Lo chiamano “repartismo” per distinguerlo dallo “scoutismo” (o “scautismo”, in italiano desueto) in generale, dal “lupettismo” (che poi, perché “coccinellismo” non si sente mai?), roverismo e castorismo. Il “capismo” non esiste, e questo dovrebbe mettere la parola <FINE> sui discorsi di chi vede la Comunità Capi come una quarta branca (ma quarta o quinta?). L’idea del reparto (o “riparto”, sempre in italiano desueto), si è evoluta parecchio da quando è stata inventata più di un secolo fa. Per di più non si è mutata su una strada singola, ma il Metodo del reparto ha preso strade diverse diramandosi, allontanandosi e riavvicinandosi di volta in volta all’idea originale che, ad oggi, sarebbe quasi difficile spiegare.
Fatto sta che mi è capitato di sentire più volte discutere riguardo a quella che dovrebbe essere una delle massime che guidano proprio lo scoutismo in generale: “Ask the boy”. Il problema delle massime è che sono molto ispiranti, ma a volte lo sono troppo perché, invece di indicare una strada, mostrano un orizzonte. Ecco così che, quando ragioniamo sull’ask-the-boy powelliano, è come se contemplassimo un panorama dall’alto di un monte, ma senza avere una destinazione. In fondo i nostri boys (che, graziaddio, sono anche girls) sono dei mondi su cui noi capi gettiamo il nostro sguardo.
A questo punto il rischio dell’ask-the-boy “a prescindere” è quello di delegare scelte e (peggio che peggio) responsabilità ai nostri fratellini e sorelline. Un rischio per un capo e un peso non dovuto per un bambino o un adolescente. L’ask-the-boy è uno strumento, non un modo di fare. Al contrario l’impresa, ad esempio, non è uno strumento ma un modo di fare. Quindi il geniale, portentoso e rivoluzionario ask-the-boy non ci dice come guidare i ragazzi e ragazze che ci sono affidati, ma ci dà un potente strumento di attenzione, ascolto e partecipazione, ma non necessariamente di democrazia, si badi bene!
Allora come si fa? Se questo è un mezzo, qual è il modo?
Vorrei condividere un’immagine che mi è stata consegnata a questo scopo da capi molto più esperti di me e che mi è particolarmente piaciuta: immaginate una nave. Può essere una nave di qualsiasi tipo (da crociera, spaziale…) ma a me piace pensare ad un veliero pirata o corsaro o di un qualche condottiero dal grado strano tipo “commodoro” o “contrammiraglio”. Ognuno sulla nave, indipendentemente dal tipo di imbarcazione, ha un suo posto e un suo ruolo. L’equipaggio è ovviamente composto da esploratori e guide, ma i capi dove stanno? Al timone? Di vedetta? Seduti al quadrato degli ufficiali con la mappa e la bussola?
Signornò! Noi capi non siamo sulla nave: siamo il mare che la tiene a galla e, a volte, il vento che la spinge. Tutto il resto è in mano a loro.
EG (di nome e di fatto)