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Quel che resta del rover

Questo è il momento in cui giriamo l’ultima pagina dell’album “Scatti di coraggio: l’esperienza della Route Nazionale 2014”. Devo confessare che sopraggiunge un poco di mestizia. L’idea di scrivere un ciclo di articoli sulla più recente route dell’Associazione mi è venuta perché ritenevo che un evento di tale portata richiedesse molto tempo per essere digerito, apprezzato, giudicato (così scrivevo nell’ormai lontano n. 142 di Tuttoscout). Mi sono accorto, però, che tener viva la memoria mi ha aiutato a tener vivo lo spirito (lo spirito da rover, s’intende: lo spirito saldo e giocherellone). Così quello che doveva considerarsi “fatica” (il lavoro di individuare singoli attimi della Route per analizzarli e cavarne fuori cose intelligenti) è divenuto piuttosto sostegno nell’affrontare una difficile chiamata al servizio (bella espressione: la usano parecchio in Associazione!). Difficile perché seria, seria perché esigente. Ad un incontro regionale capi il simpatico e barbuto assistente ecclesiastico ha spiazzato tutti quando, rivolgendosi ai capi ventenni, ha affermato: “E voi non pensate di considerarvi giovani! Voi siete (dovete essere) adulti. Punto. Non prendiamoci in giro”. Io sono molto in difficoltà quando qualcuno, en passant, mi dice “Ah quindi tu sei capo…”. Momento. Diciamo che mi sto sforzando. Quanto all’adulto, invece, mi sento già più in pista ma non certo per merito mio. Il merito, piuttosto, è dei tanti anni di educazione scout che mi hanno portato alla Partenza. La Partenza serve perché ti danno un’accetta. L’accetta serve per farsi largo nelle difficoltà. Lo spirito rover serve a farsi largo restando dritti e sorridendo.

Questo è quel che resta del rover, ma cosa resta della Route Nazionale 2014? Certamente non poco: le azioni di coraggio, una targa e un portale al parco di S. Rossore, un ricco e stimolante documento. Su quest’ultimo occorrerebbe interrogarsi sia in Clan che in Comunità Capi. Per i Clan: quanto è servita la Carta del Coraggio? Ha orientato la scelta dei capitoli? Ha fornito spunti per modifiche alla Carta di Clan? A queste domande non posso rispondere (magari un pimpante rover o una bellissima scolta potrebbero scrivere un articolo, no?). Per la Co.Ca.: ci siamo interrogati a sufficienza sulla Carta del Coraggio? Ne abbiamo analizzato i contenuti? Abbiamo tratto spunti ed idee per il prossimo progetto educativo di gruppo? La risposta è no, ma bisogna avere pazienza: la fretta uccise il serpente giallo che mangiò il sole. Non si può montare una tenda prima di aver analizzato il terreno e tolto sassi che la notte potrebbero impedirci il sonno tranquillo. La Co.Ca. ha fatto grandi passi avanti in questo anno (alcuni visibili, altri meno): stiamo ancora lavorando, ma sono certo che presto avremo tempo e modo di riflettere sulla Carta del Coraggio e su molte altre importanti questioni.

Mi perdonerete se questo articolo risulta un po’ disordinato: sto scrivendo di getto, diversamente dalle altre volte. Il fatto è che non riesco a trovare un’immagine che possa degnamente riassumere tutta la RN; ne ho ancora parecchie in mente, ma nessuna sembra poter essere così ampia da contenere il ricco significato di un’esperienza storica che non si ripeterà se non fra qualche decennio. Forse dobbiamo guardare alla prossima route nazionale: forse dobbiamo ancora una volta ricordarci che per lo scout, così come per il cristiano, la fine è sempre legata ad un inizio. Forse in questa lunga route che è la nostra vita, il parco di S. Rossore non è stato che una tappa: abbiamo smontato le tende, lasciato il posto meglio di come l’abbiamo trovato e siamo ripartiti. Dove ci fermeremo la prossima notte? Quali compagni avremo di fianco? Chi ci aiuterà a portare lo zaino? Cosa ci aspetta ancora lungo la strada?

