La notte tra sabato 11 e domenica 12 agosto è successa una cosa che alcuni si potevano aspettare ma altri no, ed è proprio per loro che sto scrivendo questo articolo che racconterà di un fatto riguardante due reparti: l’unione tra i due reparti Pegaso e Orione che all’apparenza potrebbe per alcuni essere una cosa molto triste ma per altri (come i capi) molto positiva. Ma non perdiamoci in chiacchiere e incominciamo, dunque, era sera e ogni reparto stava facendo le proprie cerimonie conclusive come l’assegnazione della vittoria dell’ultimo campo ecc… erano circa le undici e mezza di sera e la cerimonia era alle cinque del mattino e quindi tutti erano indecisi su cosa fare in tutto quel tempo ma alla fine c’era chi stava davanti al fuoco a cantare, a far due chiacchiere o a riscaldarsi visto la temperatura invernale, c’era anche chi è andato in tenda a dormire per la stanchezza… c’erano tante cose che si potevano fare. Scoccate le cinque ci siamo messi tutti in camicia e diretti davanti alla tenda della cambusa ogni reparto con le varie squadriglie ha urlato il proprio urlo per l’ultima volta, abbiamo tutti quanti attraversato il passaggio di lumini creato dai capi: c’era chi piangeva disperato e chi invece era felice di conoscere nuove persone e arrivati nel cerchio più grosso rispetto agli altri ci siamo ritrovati a essere un reparto unico e gigante. È stata una cosa incredibile passare da una normalità di un reparto qualunque ad essere in un’altra molto più grossa e forse anche più bella… ma non si sa mai perché di solito l’apparenza inganna e nessuno vuole questo. Però mancano delle cose perché un reparto non si forma soltanto prendendo delle persone ma mancano ad esempio il nome, l’urlo… questo ancora non è ancora un reparto completo ma non vi svelerò né il nome né l’urlo. Si potrà scoprire alla festa di apertura con tutti i vari passaggi.
Quindi questo è il racconto dell’unione tra Reparto Pegaso e Reparto Orione.
Alessandro Branda,
squadriglia Albatros del Reparto Pegaso
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Una presa tira l’altra
Domenica 11 dicembre, dopo il primo fantastico giorno di pernotto, si prosegue la nostra attività in una palestra da arrampicata.
All’inizio, l’attività non ci sembrava tanto entusiasmante, visto che affaticarci non ci entusiasma per niente. Bhè, sta di fatto, che questa attività non è come sembra. Prima di tutto non esiste un solo modo per fare arrampicata, ma ben tre.
Il primo, il più comune, è l’arrampicata su parete in cui, con l’imbragatura e con la corda, si sale sulle pareti, sì quelle con le prese tutte colorate. Lì si seguono i percorsi differenziati per colori. ovviamente ci sono varie difficoltà.
Il secondo, meno conosciuto, è il boulder. Una serie di percorsi bassi che possono essere difficili o facili. Si parte coi quattro arti posizionati sulle prese indicate e ci si arrampica fino all’ultima presa con cui bisogna tenersi con due mani per tre secondi per poi lasciarci cadere nel vuoto, tranquilli c’era un materasso. Le pareti del boulder non sono dritte, anzi, sono molto deformate rendendo i percorsi ancora più difficili.
Il terzo e ultimo è la gara, ovvero ci si arrampica su una parete dritta nel meno tempo possibile contro ad un avversario ed il primo che arriva in cima vince.
La parte di teoria fa sembrare la cosa moooolto noiosa, ma appena abbiamo provato ad arrampicarci ci siamo totalmente innamorati di quei percorsi.
A questo punto vi chiederete cosa può portare ad appassionarsi di uno sport che sembra infondato, noioso e senza senso. In realtà non lo so di preciso neanche io, so solo che appena ti attacchi ad una presa hai tanta paura, poi una presa tira l’altra e ti dimentichi totalmente delle tue paure, pensi solo e solamente alla cima.
