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Branca, branca, branca… (leon, leon, leon)

Udite, udite, signori, vassalli e messeri. Oggi, qui vi narro una storia singolare, di un’armata Brancaleone dai componenti più disparati, riunitisi per partire alla volta del ridente feudo di Kandersteg.
Suona strano? Ebbene, garantisco che è accaduto, proprio l’agosto scorso, quando non due, ma ben tre comunità diverse: clan Zenit, clan Nadir e noviziato Gnothi Seauton (o forse dovrei dire 40 persone diverse), si sono messe in cammino, insieme, per diventare una.
Alcuni visi sono nuovi, altri conosciuti molto superficialmente, ma soprattutto sono davvero tanti. Una moltitudine che fa quasi paura.
Non mancano le esitazioni e anche un po’ di iniziale diffidenza, ma ormai siamo sulla strada e passo dopo passo, si avvia un discorso, si scoprono cose in comune, ci si conosce, oppure ci si ritrova come vecchi compagni di avventure e il clima si fa già più disteso.
È risaputo come la strada, ma soprattutto le difficoltà che essa comporta, temprino e uniscano gli animi.
Può sembrare paradossale, ma ritrovarsi a cantare sguaiatamente su un sentiero buio di montagna, alle undici di sera, con lo stomaco vuoto, il viso scottato, le spalle dolenti, i piedi consumati dagli infiniti chilometri, le salite e le discese, lega molto di più di cento serate alla discoteca Minimal (senza nulla togliere ai nostri PR).
E poi l’esperienza di Kandersteg: un’altra marmellata di culture, lingue, uniformi colorate. È il nostro piccolo Jamboree, la nostra esperienza internazionale, con un pensiero rivolto a chi invece è davvero in Giappone. Ci sono scout dall’Inghilterra, dal Portogallo, dal Belgio, dalla Spagna; qualche stereotipato lupetto dagli Stati Uniti e persino un’Islandese! Qui scopriamo che a migliaia di chilometri di distanza, facciamo le stesse bans e molto simile è anche lo spirito attorno al fuoco di bivacco. Tutti abbiamo un fazzolettone al collo; tutti, seppur in modalità e associazioni differenti, facciamo scoutismo.
Gli incontri, gli scontri, la condivisione del dividere la tenda e il cibo, ma soprattutto del fare insieme, generano appartenenza.
È fondamentale che i membri di una comunità non appartengano semplicemente alla comunità in se stessa, ma che essi si appartengano gli uni con gli altri.
Gaber, interpellato dalla mitica pattuglia fede, ci insegna: L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Chi c’era due anni fa, ricorderà che non erano passati molti giorni da quando il clan Zenit e il clan Nadir avevano imboccato i due rami diversi di quel bivio importante in val d’Ossola, ma al rientro in stazione c’erano già due clan, con due, seppur brevi, storie vissute: chi aveva modificato il suo itinerario e aveva trovato ospitalità presso il guardiano di una diga, chi era salito e aveva camminato tra la neve, chi aveva sguazzato in una fontana avendo prova di bizzarre reazioni allergiche ai prodotti bio e chi aveva avuto incontri ravvicinati con un elicottero di soccorso.
Da lì, le nostre strade si sono progressivamente distanziate: diverse dinamiche, diverse esigenze, scelte diverse, che quasi senza che ce ne accorgessimo, andavano a costruire la nostra tanto ricercata identità comunitaria.
L’esperienza ci suggerisce dunque, che è tutta questione di strada, di mettersi in moto, di partire.
E come sa chi cammina, il difficile è cominciare, fare la prima salita, misurare il passo e adattare il fiato. Ma questo non basta: bisogna poi proseguire con costanza e determinazione, senza correre, che esaurirebbe tutte le energie in partenza, evitando le scorciatoie, che possono essere pericolose e senza mai fermarsi e restare seduti troppo a lungo, che è una grande trappola.
Diventare “tiepidi” può rischiare di affondare un clan. In Zenit lo abbiamo imparato e forse anche in Nadir.
Un clan vive di passione, fiducia, servizio e coraggio e il clan Kypsele ha l’irrefrenabile metodica operosità delle api nel suo nome e l’unione nel servizio come urlo.
Non più un’armata Brancaleone dunque, ma un Clan: un Clan che cammina.
Erica, Lince Riservata

Diversi insieme


Alla parola Impresa un misto di terrore e angoscia si dipinse sui nostri volti: «Ma come, non si erano concluse in Reparto?” Questa era la domanda che tutti ci ponevamo, dopo che i capi ci comunicarono l’imminente scelta che avremmo dovuto compiere, per trovare il progetto da portare avanti quest’anno.

Ebbene sì, anche il Noviziato segue il solito format:

  1. selezione di un ambito in cui operare (nel nostro caso, molto combattuta, maschi vs femmine: una faida/diatriba ricorrente);
  2. stesura del progetto;
  3. realizzazione del piano (loading…);
  4. verifica.

La decisione finale, che evidenzia la vittoria schiacciante della fazione femminile, è stata di dedicarci principalmente al volontariato; il primo passo del programma che ci siamo proposti, è stato indagare il fenomeno dell’immigrazione, analizzandone i luoghi comuni e cercando di sfatarli.
La domanda era: «Quanto ne sappiamo sugli immigrati? Ma sono proprio come noi?»

Per risolvere questo quesito, siamo andati a documentarci e abbiamo scoperto che il 90% dei pregiudizi sugli stranieri è infondato. Appurata la nostra ignoranza in merito e desiderando testare quella altrui, armati di questionari, ci siamo riversati nelle piazze di Busto e del circondario e abbiamo intervistato quanta più gente possibile, arrivando a raccogliere 200 pareri differenti. Dopo aver riportato i risultati in grafici abbiamo costatato quanto effettivamente si conosca poco il problema dell’immigrazione e quanto ci si affidi, come sempre del resto, a dei luoghi comuni (queste conclusioni, a breve, saranno affisse nella cappella che ci siamo proposti di realizzare, vi consigliamo di andare a darci un’occhiata: potreste rimanere sorpresi da ciò che abbiamo scoperto).

Successivamente, per non limitarci al mero apprendimento di freddi dati, abbiamo deciso di contattare quante più associazioni possibile, dal momento che il nostre interesse era (ed è) soprattutto rivolto agli immigrati in quanto persone. Desideravamo conoscere le loro storie, le loro esperienze di vita, dove erano nati, perché erano fuggiti dalla terra natia, quale viaggio lungo e tortuoso che li aveva portati in Italia, come era erano stati accolti, in che modo insomma erano giunti ad essere le persone di oggi. Con questo obiettivo, qualche settimana fa ci siamo recati a Saronno, dove abbiamo avuto il piacere di ascoltare la testimonianza del fondatore del primo gruppo per scout musulmani della zona. Non soddisfatti, prossimamente ci recheremo a Milano per scoprire altre realtà e cercare di dare il nostro contributo, seppur minimo. È stato bello scoprire realtà differenti ma parallele alla nostra; in fondo la diversità, per quanto ci si possa scherzare sopra, mostra tutta la bellezza del mondo.

Elena e Chiara