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La Freccia Rossa all’Università Cattolica

Freccia Rossa cartolinaLa storia della Freccia Rossa della Bontà, l’impresa scout del 1949 raccontata dal Clan Zenit insieme a Federica Fratini, è arrivata anche all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
È
stata la professoressa Carla Ghizzoni ad invitare, giovedì 12 maggio, Ilaria Scandroglio ed Enrico Gussoni all’interno di una lezione del corso di Storia delle Istituzioni Educative. Gli ex scolta e rover anziani dello Zenit hanno agganciato il loro intervento alla lezione sulla disputa educativa e politica tra la Chiesa Cattolica e il regime fascista culminata nei “fatti del ’31”. Partendo da un doveroso accenno all’attività dello scoutismo clandestino tra il 1926 e 1945 e un riferimento all’attività di soccorso e aiuto a rifugiati e perseguitati politici dell’OSCAR, si è introdotto il discorso della nascita del roverismo italiano e della vocazione al servizio tipica di questa branca.

Da lì all’incontro con Don Gnocchi, una figura che gli allievi delle materie pedagogiche rincontreranno nel proseguo dei loro studi, il salto è guidato dalle condizioni della Milano dell’epoca, in cui “il sindaco Greppi indisse una colletta tra i più agiati per pagare i vaccini contro la tubercolosi” e dove “c’erano bambini che morivano di poliomielite”.

Con un accenno alla scoutismo “Malgrado Tutto” e all’attuale impegno di AGESCI nell’accogliere la disabilità, si è quindi arrivati all’impresa vera e propria: mentre le immagini scorrevano sul proiettore si ripercorreva la strada e gli incontri compiuti da quei rovers e dai loro tre capi, coraggiosi in primis ad accettare e proporre questa sfida educativa.

Non si è trascurato di menzionare l’appoggio istituzionale ed ecclesiastico al “Raid Milano-Oslo”, ne i suoi significati più profondi. Al di la dell’impresa avventurosa e “sportiva”, infatti, centrale rimane la meta del “Moot della riappacificazione”, l’incontro che per primo dopo la guerra riunì rover da tutto il mondo, e la connessa visione pacifica e profetica di un’Europa unita in pace e solidarietà.

LogoRNOvviamente, parlando a giovani coetanei di coloro che quest’impresa l’hanno vissuta e di cloro che l’hanno poi raccontata nel volume “La Freccia Rossa – 1949: diario di un’impresa scout attraverso l’Europa” non si è potuto dimenticare di menzionare il significato presente di questa impresa e l’ottica di “diritti al futuro” con cui si è deciso di raccontarla durante il Capitolo e Route Nazionale 2014: il fatto che questi ragazzi non aspettarono di essere “adulti” per essere cittadini, ma si misero in gioco appena possibile per un obbiettivo grande.

L’intervento, come il libro, ha destato stupore e interesse tra gli studenti e i complimenti della professoressa Ghizzoni per la “ricerca storica svolta fuori dell’ambito universitario […] analizzando tutti i tipi di fonti: iconografiche, stampate e orali…”

La prossima occasione per raccontare della Freccia Rossa sarà a Marnate il 2 luglio, nella sera di una due giorni che unirà scoutismo e volontariato presso la Casa di Alice.

Jamboree 2015

logo Caro lettore, stavolta voglio parlarti del viaggio in Giappone che ho fatto quest’esta  te… Ovviamente tu ti starai chiedendo: “Perché costui vuole parlarmi del suo viaggio in Giappone, ma soprattutto cosa c’entrerà mai con gli scout un posto così lontano?!”
Beh ti posso dire che c’entra… eccome se c’entra!
Questo viaggio mi ha portato a conoscere un sacco di scout provenienti da tutto il mondo, e le loro storie.
La destinazione finale del mio viaggio è stata Kirarama nella prefettura di Yamaguchi al 23° World Scout Jamboree.
jamboree2015 Prima di partire però ho dovuto partecipare a due campetti che servivano ad illustrarmi la cultura del paese ospitante (il Giappone, appunto) e su come comportarmi ad un evento così importante.
Non voglio però dilungarmi troppo sull’aspetto pre-Jamboree, ma voglio illustrarti le tappe del mio viaggio e che cosa ho fatto al 23 WSJ.