Una volta sopra, sei soddisfatta di esserci arrivata. Guardi in basso e pensi come diavolo hai fatto ad arrivare fin lì. Quindi per chiunque pensi che fare fatica per questo sport, ma anche in generale, non serva a niente, che ci pensi due, tre, ma anche quattro volte prima di ripeterlo e ascolti bene queste parole: faticare serve e servirà sempre. Se vuoi fare lo scalza fatiche per tutta la vita sei destinato a vivere male; non pensare che le cose si risolvano da sole.
Mi sto dilungando e vi sto annoiando troppo, quindi vi lascio cari lettori del Tuttoscout e spero abbiate capito le mie parole.
Colibrì Creativo
Kandersteg
Oggi siamo qui per raccontarvi la nostra stratosferica esperienza all’International Scout Centre di Kandersteg. I nostri amatissimi capi (che ruffiani che siamo) hanno offerto questa opportunità al solo 4° anno e noi più che carichi abbiamo deciso di coglierla. Gasatissimi di questa idea, ci siamo “subito” messi all’opera dividendoci in pattuglie e organizzando meglio il tutto. Dopo svariati incontri, finalmente avevamo tutto pronto: cibo, catechesi e persino logistica. Il giorno 26 giugno, esattamente alle 7 di mattina, ci siamo ritrovati in sede carichissimi per partire verso le alpi svizzere! Dopo 5 ore rinchiusi in macchine stracolme di materiale e con un minimo spazio vitale, siamo finalmente giunti alla meta e delle bellissime montagne ci hanno subito accolto.
Finite le attività proposte dall’International Friendship, che erano finalizzate a facilitare la socializzazione con altri gruppi, ci siamo resi conto che l’unico modo efficace per conoscere gli scout presenti era tramite un bel torneo di calcio, organizzato inaspettatamente dai gruppi americani.
Per poter partecipare però a questo torneo, ci servivano altri giocatori e chi meglio degli “spietati” e “terribili” polacchi, un esercito di instancabili carri armati alimentati a pane, burro e cetriolini, con i quali avevano quasi completamente riempito tutti i frigoriferi a disposizione del campo.
Il gemellaggio che si è creato tra polacchi e italiani ha dato i suoi frutti. Ovviamente siamo usciti vincitori e per festeggiare al meglio la vittoria e per stringere nuove amicizie, abbiamo accettato l’invito dei polacchi alla loro meravigliosa e squisita grigliata che è stata accompagnata sia dai nostri canti che dalle loro classiche canzoni polacche. Purtroppo, abbiamo dovuto abbandonare i nostri amici perché il giorno dopo ci avrebbe aspettato un’escursione al bellissimo lago Oschinensee, allora dopo esserci salutati siamo andati nella nostra tenda per riposarci dalla faticosa giornata.
La mattina successiva, dopo aver fatto un’eccellente colazione, siamo partiti più carichi che mai per raggiungere la meta; la durata prevista era di circa 4 ore, ma noi camminando e parlando non ci siamo nemmeno accorti del tempo che passava e una volta arrivati sulla cima, abbiamo potuto ammirare l’immensità e la bellezza del lago. Dopo aver camminato ancora un po’ in un bosco che era decorato da strane statue in legno abbiamo deciso di fermarci perché la fame aveva preso il sopravvento e così subito dopo aver finito di mangiare, abbiamo iniziato ad avvicinarci al lago: inizialmente per lanciare banalmente dei sassi, poi per pucciare i piedi e alla fine per farci un bel bagno nella “caldissima” acqua del lago.
Dopo aver fatto il momento di catechesi sulla riva, siamo ripartiti per ritornare al nostro campo. Essendo la strada tutta in discesa, ci abbiamo impiegato molto meno tempo e una volta arrivati abbiamo deciso di giocare a beach volley prima di farci una doccia rilassante.
La sera, dopo essere sfuggiti ad un altro invito da parte dei polacchi, abbiamo cucinato tutti insieme e dopo aver mangiato, ci siamo dedicati al momento di catechesi che ha previsto un pochino di abilità manuale visto che abbiamo fatto un anti stress. Alla fine ci siamo messi a dormire perché il mercoledì era prevista una camminata al lago Blausee, però ci sarà una sorpresa.
