperienza di noviziato fatta qualche week-end fa.
L’uscita del 28 febbraio è stata dedicata ai ciechi dato che volevamo provare esperienze diverse da quelle che abbiamo sperimentato nelle domeniche e nei pernotti precedenti.
Ovviamente il tempo era contro di noi, ma un buon scout sa come attrezzarsi!
In mattinata, stando in sede dopo la messa, abbiamo cominciato ad approcciarci al mondo dei non vedenti con attività preparate da due nostri compagni di avventure.
Ebbene sì, un certo signor M ed una certa signora E, come prima cosa ci hanno fatto ascoltare un brano. La protagonista era una ragazza che aveva perso la vista.
Noi abbiamo chiuso gli occhi, abbiamo spento le luci, abbiamo ascoltato la sua voce e tramite essa ci siamo immedesimati.
Questa ragazza, il cui nome era indefinito, raccontava di una sua normalissima giornata al mare. Ovviamente non descriveva ciò che vedeva con gli occhi; ma ciò che vedeva con le orecchie, con il naso e con il tatto: ci ha fatto capire quanto noi, vedendo le cose, a volte ci dimentichiamo di avere altri quattro sensi.
Una dimostrazione è stato il rumore che producevano le onde infrangendosi sulla spiaggia, il verso dei gabbiani, la temperatura che diminuiva con il tramonto ed aumentava con l’alba, il suono armonioso di una chitarra e le emozioni che tutto ciò riusciva a scatenare in questa ragazza.
E’ stato un momento splendido, mi sembrava di essere sulla spiaggia accanto a questa nostra amica che ci raccontava ciò che lei purtroppo non poteva vedere. Sentivo l’odore e il rumore del mare come quando annusi e porti all’orecchio una conchiglia trovata sulla sabbia. Sentivo la brezza sulla pelle e il verso dei gabbiani. Quante cose si possono vedere anche se si è non vedenti, quanti colori, quante emozioni, quanta gioia anche in una cosa così triste.
Finito questo momento ci siamo bendati tutti, ed i due organizzatori della giornata hanno fatto dei rumori con degli oggetti e noi per alzata di mano dovevamo capire che cosa fosse. Porte che sbattevano, sedie trascinate, penne sbattute sui quaderni di caccia, chiusura della cover del telefono, rumore di pagine di giornale sfogliate…
Successivamente ci siamo divisi in gruppi da tre e dovevamo mettere in atto una scenetta totalmente inventata da noi nella quale dovevamo far capire ai nostri compagni bendati, attraverso un narratore e degli attori che producevano i rumori di ciò che stavano recitando, ciò che la nostra scenetta prevedeva.
Dopodiché abbiamo fatto un gioco, ma ovviamente sempre in tema: mosca cieca!
La prima mosca è stata Luca che dopo un po’ di tempo e qualche testata al muro del porticato è riuscito a prendere Pier. Poi abbiamo continuato a giocare fino all’ora di pranzo.
Nel pomeriggio abbiamo preso un “ciuf ciuf” e siamo andati a Milano per partecipare al “percorso al buio”.
Per chi non c’è mai stato è un posto dove si può vivere un’esperienza da non vedente.
Prima di tutto ciò, però non può mancare l’aneddoto divertente della giornata.
Marco ha preparato un bella “Lista dei monumenti” che Luca Deveronico e Alex avrebbero dovuto visitare, mentre tutti gli altri facevano il percorso (una specie di caccia fotografica). Ovviamente pioveva quindi immaginate la gioia sul volto di Luca e di Alex che dovevano farsi questa bellissima attività alternativa. Abbiamo riso per tutto il resto della giornata pensando alle loro due facce che tramutarono dallo stupore, alla rabbia e alla tristezza!
Dopo di che ci siamo divisi in due gruppi e abbiamo iniziato l’attività.
La guida del nostro gruppo era Nevina. Ci ha dato dei bastoni per non vedenti e poi siamo entrati. Era tutto completamente buio, non si vedeva nulla.
Quando i nostri occhi si sono abituati alla situazione abbiamo cominciato seguendo le indicazioni di Nevina, che era l’unica a sapersi orientare alla perfezione.
All’inizio era un po’ spaventata, ma la nostra guida è stata in grado di mettermi a mio agio in pochi minuti e di farmi rilassare.
Nella prima stanza ci siamo trovati in un bosco. Si sentiva profumo di terra, di sottobosco e di muschio. L’aria era umida, il pavimento coperto da sassi. Abbiamo annusato delle piante che siamo riusciti a riconoscere come l’alloro, la lavanda e il rosmarino. Abbiamo toccato un ruscello e delle rocce umide.
