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Un’esperienza diversa

Lo scorso pernotto i nostri capi ci hanno fatto provare un’esperienza nuova: un pernotto divisi maschi e femmine. Il pernotto è iniziato come tutti gli altri: abbiamo preso il treno con gli enormi zaini e siamo scesi a Varese sicuri che di lì a poco avremmo avuto indicazioni su dove andare, ed invece… ci siamo trovati su un pullman. Il viaggio è stato rilassante.
Appena arrivati alla nostra meta le ragazze sono scese da un lato e i ragazzi si sono avviati verso l’altro lato della strada. Così, su due piedi, pensai a due cose:
1) che i capi pensassero di dividere maschi e femmine per arrivare al punto lungo strade diverse;
2) farci fare un pernotto separati.
La seconda fu la risposta esatta.
Infatti i due capi rimasti con noi ci spiegarono che questo pernotto lo avremmo vissuto solo tra ragazze. Ci diedero una cartina per squadriglia, sulla quale abbiamo facilmente localizzato la destinazione ma poi, con grande sorpresa, ecco che ci veniva distribuita un’altra cartina uguale alla precedente con lo stesso punto da localizzare. Ci dissero che ci avrebbero diviso in quattro gruppi in cui avrebbero mischiato tutti i componenti delle due squadriglie. Una volta formati i gruppi ne mandarono uno alla volta verso la strada che sembrava loro più giusta. Il mio gruppo partì per ultimo e, essendo tutte del primo e secondo anno, si agganciò a noi un capo.
Il cammino fu abbastanza breve e all’arrivo ci aspettava un posto molto caldo e una buona cena da consumare.
Infatti ci era stato detto di portare ognuna qualcosa da mangiare per fare una buona cena condivisa. È stato un momento piacevole.
Finito il pranzo ci siamo riunite e abbiamo parlato dell’impresa di reparto: ci sono stati distribuiti due blocchi di fogli, il primo personale e il secondo di squadriglia, su cui avremmo scritto, da lì in avanti, i progressi dell’impresa. Dopo aver parlato e discusso su alcuni punti dell’impresa che non erano molto definiti abbiamo iniziato a giocare.
Il gioco era molto semplice: dovevamo cercare in giro per la città 8 bigliettini. Essendo la città molto piccola ci fu facile orientarci e, in poco tempo, ci preparammo alla caccia ai bigliettini nascosti!
La ricerca è stata più difficile del previsto e in mezz’ora avevamo trovato un solo bigliettino su 8.
Alla fine, con un po’ di fortuna siamo riuscite a trovare tutti i bigliettini e a passare alla fase successiva del gioco: salire fino ad una chiesetta e ammirare il fantastico panorama notturno che si estendeva sotto di noi. C’era molta pace e serenità e sembrava quasi di volare. C’erano un sacco di luci di case illuminate e sembravano tante lucciole in basso oppure centinaia di stelle in cielo…
Il gioco era ufficialmente finito e, anche se avevamo perso, avevamo guadagnato un posto che resterà indelebile nella mia memoria. Tornate all’oratorio abbiamo pregato e ci siamo tuffate nei sacchi a pelo pensando a cosa avremmo fatto il giorno seguente.
Verso le 11 eravamo già arrivati in chiesa a Porto Ceresio e c’eravamo riuniti con i ragazzi arrivati a piedi da Viggiù. Dopo la messa ci hanno comunicato che saremmo andati alle trincee. Ci siamo arrivati con una camminata che ci è sembrata lunga e faticosa (e con qualche scivolone), abbiamo mangiato e ci siamo raccontati a vicenda, tra ragazzi e ragazze, che cosa avessimo fatto.
La siesta è stata un momento per avventurarci da soli nelle trincee: avete mai visto qualcosa che era stato usato in modo spaventoso ma la cui vista non può che essere meravigliosa?
Era la prima volta che provavo questa sensazione, forse perché era la prima volta che vedevo una trincea.
Dopo la siesta c’è stato un momento dove tutto il reparto ha visitato ben due trincee!
I capi, inoltre, avevano organizzato un gioco che si svolgeva dentro le trincee: consisteva nel cercare un cartellone nei bunker in cui si erano nascosti i capi e scriverci il proprio nome, ma c’era una difficoltà: i capi, ogni tanto, “sganciavano delle bombe” e, se ti trovavi in quella zona di galleria, perdevi la vita, che era un bicchiere di plastica allacciato al collo. Ma non era tutto: per rendere il gioco ancora più complesso c’era la questione che i membri delle altre squadriglie potevano romperti la vita e, finché non te ne procuravi un’altra, non potevi scrivere il tuo nome sui cartelloni.
Il gioco è stato molto bello e, stancamente, alla fine abbiamo ripreso i nostri zaini e siamo andati in stazione prendere il treno.
La giornata si è conclusa con la preghiera e i saluti.
Questo pernotto lo ricorderò bene perché è stato il primo che ho passato solo tra ragazze.