La mattina siamo partiti subito dopo colazione e una volta arrivati in paese, ci siamo divisi in gruppi da 2. Dopo una breve spiegazione su cosa fosse l’azimut e su come utilizzare una cartina, ogni gruppo è partito speranzoso di raggiungere la meta (bella sorpresa vero?). Ovviamente siamo arrivati tutti senza problemi all’ambito lago, dove l’acqua era talmente blu da riuscire a vedere il fondo con dei bei pesci che ci sguazzavano all’interno, inoltre si poteva ammirare anche una statua di una ragazza.
Dopo aver mangiato i nostri panini, abbiamo avuto del tempo libero in cui ognuno di noi ha potuto fare quello che più gli piaceva: per esempio sdraiarsi su un’amaca, usare lo scivolo dei bambini o semplicemente camminare intorno al lago per ammirarne la sua bellezza. Per nostra fortuna ha iniziato a piovere appena abbiamo iniziato ad avviarci; una pioggia che ha persistito per tutta la strada del ritorno. Tuttavia, ci siamo consolati cantando per tutto il tempo.
Il pomeriggio lo abbiamo passato a pensare cosa avremmo dovuto fare il giorno dopo (l’ultimo giorno) e abbiamo deciso che visto il brutto tempo non sarebbe stato brutto andare in piscina, tanto l’acqua era riscaldata quindi non ci sarebbero stati problemi.
Avendo una giornata tranquilla, ci siamo svegliati relativamente presto e siamo andati subito alla piscina, dove appena entrati ci siamo fiondati in acqua e ci siamo restati per un po’ di ore giocando insieme. Tornati al campo, dopo cena, eravamo abbastanza carichi per poter affrontare una veglia durante la quale ognuno di noi aveva l’opportunità di esprimere i propri dubbi e perplessità riguardo la religione, occasione ben colta da tutti. Essendo l’ultima sera, abbiamo approfittato per stare svegli più a lungo rispetto gli altri giorni per passare insieme il tempo che ci rimaneva prima di tornare a casa.
Il giorno della partenza… durante la mattinata abbiamo preparato gli zaini, smontato la tenda, sistemato materiale e cibo avanzato e caricato tutto quanto sulle due agilissime macchine che ci hanno accompagnato durante il viaggio. Dopo un pranzo leggero e un’interminabile partita a scacchi svoltasi sotto la reception di KISC, siamo partiti verso casa e questa volta tutti noi avevamo più spazio vitale che ha permesso di “addormentarci più comodamente”.
Quest’esperienza ci ha senza dubbio permesso di legare e di conoscerci meglio, perché il tempo non basta mai ed auguriamo di poterla vivere a tutti coloro che hanno voglia di mettersi alla prova per confrontarsi e migliorarsi.
A spasso nel tempo
Eccolo li, uno dei momenti più attesi da tanti scout: IL CAMPO ESTIVO! Arrivati anche gli ultimi ritardatari, c’eravamo proprio tutti e uno più emozionato dell’altro abbiamo caricato furgone e pullman per poi partire. “Silenziosi e tranquilli” come al solito abbiamo affrontato il viaggio che, con tutta l’attesa che c’era, sembrava non finire mai. Arrivati a destinazione era ora di montare il campo, ma, fra una cosa e l’altra era già sera. È l’ora di cena e poi… IL BIVACCO. Come tanti già sanno, un quarto del bivacco è passato a spostarsi dal fumo del fuoco che va negli occhi a metà reparto, ma il resto… il resto è indescrivibile perché tutti si lasciano andare cantando a squarciagola (chi più chi meno) e giocando (sempre e comunque con un po’ di felicità) e sono proprio quelli i momenti indimenticabili che abbiamo passato tutti insieme con un sorriso a 32 denti stampato in faccia! Poi è il momento del lancio! Ci siamo trovati davanti uno scienziato pazzo (molto, mooolto pazzo) che ci presenta la sua MACCHINA DEL TEMPO! Niente di meno incredibile di quello che sembra. E dopo la teoria, ecco il momento della pratica, ma dopo aver schiacciato vari bottoni, tirato