Partenza ore 14:00 del 22/07/2015
Luogo: Milano Malpensa
Da qui parte la mia fantastica avventura che mi porterà in Giappone passando per Doha in Qatar, il volo è durato un sacco… circa 21 ore di viaggio, però dopo qualche film e qualche partita ai videogiochi sono finalmente arrivato in Giappone, più precisamente a Osaka all’aeroporto del Kansai.
Da lì io e gli altri ragazzi arrivati lì per il Jamboree ci siamo spostati in treno, direzione Kyoto, tappa intermedia del nostro viaggio.

jamboree_flags24/07/2015
Luogo: Kyoto
Qui ci siamo fermati per tre giorni per fare in modo che noi IST (International Service Team) potessimo incontrare l’affascinante cultura giapponese… Qui secondo me la parola “WA” (tema del Jamboree) che significa armonia, viene molto rappresentata da questa città dove tecnologia e passato si sposano.
Basti pensare che Kyoto è la città dove ha sede la Nintendo, ed è allo stesso tempo la Firenze del Giappone grazie al fatto di essere stata la sede del palazzo imperiale. Trascorsi questi tre giorni all’insegna della scoperta di una cultura completamente diversa il viaggio riparte e questa volta durerà 18 ore estenuanti di autobus: destinazione finale Kirarama.

26/07/2015
Luogo: Kirarama, prefettura di YamaguchiItalianContingent
Eccoci qua finalmente al Jamboree. Dopo esserci registrati come IST abbiamo iniziato due giorni di training che ci avrebbero permesso di svolgere le attività assegnateci prima di partire dalla staff giapponese. Nel mio caso ero stato assegnato al “safety department” che si occupava di far mantenere l’ordine e la calma all’interno del Jamboree: una sorta di vedetta che segnalava i problemi via radio.
Ovviamente facendo questo servizio mi sono anche cuccato i turni di notte, all’inizio non così drammatici, ma verso la fine sono diventati sempre di più un macigno sulla testa perché il turno durava la bellezza di sei ore, e la zona che ci davano da sorvegliare era un sotto campo intero da tenere sotto controllo girandoci dentro per almeno una decina di volte in tutto il turno… Per fortuna però l’ho passato in compagnia, svolgendo il servizio all’interno di una squadra composta da tre svedesi, un inglese e un italiano, collega di turno nonché mio compagno di tenda.
Grazie a loro i turni sono volati in un baleno. Oltre a questo al Jam quando non avevo turni ero solito visitare i vari stand delle nazioni dove ti venivano spiegate la loro cultura, religione ed innovazioni o conoscere persone e le loro storie di vita scout. Capitava anche che mi dedicassi allo swap, cosa molto importante al Jam.
Esso consiste nello scambio di patacchini, fazzolettoni o uniformi. L’aspetto più interessante di questa attività è che dietro ad ogni oggetto scambiato c’è una storia da raccontare.
I giorni passati al campo volavano e piano piano si avvicinava la data della partenza per ritornare a casa, però ad essere sincero sono ripartito da Kirarama con uno spirito diverso, con qualcosa in più che prima non avevo. È difficile da spiegare, è come un’energia che ti hanno donato le persone incontrate lungo il cammino, raccontandoti la loro esperienza scout e di tutti i giorni.

09/08/2015
jambo-siteLuogo: Aeroporto di Fukuoka
Il viaggio sembra ormai finito, invece mi aspettano la bellezza di 31 ore di volo e toccherò non una bensì due città dove farò scalo: la prima sarà Tokio e la seconda Doha per poi atterrare finalmente a Milano Malpensa dove lì mi aspettano i miei familiari e i miei amici.