Abbiamo fatto anche un giro in barca!
Nella seconda stanza eravamo in una camera e dovevamo cercare dei mobili. Io ho trovato un divano, un comodino, un armadio e uno specchio.
Poi ci siamo radunati tutti attorno ad un tavolo rotondo e Nevina ci ha fatto riconoscere altre spezie: cannella, origano e chiodi di garofano. Poi ci ha fatto toccare degli animali giocattolo e noi dovevamo capire quale fosse. Io avevo l’ippopotamo, sarà una coincidenza?
La terza stanza simulava una strada. C’era tanto rumore, quasi dava fastidio.
Rumore di clacson, di macchine che sfrecciavano, di moto e di persone che parlavano. Rumore di treni sulle rotaie.
In quel momento ho avuto paura.
Mi sono immedesimata in una persona non vedente che deve affrontare tutti i giorni un caos del genere.
Io non ci ho mai fatto caso perché prima di attraversare la strada posso guardare a destra e a sinistra, perché prima di attraversare sulle strisce pedonali, davanti ad un semaforo, so se esso è verde, giallo o rosso. Perché so che un giorno potrò guidare la macchina e forse sentirmi un po’ più sicura per strada. Perché posso vedere quando sta per arrivare un treno o una metro e so quando si sta avvicinando un pullman.
Capisco che terrore possa provare una persona non vedente tutte le volte che esce dal cancello di casa.
Posso immaginare l’ansia che provi quel soggetto e purtroppo la tristezza magari nel non poter vedere con gli occhi ciò che vede con altri sensi. Ma ogni cieco, come dice Nevina, sogna. Perché ha tutto un modo suo di immaginare i colori, le forme degli oggetti, la faccia che una persona che sta parlando potrebbe avere.
L’ultima sala è un bar e tu puoi ordinare quello che vuoi. Arianna, la barista, mi ha dato un succo di frutta all’albicocca e ha preparato un caffè alle altre persone che erano con me, ed è non vedente.
Ci siamo seduti al tavolo e abbiamo avuto la possibilità di fare tutte le domande che ci venivano in mente a Nevina.
La prima cosa che le ho domandato era se lei fosse non vedente e lei mi ha risposto che è nata ipovedente (era in grado di vedere solo le ombre), ma che ora non vede quasi più neanche quelle.
Le ho chiesto anche qual è la cosa più difficile che fa ogni giorno e le esperienze più belle che ha vissuto.
Per la prima domanda ha risposto che in realtà ogni cosa che fa tutti i giorni è difficile. Anche già solo l’alzarsi dal letto. Ha detto che ora è in grado di cucinare le cose più semplici come un piatto di pasta al sugo, ma che per le cose più complicate fa fatica, sta ancora imparando insomma.
Ha fatto diverse esperienze che probabilmente quasi nessuno farebbe anche vedendoci benissimo: parapendio, paracadutismo, sci d’acqua e tante altre attività adrenaliniche.
Mi ha colpito la gioia che mi ha trasmesso questa ragazza di trent’anni, il calore della sua voce, le emozioni che è stata in grado di farmi provare e l’allegria che ci ha messo nel farci percorrere questo viaggio che è durato un’ora e mezza.
Anche se non ho mai visto la sua faccia, perché ci ha lasciati prima che potessimo vedere di nuovo, so che ha sempre parlato con il sorriso stampato sul volto, perché quando una persona sorride mentre parla si nota la differenza.
Ho capito grazie a questa esperienza quanta fatica faccia una persona non vendente e quanto debba concentrarsi per ascoltare la voce di una persona che guidi i suoi passi, e vi assicuro che nella durata del percorso ho preso trentadue spigoli con il mignolo del piede, almeno tre muri in faccia, avevo la sensazione di entrare da una porta girare in tondo e riuscire dalla stessa parte e ho preso più gomitate in faccia dagli altri ragazzi in un’ora e mezza che in quasi un anno di attività insieme.
È stata un’esperienza che mi ha lasciata a bocca aperta e forse toglierei come parole che principalmente ci vengono in mente associate alla misericordia come pietà e compassione.
Per me questa giornata ha permesso ad ognuno di noi di portare la luce a chi non ce l’ha e ha insegnato a noi che forse dovremmo un po’ crescere e smetterla di avere paura del buio.