leve e mosso strani aggeggi e dopo i vari controlli di sicurezza non poteva che esserci qualche imprevisto… a causa di qualche guasto, la macchina del tempo ha spedito lo scienziato in chissà quale epoca, ma non è tutto, perché ogni giorno, sia lo scienziato che noi venivamo catapultati in un’altra epoca. Ovviamente dovevamo risolvere questo problema perché avremmo potuto causare dei gravi danni al futuro. Così ogni squadriglia ha costruito una macchina del tempo (una più bella dell’altra) e tutti siamo andati alla ricerca dello scienziato… abbiamo vagato fra le varie ere ogni giorno che passava e abbiamo praticamente conosciuto i contemporanei dei flinstones! Siamo andati A SPASSO NEL TEMPO alla ricerca di quel povero pazzo superando sfide ardue e risolvendo enigmi alquanto strani. Eravamo ad un passo da lui fino a quando… BOOM! Tutte le epoche hanno iniziato a mischiarsi, si sono formati varchi e tutto si è confuso… dovevamo per forza rimettere tutto a posto. Con fatica, abbiamo richiuso i varchi, ricacciato ognuno nella sua epoca e “recuperato” lo scienziato. Così (FINALMENTE) tutto è tornato al suo posto! Purtroppo il sogno sta per finire… certo ci sarebbero milioni di cose da raccontare (ad esempio possiamo parlare di quando abbiamo “epicamente” giocato a palla scout e roverino con un altro reparto) ma… beh… non possiamo mica raccontarvi tutto!
Colibrì creativo, Leonessa tenace
Ready to go!
“È giunta l’ora, è giunto il momento, di essere protagonisti del nostro tempo, la strada è la stessa anche se siamo lontani…”
Ebbene sì, i 4 anni passati nell’Orione si fanno sentire, lo zaino che ti incurva la schiena, gli scarponi pesanti, i guidoni, nostri temerari compagni d’avventura, i fazzolettoni pieni di ricordi, i canti stonati lungo i sentieri.
Questo ci portiamo nel cuore noi passandi.
Sorrisi, pianti, lamentele, amicizie, bivacchi… tutti con un filo conduttore… NOI, che fin da subito ci siamo visti come una famiglia, NOI che condividiamo tutto, sia nel bene che nel male, NOI compagni d’avventura, NOI che abbiamo pianto alla vista dei nostri fratelli passare su quel ponte.
Da oggi quel NOI diventerà un VOI.
“…servire è la sfida, il futuro è domani affrontiamo con coraggio ogni salita, diritti al futuro sulle strade della nostra vita!”
Prima o poi tutti lasceranno la loro famiglia perché è così che si cresce.
Catapultati in un nuovo mondo, continueremo la nostra vita, passo dopo passo verso nuove mete ed avventure.
Upupa Alacre, Usignolo Radioso
Un nuovo inizio
Quest’anno i passaggi si sono svolti come sempre, prima i lupetti più grandi vengono accolti nei vari reparti, poi i repartisti del quarto anno che entrano nel noviziato. L’unica differenza sono le persone che passano ogni anno, quest’anno toccava a me. Il sabato sera con il reparto Orione avevamo fatto una fiesta (FESTA) per festeggiare le diverse imprese fatte durante l’anno e salutare le persone che se ne sarebbero andate. La mattina seguente non mi ero ancora resa conto che quel giorno sarebbe stato l’ultimo trascorso con il mio reparto che mi ha accompagnata per ben quattro anni e per quanto il tempo fosse volato, quattro anni sono davvero tanti. Innanzitutto vorrei ringraziare i capi che mi hanno insegnato ad amare il mondo dello scoutismo, che mi hanno aiutata nei momenti più difficili e mi hanno trasmesso molte conoscenze utili. Inoltre vorrei dire ai repartisti nuovi o meno di avere coraggio per affrontare i problemi, per lanciarsi in nuove avventure, per essere se stessi, per ammettere di aver sbagliato e non scoraggiarsi, … Perché il coraggio è l’ingrediente segreto di ogni cosa. Durante il mio ultimo anno da guida ho avuto il piacere di essere a capo di una nuova squadriglia.