Carlo Maria

Pronto: sono il Papa

Questa volta è difficile rendere con uno scatto fotografico le sensazioni provate nel “Campo del futuro”, l’arena di S. Rossore, quando colpiti da raggi di sole simili a ferri roventi, abbiamo partecipato alla S. Messa che ha concluso la Route Nazionale.
Ci sparavano addosso l’acqua con degli idranti, tanto faceva caldo. Ci si attrezzava come si poteva per coprirsi la testa dal sole: si sono verificate molte conversioni all’induismo nel corso della celebrazione (turbanti di magliette a go-go!); forse sono aumentati anche i fedeli buddisti, ricordo molti RS in stato di profonda, molto profonda, meditazione. C’era anche, tuttavia, uno sparuto gruppo di cattolici svegli che si sono occupati dell’ordinaria amministrazione: rispondere al telefono (al Papa, che ci ha fatto uno squillo per ricordarci di non farci rubare la speranza sotto il naso) e ascoltare l’omelia del Card. Bagnasco; quest’ultima è stata particolarmente ricca di spunti: bisognerebbe tenerla sempre sott’occhio perché mi pare abbia un forte valore programmatico, diversi punti meriterebbero una verifica da parte dei capi circa la testimonianza di fede che questi sono chiamati a dare.
Sia per ristrettezze di tempo e sia perché siamo in Quaresima (e quindi cerco di astenermi in generale dal troppo, nello specifico anche dalle troppe parole), mi limito a pubblicare alcuni stralci dell’omelia utili alla attenta riflessione di tutti.

Il coraggio di essere liberi
Si parla molto di libertà, ma non si vedono molti uomini liberi. Siete voi persone libere? Un popolo libero? Com’è facile credersi liberi e com’è difficile esserlo veramente! Ci viene predicato che ognuno deve essere legislatore di se stesso, che dobbiamo essere “slegati” (da legami, valori, norme, tradizioni, istituzioni…). Si vive un nichilismo allegro che fa il tiro a segno con ogni principio e valore usando l’arma della scelta individuale, poiché – si dice – è la scelta che rende buono o cattivo il nostro comportamento, giusto o ingiusto. Ma in realtà, così facendo, non siamo liberi ma sfondati, perché senza fondamento nella nostra vita: laddove tutto è possibile, nulla esiste! (Gerard Schmit, “L’epoca delle passioni tristi”). Com’è vero! Se tutto si equivale nella vita – ogni comportamento, valore, principio… basta che sia stato scelto da ciascuno – allora perché sacrificarsi per qualcosa, a volte fino a dare la vita? […]

Il coraggio di essere cristiani
Seguire Gesù è il coraggio più grande: esso comporta e compie anche il coraggio di essere liberi e di amare. Gesù è la Libertà, l’Amore, la Vita. È paradossale, ma da tempo il nostro vecchio occidente ha paura di dirsi cristiano, e rappresenta il cristianesimo come una favola per paurosi, una consolazione per perdenti, la negazione della libertà, la mortificazione della gioia, un pericolo per la società. E non di rado si alimenta la denigrazione, inforcando supponenti e infastiditi gli occhiali della prova scientifica. Come reagiamo noi a questa rappresentazione? Ci lasciamo intimidire? Forse ci dichiariamo cristiani ma non troppo, quasi per attutire l’impatto e le possibili conseguenze?
[…]
Affidarsi a Gesù significa accogliere il giogo della sua parola, dei suoi comandamenti: giogo dolce non perché non chieda impegno, ma perché è un giogo d’amore. E chi ama fatica, ma non si affatica. Credere a Cristo significa accoglierlo intero, Lui il Capo e la Chiesa le sue membra. Abbiamo il coraggio di accoglierLo intero? Di non prostrarci a quanti dicono: Cristo sì, Chiesa no?

Carlo Maria

Io, Jimmy e la Carta del Coraggio

Clic: «Accidenti, è un po’ scura» (c’era il flash disattivato). Clic: «Ok, ora è meglio!». La foto che analizziamo in questo numero inquadra un momento certamente storico per l’Associazione: siamo nella piazza del coraggio, sullo sfondo si staglia il tendone viola sotto cui è riunito per la prima volta il Consiglio Nazionale degli R/S dell’AGESCI.