 
Laura Merlo

Italia sì: una pizza in compagnia

pegasoemigranti“Da quanto tempo sei in Italia?”, chiedo al mio passeggero, con un occhio a lui e un occhio alla strada circondata del buio di dicembre. Mi guarda per dirmi che non ha capito, così scandisco “Tu, da quanto qui?” aiutandomi con qualche gesto. “Sei mese”, risponde, incerto sulla pronuncia.
Viene dal Senegal, questo è il suo primo inverno, non aveva mai conosciuto questo freddo.
Lo sto riaccompagnando a casa, o meglio, alla “struttura d’accoglienza” che ospita lui, i due che se ne stanno silenziosi sul sedile posteriore e la trentina di migranti di varia provenienza con cui abbiamo passato la serata.
Abbiamo fatto la spola con le macchine da Fagnano Olona all’oratorio del Gerbone, dove il Reparto Pegaso è giunto a piedi e non ci siamo messi a fare troppi discorsi, anche per il banale motivo che, della nostra strana compagnia di ospiti, pochi parlavano inglese e quasi nessuno italiano: due campi, due palloni… Giocare a calcio o a basket con quei ragazzi è stato, quantomeno, insolito. La loro enfasi, la loro voglia, sembrava incontrastabile (tiravano certe cannonate!), ma è comprensibile se si pensa che molti di loro, non avendo ancora un lavoro, non possono fare altro che starsene nel “recinto” di quella casa che in certi momenti può sembrare una prigione. Nei loro tiri c’erano settimane o mesi di voglia di correre.
pegasoemigranti2A questo punto, rotto il ghiaccio, la confidenza è stata raggiunta nel modo più efficace dai tempi di Adamo: seduti in cerchio davanti al cibo!
Pizze, per l’esattezza, perché se si fa una cosa la si fa bene!
È stato a questo punto che i nostri nuovi amici, con un po’ di inglese o francese o con gesti o con amici che traducevano il portoghese o chissà quale altra parlata, hanno iniziato a raccontarci chi erano: ragazzi di vent’anni, o poco meno o poco più, che avevano sogni e vite lasciate dall’altra parte del mare in cambio di qualcosa che non hanno ancora trovato. C’è uno studente di economia che avrebbe voluto lavorare in banca, un poliglotta dalle cinque lingue, un panettiere che, semplicemente, non ce l’ha più fatta…
Storie dalle radici lontane, ma che, raccontate così, mostrano qualcosa di brutalmente vicino a noi.
Ragazzi come noi, solo da un’altra parte.
I lampioni illuminano la strada, scacciando la nebbia dei campi. Dentro la macchina aria calda e silenzio: silenzio, il mio, di chi avrebbe tanto da chiedere; silenzio, il loro, di chi non riesce a parlare.
Quando ci congediamo ci stringono le mani e ci ringraziano con i sorrisi bianchissimi. Capiamo che non è per le trenta pizze, ma per i due palloni…

 
Geco Coinvolgente

Un pernotto indimenticabile

La base di CaslinoIl giorno 24 ottobre dovevamo recarci nel paese di Caslino al Piano partendo dalla stazione ferroviaria delle Ferrovie Nord.
Per raggiungere la nostra meta, dovevamo cambiare il treno e prenderne un altro.
Un volta arrivati a destinazione, ci siamo diretti in un bosco dove avremmo montato le tende ed avremmo passato un pernotto indimenticabile.
Dopo aver montato le tende siamo andati a far legna per accendere il fuoco.
Una volta aver acceso il fuoco abbiamo cenato e ci siamo preparati per il bivacco.
Dopo un po’ di tempo i capi reparto hanno fatto chiamata dal quel momento in poi è iniziato il bivacco.
Noi squadriglie, per far vedere come ci eravamo mimetizzate per nasconderci nel bosco, dovevamo fare un sfilata e una parte divertente della sfilata è stata che una delle aquile si è messa ad urlare e a correre. Mentre lei correva noi stavamo morendo dal ridere, soprattutto io.
Una volta finita la sfilata ebbe inizio il gioco notturno.
I capi ci hanno detto di metterci in riga e al loro fischio dovevamo andare a prendere un telone e più cordini possibili per costruire un rifugio. Noi coyote mentre correvamo per trovare quattro alberi su cui mettere il telone ci siamo perse: non capivamo dove eravamo. Grazie al cielo abbiamo trovato Martina, che ci ha indicato il sentiero dove avremmo potuto fare un rifugio. Una volta trovato il posto abbiamo costruito il rifugio e ci siamo rilassate. Subito dopo sono venuti i capi e ci hanno dato delle mollette: dovevamo prenderne una e andare nella base, sorvegliata dai capi, dove c’erano dei palloni da rubare. In quel gioco dovevamo cercare di non essere scovati, come un gioco delle spie. Dopo aver finito il gioco i capi ci hanno detto di smontare il rifugio e tornare dove c’erano le tende.
Dopo questo gioco abbiamo fatto una gara di canzoni tra maschi e femmine e come sempre hanno vinto le femmine!
Finalmente (perché eravamo molto stanchi) abbiamo fatto la preghiera e siamo andati a dormire.
Il pranzo a CaslinoDomenica ci siamo alzati e, dopo la messa, abbiamo fatto il gioco delle tappe in cui abbiamo spiegato a chi è appena entrato in reparto che qui ci sono cose nuove e come funzionano. Per pranzo i “primini” hanno fatto delle pizze insieme ai capi con un forno a legna del campo. Dopo aver mangiato abbiamo smontato le tende e abbiamo giocato un po’.
Prima di partire abbiamo fatto un altro gioco a scalpi e, dopo averlo finito, abbiamo preso gli zaini e ci siamo diretti verso la stazione per tornare a Busto Arsizio.
Questo pernotto mi è piaciuto molto e la mia nuova squadriglia è molto determinata e faccio parte di un reparto bellissimo.
Concludo con:

“NEL FIRMAMENTO
UN CAVALLO ALATO
RIEVOCA TEMPI LONTANI
REPARTO PEGASO”
Klaudia Prela
Squadriglia coyote

Ma quanti campi da cambusieri ci siamo persi?

Un mezzogiorno qualsiasi, arriva un messaggio. Mi si chiede di andare a fare da cambusiere al campo Pegaso… per il giorno seguente! Armi e bagagli, non c’è tempo da perdere, via verso un’esperienza di servizio un po’ alternativa!
Sono rimasto in cambusa per un paio di giorni soltanto, col fido Guss, compagno di mille avventure, al mio fianco. Ora, che cosa ho tratto da questa breve (ma intensa) esperienza da cambusiere? Innanzitutto, il servizio è sporcarsi le mani – e non solo – con la gioia di farlo, anche lavorando dietro le quinte, e quindi posso affermare che sia stata una delle più belle esperienze di servizio nella mia “carriera” da rover.

E qui arriviamo al perché del titolo: quanti campi da cambusieri ci siamo persi? I rover e le scolte che si occupano della cambusa ad un campo sono abbastanza una rarità. Perché non proporre questo tipo di servizio? Trovo che ricoprire questo ruolo possa essere un’ottima esperienza da portare nel proprio bagaglio, utile a conoscere un aspetto fondamentale di un campo, a mio avviso troppo spesso sottovalutato o delegato ad altri (spessi ai genitori…). La mia esortazione quindi è: proponetevi come cambusieri, vi assicuro che quando ci avrete provato anche voi non potrete fare a meno di chiedervi: “ma quanti campi da cambusieri ci siamo persi?”

Tricheco Critico  (Lollo)

Canzone per la “Nota d’oro”

Volano i punti
quando prendi un passaggio all’hike
sembra che, non interessino
a chi vuole solamente riposar
eccoci attorno al fuoco
a cantare la nostra realtà
eccoci siam tutti uniti, ehi
passano tutti passano
ma quando salgono il ponte tremerà
sembrano esplosioni inutili
ma in certi cuori qualche cosa resterà
non si sa come si creano
queste atmosfere di felicità
vivono con la speranza di cambiare questa società

Siamo solo stasera davanti a chi
ci trasmette ancora ingenuità
e san sorridere, ci fan sorridere
li riconosci han gli occhi pieni di spazi
siamo ancora stasera davanti a chi
ha iniziato il sentiero prima di noi
non sanno perdere li noti subito
li riconosci, han le menti piene di sogni
la voglia di nuovi passi, il cuore colmo di battiti e gli occhi pieni di sé

Crescono, talenti crescono
e danno tutto quel che hanno in libertà
donano, non si interessano di ricompense e tutto quello che verrà
brilla, il cavallo brilla
ci guida nelle notti di magia
cantano, i grilli cantano
ascoltali creando l’armonia

Siamo solo stasera davanti a chi
ci ha dato la giusta energia
per partire, e per giocare
li riconosci, han i piedi pieni di passi
siamo ancora stasera davanti a voi
che ci avete dato l’opportunità
sapete prenderci, proprio da subito
li riconosci, hanno le tasche piene di sassi
i volti soddisfatti
il cuore pieno di battiti
e gli occhi pieni di sé