Devo ammettere che è stato un compito arduo, purtroppo eravamo partite con il piede sbagliato, ogni volta che qualcuna faceva un qualsiasi genere di errore, invece di aiutarci, la criticavamo. Ma piano piano abbiamo iniziato a conoscerci, ad apprezzarci e abbiamo capito che prendersela con l’altra era una mossa sbagliata. Col tempo diventavamo sempre più unite a tal punto che alla fine si è creato un legame forte tra di noi ed è stato difficile lasciarci. Era però giunto il mio momento di salire su quel ponte, e mentre salutavo l’ultimo dei capi che mi augurava “BUONA STRADA”, mi era scesa una lacrima perché l’emozione aveva preso il sopravvento ed era così forte che è stato impossibile trattenerlo, e proprio in quel precisissimo istante ho rivisto passare tutti i momenti davanti ai miei occhi in un batti baleno. “A CIEL SERENO” avevo risposto.
Shobha Mazzucchelli
Il trabocchetto della escape room
Sapete cos’è una escape room? Un tempo era solo un particolare tipo di videogioco: un personaggio (di solito un investigatore) si trova in una particolare situazione da cui deve trarsi d’impaccio attraverso la ricerca di indizi ed oggetti utili al suo scopo.
Oggi, nell’anno del Signore 2016, anche in Italia è realtà: con un piccolo gruppo di amici si può provare l’ebbrezza di trovarsi chiusi in locali senza finestre avendo soltanto 60 minuti di tempo per uscirne (i locali sono pieni di enigmi che consentono, una volta risolti in sequenza, di guadagnare terreno verso l’uscita). Qualche settimana fa, mentre rientravo a casa da Milano con uno degli ultimi -ma non per questo meno affollati- treni del pomeriggio, ho potuto apprendere nel dettaglio molti degli indovinelli e delle peculiarità della “escape room” di recente apertura nel capoluogo meneghino. Come? Sorbendomi circa 20 minuti di racconti incrociati tra un lui che aveva scelto una particolare ambientazione e una lei che ne aveva scelta un’altra. Una esaltazione così non la vedevo dai mondiali del 2006.
Le descrizioni degli ambienti erano fatte con dovizia di particolari da parte di entrambi: probabilmente avrebbero saputo ricostruire una copia perfetta della stanza a casa loro. Improvvisamente un cambio di argomento: la ragazza pare si debba sposare e riferisce al ragazzo, con poco celato fastidio, che una volta a casa dovrà recarsi dal parroco per un incontro. Subito giunge quel che sarà l’unico, strascicato commento del ragazzo: “Ah sì? Be’, vi parlerà della famiglia, di quanto sia importante educare i figli e bla bla bla”. Bla bla bla. Questo bla bla bla è entrato nelle mie orecchie e si è insinuato negli spazi del pensiero.
Il contrasto tra il primo e il secondo discorso mi ha aiutato a ricordare che un po’ tutti rischiamo di perdere il senso della misura, attribuendo troppa importanza ad una questione e troppo poca ad un’altra. È un rischio che corriamo anche nelle attività scout. A volte ci perdiamo, corriamo dietro ai nostri programmi, discutiamo, modifichiamo, approviamo, facciamo uscite comode e ci dimentichiamo che, fondamentalmente, lo Scoutismo è “vita rude all’aria aperta” (come ci ricordava padre Brasca l’anno scorso, citando don Ghetti). La branca E/G in particolare non può sottrarsi a questo destino. L’intero anno scout guarda al campo estivo: il campo, ricorda B.-P., è la parte gioiosa della vita di uno scout. Del campo estivo non si può parlare in termini di bla bla bla. Il campo è la fatica della costruzione, la lotta contro il vento e la pioggia, la certezza che la cura e la precisione riservati al montaggio della tenda saranno ripagati dalla sensazione di sentirsi al sicuro, nella propria casa di tela, il giorno della burrasca; il campo è la gioia di un canto intorno al fuoco di bivacco; il campo è il torrente che scorre a pochi passi dal tuo giaciglio, il sole che sorge da dietro un monte quando tutti stanno ancora dormendo ma tu sei lì che lo guardi perché ti mancava.