È una buona lezione quella di questa mostra che apparentemente non mostra e che, invece, insegna, a noi fagocitati delle immagini, anche il valore del buio per vedere davvero la realtà.”

 
Tigre energica

Una giornata fuori dall’ordinario

Una rivoluzione d'amoreOggi 7 febbraio 2016 io e il noviziato Aretè abbiamo pernottato a Busto Arsizio per svolgere la seguente attività: Volontariato al reparto pediatria dell’ospedale di Busto. Il nostro compito era sostanzialmente “far divertire i bambini” seguendo i consigli dei volontari, che prestano lì servizio quotidianamente o almeno un paio di volte alla settimana.
Dato che il nostro noviziato è particolarmente numeroso (ovviamente, e PURTROPPO, non è vero) ci siamo dovuti dividere, per poter svolgere servizio, in due gruppi: uno svolgeva il turno sabato dalle 15 alle 17; l’altro la domenica sempre dalle 15 alle 17.
Purtroppo i bambini presenti da poter aiutare non erano molti perché il week end, anche se malati, tendono a passarlo assieme ai genitori; ma come un capo ci ha fatto notare il nostro “purtroppo” era per loro un “per fortuna” poiché molti non avevano potuto vedere durante la settimana i propri genitori perché quest’ultimi lavoravano. Comunque, io e il mio gruppo di altre 7 persone siamo andati la domenica pomeriggio. Come detto prima i bambini non erano molti, anzi saranno stati meno di 10 più le 2 volontarie del quale al momento non ricordo con certezza il nome; appena arrivati i bambini erano molto felici di vederci, e iniziammo immediatamente a giocare con loro. La prima fase del servizio è stata il calcio balilla dove i bambini con un età compresa tra i 4 e i 13 anni si sono sbizzarriti, e con sbizzarriti intendo che ognuno “inventava” nuovi tiri e li chiamavano sempre con modi diversi. La seconda fase è stata quella della buona e vecchia Nintendo Wii dove Matteo e Chiara hanno potuto mostrare le loro doti nel ballo con just dance 2014. La terza fase dove sono entrato in gioco io è stata quella dei palloncini dove ho potuto mostrare le mie doti nel “modellare” i palloncini dando loro forme di animali o oggetti. Le volontarie ci hanno rivelato che erano molto felici di vederci e dar loro una mano perché la maggior parte di esse passa il week end in famiglia e inoltre perché la minor differenza di età rispetto ai bambini li metteva più a loro agio, anche se qualcuno non riusciva comunque ad aprire bocca per la timidezza. Con i bambini ci siamo divertiti molto, passando un pomeriggio molto bello pensando solo al divertimento, proprio come se avessimo perso una decina di anni a testa. Ci siamo sentiti realizzati nel vederli felici e ciò ci ha reso ancora più contenti, perché, il tempo trascorre molto lentamente in un letto di ospedale, ma se ci si riesce a distrarre vola via senza accorgersene.
Testuggine Capace

Gli aquiloni vogliono volare

Coraggio.17
Una vita senza sfide, senza ostacoli, non è degna di essere così chiamata.
Quando l’uomo si misura con le difficoltà che incontra, conosce un po’ di più sé stesso.
Cos’è una sfida?
È “Nostro Meglio”, “Eccomi”, “Estote Parati”.
È sogno, determinazione, obbiettivo.
È testa alta e maniche arrotolate.
Chi siamo noi, BoyScout, se non proprio coloro che perseguono i loro sogni senza mai lasciarsi fermare dagli ostacoli che incontriamo lungo la strada? Dobbiamo essere fieri di noi stessi! Costruiamo un piccolo Mondo, all’interno di uno più grande, in cui non ci sono soltanto parole; dove i sogni più belli non finiscono quando ci svegliamo la mattina, ma sono Aquiloni liberi di volare più in alto e superare l’Impossibile. Noi che abbiamo davvero il coraggio di far volare i nostri Aquiloni. In nove anni di scautismo mai come ora sono orgogliosa di far parte di questo “Noi”. Noi che non siamo tonni, ma salmoni che nuotano controcorrente; come mi direbbe il vecchio Akela.
Mi chiedo: che rumore fa la Felicità?
Felicità è realizzare un sogno; sogno è puntare il dito sulla vetta della montagna; la montagna è la nostra sfida preferita. Quindi, Signori, cosa stiamo aspettando? Scaliamole queste montagne, puntiamo la bussola verso i nostri aquiloni.
Dopotutto basta un pizzico di coraggio per mettere un piede fuori dalla porta.

Cigno Determinato

Gli aquiloni vogliono volare

Coraggio.17
Una vita senza sfide, senza ostacoli, non è degna di essere così chiamata.
Quando l’uomo si misura con le difficoltà che incontra, conosce un po’ di più sé stesso.
Cos’è una sfida?
È “Nostro Meglio”, “Eccomi”, “Estote Parati”.
È sogno, determinazione, obbiettivo.
È testa alta e maniche arrotolate.
Chi siamo noi, Scout, se non proprio coloro che perseguono i loro sogni senza mai lasciarsi fermare dagli ostacoli che incontriamo lungo la strada? Dobbiamo essere fieri di noi stessi! Costruiamo un piccolo Mondo, all’interno di uno più grande, in cui non ci sono soltanto parole; dove i sogni più belli non finiscono quando ci svegliamo la mattina, ma sono Aquiloni liberi di volare più in alto e superare l’Impossibile. Noi che abbiamo davvero il coraggio di far volare i nostri Aquiloni. In nove anni di scautismo mai come ora sono orgogliosa di far parte di questo “Noi”. Noi che non siamo tonni, ma salmoni che nuotano controcorrente; come mi direbbe il vecchio Akela.
Mi chiedo: che rumore fa la Felicità?
Felicità è realizzare un sogno; sogno è puntare il dito sulla vetta della montagna; la montagna è la nostra sfida preferita. Quindi, signori, cosa stiamo aspettando? Scaliamole queste montagne, puntiamo la bussola verso i nostri aquiloni.
Dopotutto basta un pizzico di coraggio per mettere un piede fuori dalla porta.

Cigno Determinato