Per concludere, il Jamboree è stata un’esperienza che mai dimenticherò e che consiglio vivamente; è vero, non l’ho vissuto da partecipante, come IST la differenza è molto ampia, però onestamente è stato come se fossi un partecipante… La cosa che mi ha fatto riflettere molto e che mi ha entusiasmato di più è vedere, anzi dimostrare, che vivere a contatto con altre culture in armonia per due settimane è POSSIBILE.

Matteo Squizzato (Mastino Grintoso)

Cosa significa partire

Matteo SQuando arrivi ad un momento della tua vita in cui decidi che è l’ora di fare il passo successivo (anzi, una vera e propria svolta), bene, è questo il momento per iniziare un cammino che ti porterà a fare delle scelte. Non hai di che preoccuparti: questo cammino non lo svolgerai da solo, anzi ci saranno le persone a te più care e i capi che ti sapranno consigliare ciò che secondo loro è il meglio per te – ma scegliere spetterà a te, mio caro lettore! In questo breve articolo ti racconterò la mia esperienza verso la Partenza e ti racconterò le sensazioni che ho provato al momento in cui ho vissuto la Partenza sulla mia pelle.
È cominciato tutto circa un anno fa, subito dopo la mitica Route Nazionale, quando iniziai a parlarne con il mio capo clan, e da lì il cammino è proseguito… Mi sono ritrovato a fare molte scelte, una fra tutte quella di partecipare ad una ROSS* (che ti consiglio caldamente): questo evento ha fatto sì che le certezze che avevo venissero messe in discussione.
Un altro grande contributo alla mia crescita è stato quello dei capi clan, con i loro stimoli mirati per migliorare sempre di più; ammetto che alcune scelte di cambiamento in certi momenti le ho rimpiante, però una volta giunto alla Partenza le fatiche sono state ripagate dalla soddisfazione che ti dà un momento simile.
La Partenza è uno dei momenti più belli della vita di uno scout, dove il partente è chiamato ad aprirsi e a raccontarsi tramite un’attività curata da lui; finita la cerimonia inizia la parte che a parer mio è la più bella in assoluto: quella dell’hike, dove ci sei solo tu e le direttive che ti lasciano i capi dentro una busta bianca. In un primo momento ho provato una sensazione di malinconia, ma subito dopo questo sentimento si azzera e poi inizi a meditare sul percorso scautistico che ti ha portato fin lì. E pensi alle persone che ti sono state vicine o che semplicemente hai avuto la possibilità di incontrare grazie allo scautismo.
Per concludere, la Partenza è il culmine di un cammino iniziato al momento in cui hai messo piede per la prima volta in sede; la Partenza vuol dire fare delle scelte e prendere una posizione… Questo ti porterà a scelte a volte scomode, però il risultato finale volge sempre a tuo favore!
Matteo Squizzato
(Mastino Grintoso)

*ROSS: Route d’Orientamento alla Scelta di Servizio

Branca, branca, branca… (leon, leon, leon)