Il campo è la preghiera della sera, che ti fa riposare in Dio.
Carlo Maria
Roma caput mundi
“Roma caput mundi”, dicevano così i latini. Roma capitale del mondo.
Anche io devo dire che la penso così. Non ho mai avuto nulla da invidiare alle altre città europee o mondiali, tutto l’invidiabile ce l’abbiamo noi e ne vado fiera. Sono stata 3 volte a Roma di cui 2 con il reparto. Adoro viaggiare, ma viaggiare con il tuo reparto, con le persone a cui vuoi bene è tutta un’altra cosa.
Un giorno i capi arrivano e chiedono a noi capi sq cosa ne pensavamo di andare a Roma per il Giubileo dei ragazzi e saltare il campo di Pasqua. Senza aggiungere altro io tutta entusiasta e subito d’accordo accetto volentieri di saltare il campo per andare a Roma. Mi giro per vedere cosa ne pensavano gli altri e vedo delle facce poco convinte: non volevano saltare il loro ultimo campo.
Io straconvinta della mia decisione inizio a convincerli uno a uno perché era impensabile lasciarsi sfuggire un’occasione simile. Convinti tutti inizia il problema dell’autofinanziamento. È stata dura trovare tante chiese diverse dove vendere i biscotti per finanziare tutto il “campetto”, ma con un po’ di impegno e volontà finalmente siamo riusciti a racimolare tutti i soldi necessari. C’era solo da aspettare il giorno della partenza e, dopo una fremente attesa arriva il fatidico giorno. Prendiamo vari treni e dopo 5 ore di viaggio arriviamo nella capitale: finalmente Roma!
Non vedevo l’ora di mettere piede in quella splendida città e appena arrivata probabilmente ero la più euforica. Dato che era tardi siamo andati direttamente in oratorio per dormire e prepararci per la lunga giornata che ci aspettava. Il giorno dopo ci svegliamo tutti carichi e andiamo a San Pietro per passare dalla Porta Santa prendendo l’indulgenza e per ascoltare la messa. Dopo tutto questo finalmente andiamo a fare un veloce tour della città: fontana di Trevi, Altare della Patria, fori imperiali e infine quello che attendevo con più ansia: il Colosseo.
Il Colosseo.
Solo il nome mi fa venire i brividi. È la storia: ha esattamente 1944 anni ed è ancora lì, imponente a ospitare migliaia di visitatori ogni giorno. Mi lascia senza parole ogni volta che lo guardo. Come si fa ad osservarlo senza fermarsi almeno 5 minuti a pensare a tutta la storia che si porta sulle spalle?
Arrivata lì, proprio nell’istante in cui rimasi a guardare fissa il Colosseo capii perché volessi andare a Roma e saltare il campo, non per i monumenti o per ottenere l’indulgenza, no.
Io ero lì per far parte di un momento che ricorderemo negli anni a venire e che il Colosseo ricorderà a un’altra ragazza come me.
Federica Capone
Quali fonti e quale acqua
A chi capita di andare in montagna, succede di trovare lungo il cammino diverse fonti d’acqua. Io diffido sempre da quelle facilmente accessibili: più sono in alto, più mi sento sicuro nell’abbeverarmi. Non sappiamo cosa potrebbe aver inquinato la fonte che ci troviamo dinnanzi: un animale morto poco più sopra potrebbe aver imputridito l’acqua; magari l’acqua ci pare limpida, ma qualche batterio invisibile la contamina.
Più in alto della sorgente non c’è nulla: il rischio di avvelenarsi si riduce.
Ecco, per un giovane capo (o meglio, “adulto in formazione” per l’AGESCI) la possibilità di dissetarsi con acqua non buona nei momenti di “sete educativa” non è così remota.
