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È la strada di chi parte… ed arriva per partire

Cantami o musa, degli eroi coi calzoni corti (acacciadiventoisemplicicanti)
Che molto vagarono, dopo aver lasciato il porto sicuro di Casier,
di molte meduse conobbero la specie e sperimentarono le punture,
molte canzoni cantarono sulla laguna, imparandone il dialetto,
per raggiungere la Meta, e far comunità coi compagni…

Ma dico la sentite?
Questa storia la fa sembrare un tragedia greca! Alleggerisci bella!
Da qui attacchiamo noi, cara… Non molto tempo fa, sulle sponde del Sile, il clan Kypsele era pronto a salpare alla volta di Venezia: avevamo chiara la nostra meta! A bordo di colorati kayak (bizzarri aggeggi di cui tutt’ora il funzionamento ci rimane oscuro), pagaiata dopo pagaiata, siamo giunti a Casale sul Sile. Da lì, il giorno seguente, con coraggio ci siamo imbarcati, nonostante il cielo plumbeo non promettesse nulla di buono. Dopo circa 2585 pagaiate e mezza, un fulmine (segnale dell’ira di Zeus!) ha squarciato l’etere e il terrore si è diffuso tra di noi tanto che sbarcammo, in tutta fretta, al sicuro, sul terreno paludoso. Riuscite ad immaginarvi la scena? Siamo pronte a scommettere di no: fradici, infreddoliti abbiamo iniziato a “sorridere e cantare anche nelle difficoltà”, saltando gioiosi nel fango. Ripresa la marcia in compagnia di mantidi e lumachine, nei giorni seguenti abbiamo esplorato le lande di Mazzorbetto e Sant’Erasmo, scorso il canal grande di Murano, rischiando la vita ad ogni ansa e visitato la variopinta isola di Burano, caratterizzata da casette di colori diversi perché i pescatori, con la nebbia, potessero riconoscerle con facilità. Gli ultimi due giorni abbiamo sostato a Mestre dove, tra giochi e docce fredde, ci siamo confrontati sul nostro punto della strada: un momento unico, molto toccante, che ci ha coinvolti in prima persona, incoraggiandoci a far cadere le maschere, a metterci a nudo di fronte alla comunità, a spogliarci dei pregiudizi, a guardare l’altro con occhi nuovi e fraterni. È stato in questo istante che abbiamo sentito di far parte di qualcosa di grande ed importante; ci sentivamo come i pescatori di Burano in ritorno dal mare: a casa. Venezia era stata raggiunta, la comunità di Clan formata: eravamo arrivati… o forse no. Il percorso di fede della route ci ha portato a riflettere su cosa voglia dire raggiungere una meta, o sulla dubbia esistenza di essa. Ci si può mai dire arrivati nel rapporto con gli altri? Giungiamo mai ad un punto in cui non possiamo diventare una versione migliore di noi stessi? Esiste un traguardo nella fede, oltre il quale le domande si esauriscono? O forse la nostra vita si fonda su una continua progressione che trova, sì, porti sicuri in cui rifugiarsi, ma non la sua Itaca. Il viaggio arricchisce; le esperienze che viviamo, le persone che incontriamo rappresentano sempre una svolta nel nostro cammino che è, quindi, destinato a proseguire imperituro.
Una risposta è un tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle, solo una domanda può puntare oltre.”

 
Chiara Sidoti, Elena Banda,
Ilaria Scudeller

Branca, branca, branca… (leon, leon, leon)

Udite, udite, signori, vassalli e messeri. Oggi, qui vi narro una storia singolare, di un’armata Brancaleone dai componenti più disparati, riunitisi per partire alla volta del ridente feudo di Kandersteg.
Suona strano? Ebbene, garantisco che è accaduto, proprio l’agosto scorso, quando non due, ma ben tre comunità diverse: clan Zenit, clan Nadir e noviziato Gnothi Seauton (o forse dovrei dire 40 persone diverse), si sono messe in cammino, insieme, per diventare una.
Alcuni visi sono nuovi, altri conosciuti molto superficialmente, ma soprattutto sono davvero tanti. Una moltitudine che fa quasi paura.
Non mancano le esitazioni e anche un po’ di iniziale diffidenza, ma ormai siamo sulla strada e passo dopo passo, si avvia un discorso, si scoprono cose in comune, ci si conosce, oppure ci si ritrova come vecchi compagni di avventure e il clima si fa già più disteso.
È risaputo come la strada, ma soprattutto le difficoltà che essa comporta, temprino e uniscano gli animi.
Può sembrare paradossale, ma ritrovarsi a cantare sguaiatamente su un sentiero buio di montagna, alle undici di sera, con lo stomaco vuoto, il viso scottato, le spalle dolenti, i piedi consumati dagli infiniti chilometri, le salite e le discese, lega molto di più di cento serate alla discoteca Minimal (senza nulla togliere ai nostri PR).
E poi l’esperienza di Kandersteg: un’altra marmellata di culture, lingue, uniformi colorate. È il nostro piccolo Jamboree, la nostra esperienza internazionale, con un pensiero rivolto a chi invece è davvero in Giappone. Ci sono scout dall’Inghilterra, dal Portogallo, dal Belgio, dalla Spagna; qualche stereotipato lupetto dagli Stati Uniti e persino un’Islandese! Qui scopriamo che a migliaia di chilometri di distanza, facciamo le stesse bans e molto simile è anche lo spirito attorno al fuoco di bivacco. Tutti abbiamo un fazzolettone al collo; tutti, seppur in modalità e associazioni differenti, facciamo scoutismo.
Gli incontri, gli scontri, la condivisione del dividere la tenda e il cibo, ma soprattutto del fare insieme, generano appartenenza.
È fondamentale che i membri di una comunità non appartengano semplicemente alla comunità in se stessa, ma che essi si appartengano gli uni con gli altri.
Gaber, interpellato dalla mitica pattuglia fede, ci insegna: L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Chi c’era due anni fa, ricorderà che non erano passati molti giorni da quando il clan Zenit e il clan Nadir avevano imboccato i due rami diversi di quel bivio importante in val d’Ossola, ma al rientro in stazione c’erano già due clan, con due, seppur brevi, storie vissute: chi aveva modificato il suo itinerario e aveva trovato ospitalità presso il guardiano di una diga, chi era salito e aveva camminato tra la neve, chi aveva sguazzato in una fontana avendo prova di bizzarre reazioni allergiche ai prodotti bio e chi aveva avuto incontri ravvicinati con un elicottero di soccorso.
Da lì, le nostre strade si sono progressivamente distanziate: diverse dinamiche, diverse esigenze, scelte diverse, che quasi senza che ce ne accorgessimo, andavano a costruire la nostra tanto ricercata identità comunitaria.
L’esperienza ci suggerisce dunque, che è tutta questione di strada, di mettersi in moto, di partire.
E come sa chi cammina, il difficile è cominciare, fare la prima salita, misurare il passo e adattare il fiato. Ma questo non basta: bisogna poi proseguire con costanza e determinazione, senza correre, che esaurirebbe tutte le energie in partenza, evitando le scorciatoie, che possono essere pericolose e senza mai fermarsi e restare seduti troppo a lungo, che è una grande trappola.
Diventare “tiepidi” può rischiare di affondare un clan. In Zenit lo abbiamo imparato e forse anche in Nadir.
Un clan vive di passione, fiducia, servizio e coraggio e il clan Kypsele ha l’irrefrenabile metodica operosità delle api nel suo nome e l’unione nel servizio come urlo.
Non più un’armata Brancaleone dunque, ma un Clan: un Clan che cammina.
Erica, Lince Riservata