Noemi, Giorgia, Giulia

Il campo (f)estivo

È difficile scrivere
un articolo in rima
ma sono stati giorni da vivere
come poesia.
Sette giorni son pochi
come campo estivo
ma se son pieni di giochi
e divertimento attivo
sarà come nell’anno
un giorno festivo.
Poca strada dal pullman
certe cose rubate
il vigile sordo
per terra dalle risate.
Matilde sei mitica!
Sta in ascensore
con il solito uomo
che vuol vender le rose.
Con il lago alle spalle,
le gambe in salita
comunque sia la strada
non sarà mai infinita.
Tuffi dal molo
anche per Mister Campo:
“Non darmi la spinta!”
“preferisco il salto”.
E tra amori rappati
per capi rasati,
alcuni impiccati
altri dall’albero cadono.
C’è chi ha paura dell’acqua,
chi delle api
tanti dolci
per compleanni festeggiati.
E poi le cose che fan piangere
“se non fossi scout”
“con gli occhi pieni di sè”.
Per noi secondini
ci sono anche i Totem
nelle tende, vicini
ad aspettare.
Al ritorno si dorme
si scattano foto,
un po’ di occhi aperti
o stravaccati sugli altri.

Questo campo mi ha fatto capire che, comunque sia la strada, qualsiasi fatica da sopportare, ogni tuffo da fare, sarò sempre con qualcuno che avrà sempre la forza di farmi sorridere.
Grazie per le bellissime esperienze, saluto anche il nostro quarto anno che purtroppo tra poco passerà.

Ghiandaia Estrosa  (Irene Pendin)

Cambiamento

Reparto Pegaso alla festa di apertura

Cambiamento: probabilmente la parola più adatta per descrivere questi ultimi mesi.
Dall’inizio della scuola superiore, quindi nuova scuola e nuovi compagni, agli scout, ma soprattutto il trasferimento. Cambio casa, paese e di nuovo scuola.
È stato abbastanza duro, ormai erano quattordici anni che vivevo in quel paese, in quella casa, il mio campo di atletica, un po’ conciato, ma ci avevo fatto l’abitudine e poi i miei amici, quelli che vedevo ogni giorno appena uscivo da casa, con cui ho condiviso tutto, dalle cose brutte a quelle belle.

La scuola, abitavo in un paese piccolissimo in cui ognuno sapeva tutto di tutti, sono sempre andata a scuola a piedi e invece quest’anno ho cominciato a prendere il pullman; a scuola adesso ci sono i ragazzi più grandi e a volte mi sono sentita e mi sento piccolissima. Riguardo all’indirizzo di studi che ho scelto penso ancora che sia quello giusto. Con i compagni di su ho subito legato, con questi ci ho messo un po’ di più perché ero ancora confusa da tutto quello che stava succedendo.
Atletica: come ho scritto prima ero molto affezionata al mio campo, un po’ conciato, vero, ma era il mio campo e avevo legato con tutti. Gli allenatori erano tutti molto in gamba e temevo che qui non fossero così, invece sono davvero bravi e a me sembra mi stiano aiutando e controllando molto.
Casa, la mia casa, anzi le mie case, perché praticamente vivevo nella casa di mia nonna ogni giorno, in quelle case ci ho passato tutta l’infanzia, inutile dire tutti i ricordi che ho e che sicuramente non dimenticherò.

Anche gli scout, cinque anni, non volevo abituarmi all’idea che tutto sarebbe finito, in fondo però sapevo bene che in qualche modo avrei continuato. L’ultima notte del campo ero disperata, pensavo che non potevo lasciare a metà il mio cammino, l’avevo iniziato e l’avrei dunque portato avanti, infatti la settimana prima dei passaggi mi è stata fatta un proposta che senza pensarci ho accettato, continuare almeno ai campi.
Un altro importante cambiamento avvenuto proprio agli scout, è stata la divisione del Bustotre; l’unica cosa che posso dire è che mi spiace, pur non essendo presente, vedere il solito “quadrato” più piccolo, manca anche il mio vecchio branco. So che è una storia complicata e delicata, ma penso, forse un po’ ingenuamente, che un modo per non arrivare a questa situazione ci sarebbe stato. Con questo non voglio dire che non rispetto questa decisione, ma continuo a pensare che, magari fra un po’ di anni, tutto tornerà come prima.

Il cambiamento porta a nuove esperienze, l’uomo ha paura delle cose nuove, di ciò che non conosce e anch’io adesso so che tutto quello che reputavo un “dramma” alla fine era solo paura e di una cosa sono certa: senza l’aiuto dei miei amici non sarei qui a scrivere, mi sono stati vicini, mi hanno fatto sentire che c’erano.
Alla fine il più grande cambiamento sono stati proprio loro: la paura di perderli non c’è più perché, vedendo che ci sono stati e ancora adesso continuano ad esserci, ho cominciato a credere che “se gli amici sono veri, restano per sempre”; sono piccola per un “per sempre”, ma questo pensiero mi rassicura.

Giorgia Maggiolo (Lepre lapidaria)