Anzitutto ci sono i nostri ricordi ed esperienze: in mancanza d’altro, ciò che viene più spontaneo è offrire ai ragazzi quanto noi abbiamo vissuto, nell’illusione che “se è servito a me, servirà anche a loro”; i ragazzi di oggi, tuttavia, non sono i ragazzi di ieri e non saranno quelli di domani. Ad ogni anno i propri strumenti e le proprie attività, nella continuità del metodo.
Poi ci sono i “maestri di oggi” che ti vendono qualche strana pozione etichettata “risultato garantito”. Verrebbe da dire con B.-P.: “cucù e ciarlatani”!
Infine ci siamo noi: con le nostre idee e profonde convinzioni; pensiamo, a volte, di essere gli unici con quella trovata geniale che salverà il branco dalla noia, il reparto dall’incompetenza, il clan dall’indifferenza e ci dimentichiamo che non possiamo darci da bere da soli; l’episodio di Gesù e la samaritana al pozzo (Gv 4,7-26) ci ricorda questa verità: la misericordia di Cristo ci attende per dissetarci con acqua pura che zampilla.
Come placare la nostra “sete metodologica”, allora? La strada, ancora una volta, ci è indicata dal caro don Andrea Ghetti nel piccolo ma penetrante libro “Al ritmo dei passi” (p. 121): “AD FONTES!”, andare alla fonte! Dice Baden: “Noi preferiamo le acque fresche e sorgive: noi seguiamo una traccia, quella di un uomo scopritore in modo eccezionale e magistrale del cuore e dei bisogni dei giovani”. Si potranno realizzare molte cose, rispettabilissime, ma non si fa Scoutismo se non si seguono le fondamentali direttive del fondatore.
Per questo conoscere i testi di B.-P. è di vitale importanza per il capo e per lo Scoutismo: “vitale” nel senso proprio di legato alla vita; alla vita dello Scoutismo, perché rimanga integra, perché non abbia deviazioni; alla vita del servizio attivo del capo -mediamente troppo corta- perché non perda la freschezza e la passione.
Mi si perdoni se il mio sguardo è limitato alla nostra Associazione, ma in AGESCI è lo stesso Patto Associativo (cui ogni capo deve aderire) a rinviare agli “scritti e alle realizzazioni pedagogiche di Baden-Powell”. Lo stesso B.-P. rileggeva “Scoutismo per ragazzi” una volta all’anno: ci crediamo migliori di lui? Fuggiamo, dunque, pozze e stagni e domandiamoci sempre (in particolar modo durante quest’anno santo): quali fonti e quale acqua?
Carlo Maria
Contro il rammollimento della branca E/G
Negli ultimi tempi assistiamo di continuo ad un fenomeno particolare: pochi vogliono essere ciò che sono.
Anche gli scout sembrano presi dall’assurda voglia di vivere nel futuro o rimpiangere il periodo passato, dimenticandosi così di vivere la realtà nell’istante presente. Quando ero in servizio in branca L/C un folto gruppo di lupetti portava il fazzolettone “alla reparto” (sarebbe a dire: nodino impercettibile e cementificato sul fondo, cosicché se mi trovo senza corde in un’emergenza e mi serve qualcosa per legare posso escludere di utilizzare il mio fazzolettone); nulla di nuovo, ai miei tempi si diceva “alla Orione” perché gli esploratori di quel reparto lo portavano così. Senonché una domenica mattina, mentre assistevo un lupetto nella complicata operazione di ritiro del sacco a pelo, mi si fa avanti un tosto lupo della legge che mi fa: “Hathi, guarda, io rifaccio il sacco a pelo alla reparto”. Lo guardo dubbioso: come sarebbe rifare il sacco a pelo “alla reparto”? Scopro allora che tutti gli esploratori e le guide, a detta del lupetto, semplicemente buttano il sacco a pelo nella sacca e lo pressano sino a che questa possa chiudersi. Ho sempre pensato alla interazione tra branche come ad un bene (lo abbiamo sperimentato anche lo scorso B.-P. Day con un’attività interbranca): per i ragazzi del reparto è un’occasione, un piccolo servizio, poter giocare con i fratellini e sorelline più piccoli e d’altra parte la branca L/C esiste in quanto fase preparatoria al reparto (lo dice B.-P. nel Manuale dei Lupetti: «Tutti i ragazzi hanno la possibilità di apprendere come diventare Esploratori entrando dapprima negli Scouts, proprio come nei tempi antichi gli Scudieri imparavano a divenire cavalieri. E così anche i piccoli Esploratori, i “Lupetti”, come i paggi di una volta che si preparavano per divenire Scudieri, possono imparare come divenire Esploratori quando ne avranno l’età»).