La votazione finale della Carta del Coraggio si conclude con un applauso liberatorio: grande, infatti, è stata la fatica dei 462 alfieri che, in rappresentanza di tutti i Clan partecipanti alla RN, hanno riassunto le “strade di coraggio” di migliaia di giovani per farle confluire in un unico testo scritto. Fin qui tutto bene e tutto bello.

Cosa è successo dopo? Un giornale on-line, di cui non ricordo il nome, è entrato in possesso del testo della Carta del Coraggio (prima ancora che questa venisse pubblicata sul sito dell’AGESCI) e ha scatenato un acceso dibattito su alcune affermazioni in essa contenute.

Non eravamo pronti: questo ho appreso, da un membro del Consiglio Nazionale (questa volta dei Capi) prima che iniziasse la verifica della RN svoltasi sempre al Parco di S. Rossore ad inizio ottobre. “Non eravamo pronti”: suona strano per chi dell’estote parati fa un motto e, quindi, un modo di agire.

Mi rendo conto di essere un po’ enigmatico, quindi mi appresto ad esemplificare. I giovani scrivono sulla Carta che la famiglia è da loro “intesa come qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto” (Carta del Coraggio, p. 16). Alcuni giornalisti scrivono quel che ben potete immaginare.

Taluni capi si sbrigano a prendere le distanze dalla Carta del Coraggio, talaltri cantano vittoria inneggiando alla rivoluzione associativa. Entrambe le categorie di capi, a mio modesto avviso, si trovano nell’errore. Se per errore intendiamo, infatti, una falsa o mancata conoscenza della realtà, è palese che sia i primi che i secondi non hanno compreso quale era la realtà del documento, cioè la sua natura, il suo scopo.

Ha scritto molto bene il mio amico Enrico Gussoni (la cui partecipazione al Consiglio Naz. R/S onora tutto il Gruppo) su Tuttoscout n. 142; il suo articolo a pagina 16 sottolinea, infatti, il principio pedagogico, espresso da B.-P., cui l’Associazione si è ispirata per ideare lo strumento (già, perché si tratta di uno strumento) della Carta del Coraggio: “Ask the boy”, chiedi al ragazzo.

La Carta del Coraggio non è un nuovo Patto Associativo, è bene dirlo chiaramente. Si tratta della “manifestazione libera di ciò che è nel cuore dei ragazzi” (introduzione alla Carta del Coraggio dei presidenti del Comitato Nazionale); a questa manifestazione segue l’ascolto profondo dei capi e la “ricerca intelligente della risposta alla domanda di educazione e di autoeducazione”. Cioè: osserviamo la CdC, deduciamo i motivi che hanno spinto i ragazzi ad esprimere certi concetti, agiamo in conformità al nostro metodo educativo e alle scelte contenute nel Patto Associativo cui ogni capo aderisce. Dal ragazzo al capo, dal capo al ragazzo.
 
Sarebbe da irresponsabili, dunque, non interrogarsi sulla Carta del Coraggio e prenderne le distanze. Sarebbe assurdo pensare che questa costituisca il nuovo orientamento educativo dell’Associazione.
 
Se così fosse, la Co.Ca. dovrebbe sbrigarsi a cambiare i propri orientamenti: dovrebbe alla svelta far capire ai ragazzi che io e il mio cagnolino Jimmy, poiché ci amiamo e ci rispettiamo reciprocamente (lui scodinzola sempre quando torno a casa), siamo una famiglia; successivamente dovremmo sbrigarci a sostituire le nostre insegne e a dire addio al nostro caro don Matteo, perché a quel punto saremo diventati l’AGESI – Busto Arsizio 3.
 
Carlo Maria Cattaneo
 
P.S.: ho già accennato ai molti spunti positivi espressi nella Carta del Coraggio in un precedente articolo, quindi non mi sono ripetuto; mi è parso, invece, opportuno prendere posizione anche su una questione più spinosa che, comunque, ci riguarda.