Certo, il presupposto per un felice incontro è che i grandi sappiano essere d’esempio, ed è esattamente per questo che svolgo ora il mio servizio in branca E/G. Sarà che ho cambiato da poco, ma ogni tanto ho qualche problema di identità: oscillo tra Hathi e Carlo Maria.
Mi sembrava di essere tornato nella Giungla quando il Con. Ca. (per i non addetti: il Consiglio Capi è, salvo eccezioni, costituito dai capi reparto e da tutti i capi squadriglia) si è visto pervadere da un vivace entusiasmo per la scelta del tema del campo invernale. Il tema è il filo conduttore del campo, grazie al quale è possibile passare uno specifico messaggio e ambientare le diverse attività; negli ultimi tempi quasi sempre si cede a film e cartoni animati molto simpatici e i capi non ci badano molto perché, tutto sommato, “basta che ci sia un tema per le scenette di lancio dei vari giochi”.
Da troppo tempo, insomma, il tema è sinonimo, anche in reparto, di “ambiente fantastico” all’interno del quale, appunto, ambientare le diverse attività.
C’è un problema: “l’ambientazione” è un elemento tipico del metodo L/C. Per carità: il Consiglio Supremo dell’Agesci non avrà nulla da ridire se utilizziamo strumenti di altre branche, la cosa non ci è vietata da nessuno. Come spesso accade, però, sconvolgere l’ordine creato ha delle conseguenze non banali: un uso massiccio, non controllato, dello strumento “ambientazione” in branca E/G conduce alla lupettizzazione. E così noi avremo lupetti che, coerentemente, aspirano a divenire esploratori ed esploratori che, accidenti, vogliono tornare lupetti! Lo stadio avanzato (cui, mi pare, siamo già giunti) comporta che quando si parlerà di “Up!” o di “Madagascar”, i ragazzi sfoggeranno capacità argomentative invidiabili per sostenere che l’uno è meglio dell’altro; quando si parlerà, invece, di impresa (che è rischio, avventura, sogno, progettazione, fatica…) un silenzio religioso avvolgerà il cerchio di reparto e il monito sibilante del vecchio Kaa si farà di nuovo sentire: “Quando abbiamo mutato la pelle, non possiamo rientrarci di nuovo”.
Carlo Maria
Dare da mangiare agli affamati: misericordia a Fagnano Olona
Il reparto Orione ha inaugurato il percorso di catechesi sul tema giubilare incontrando prima di Natale un testimone coerente della prima opera di misericordia corporale. Di seguito il breve resoconto di una squadriglia.
Il signore che oggi è venuto a trovarci si chiama Norberto ed è il presidente dell’associazione Pane di S. Martino di Fagnano Olona.
Questo nome deriva dal santo a cui era dedicata la prima parrocchia del paese: nella festa di S. Martino infatti era usanza distribuire ai fedeli del pane benedetto che veniva poi distribuito nelle case del paese e donato agli abitanti più poveri.
L’associazione si occupa di distribuire il cibo alle famiglie più bisognose mediante il sistema del banco alimentare, utilizzando le eccedenze di supermercati, industrie e della stessa Unione Europea; è formata da volontari che fanno collette e distribuiscono il cibo una volta al mese cercando il più possibile di instaurare rapporti di fiducia con le famiglie aiutate, avvicinandosi all’idea di una misericordia possibile per l’uomo attraverso l’aiuto materiale del prossimo.
Ognuno nel suo piccolo può aiutare queste famiglie offrendosi come volontario per le collette o aderendo al progetto “famiglie solidali” ed impegnandosi così nell’acquisto periodico di determinati beni di consumo necessari alle famiglie sostenute dall’associazione.
Sq. Iene