Udite, udite, signori, vassalli e messeri. Oggi, qui vi narro una storia singolare, di un’armata Brancaleone dai componenti più disparati, riunitisi per partire alla volta del ridente feudo di Kandersteg.
Suona strano? Ebbene, garantisco che è accaduto, proprio l’agosto scorso, quando non due, ma ben tre comunità diverse: clan Zenit, clan Nadir e noviziato Gnothi Seauton (o forse dovrei dire 40 persone diverse), si sono messe in cammino, insieme, per diventare una.
Alcuni visi sono nuovi, altri conosciuti molto superficialmente, ma soprattutto sono davvero tanti. Una moltitudine che fa quasi paura.
Non mancano le esitazioni e anche un po’ di iniziale diffidenza, ma ormai siamo sulla strada e passo dopo passo, si avvia un discorso, si scoprono cose in comune, ci si conosce, oppure ci si ritrova come vecchi compagni di avventure e il clima si fa già più disteso.
È risaputo come la strada, ma soprattutto le difficoltà che essa comporta, temprino e uniscano gli animi.
Può sembrare paradossale, ma ritrovarsi a cantare sguaiatamente su un sentiero buio di montagna, alle undici di sera, con lo stomaco vuoto, il viso scottato, le spalle dolenti, i piedi consumati dagli infiniti chilometri, le salite e le discese, lega molto di più di cento serate alla discoteca Minimal (senza nulla togliere ai nostri PR).
E poi l’esperienza di Kandersteg: un’altra marmellata di culture, lingue, uniformi colorate. È il nostro piccolo Jamboree, la nostra esperienza internazionale, con un pensiero rivolto a chi invece è davvero in Giappone. Ci sono scout dall’Inghilterra, dal Portogallo, dal Belgio, dalla Spagna; qualche stereotipato lupetto dagli Stati Uniti e persino un’Islandese! Qui scopriamo che a migliaia di chilometri di distanza, facciamo le stesse bans e molto simile è anche lo spirito attorno al fuoco di bivacco. Tutti abbiamo un fazzolettone al collo; tutti, seppur in modalità e associazioni differenti, facciamo scoutismo.
Gli incontri, gli scontri, la condivisione del dividere la tenda e il cibo, ma soprattutto del fare insieme, generano appartenenza.
È fondamentale che i membri di una comunità non appartengano semplicemente alla comunità in se stessa, ma che essi si appartengano gli uni con gli altri.
Gaber, interpellato dalla mitica pattuglia fede, ci insegna: L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Chi c’era due anni fa, ricorderà che non erano passati molti giorni da quando il clan Zenit e il clan Nadir avevano imboccato i due rami diversi di quel bivio importante in val d’Ossola, ma al rientro in stazione c’erano già due clan, con due, seppur brevi, storie vissute: chi aveva modificato il suo itinerario e aveva trovato ospitalità presso il guardiano di una diga, chi era salito e aveva camminato tra la neve, chi aveva sguazzato in una fontana avendo prova di bizzarre reazioni allergiche ai prodotti bio e chi aveva avuto incontri ravvicinati con un elicottero di soccorso.
Da lì, le nostre strade si sono progressivamente distanziate: diverse dinamiche, diverse esigenze, scelte diverse, che quasi senza che ce ne accorgessimo, andavano a costruire la nostra tanto ricercata identità comunitaria.
L’esperienza ci suggerisce dunque, che è tutta questione di strada, di mettersi in moto, di partire.
E come sa chi cammina, il difficile è cominciare, fare la prima salita, misurare il passo e adattare il fiato. Ma questo non basta: bisogna poi proseguire con costanza e determinazione, senza correre, che esaurirebbe tutte le energie in partenza, evitando le scorciatoie, che possono essere pericolose e senza mai fermarsi e restare seduti troppo a lungo, che è una grande trappola.
Diventare “tiepidi” può rischiare di affondare un clan. In Zenit lo abbiamo imparato e forse anche in Nadir.
Un clan vive di passione, fiducia, servizio e coraggio e il clan Kypsele ha l’irrefrenabile metodica operosità delle api nel suo nome e l’unione nel servizio come urlo.
Non più un’armata Brancaleone dunque, ma un Clan: un Clan che cammina.
Erica, Lince Riservata

Ma quanti campi da cambusieri ci siamo persi?

Un mezzogiorno qualsiasi, arriva un messaggio. Mi si chiede di andare a fare da cambusiere al campo Pegaso… per il giorno seguente! Armi e bagagli, non c’è tempo da perdere, via verso un’esperienza di servizio un po’ alternativa!
Sono rimasto in cambusa per un paio di giorni soltanto, col fido Guss, compagno di mille avventure, al mio fianco. Ora, che cosa ho tratto da questa breve (ma intensa) esperienza da cambusiere? Innanzitutto, il servizio è sporcarsi le mani – e non solo – con la gioia di farlo, anche lavorando dietro le quinte, e quindi posso affermare che sia stata una delle più belle esperienze di servizio nella mia “carriera” da rover.

E qui arriviamo al perché del titolo: quanti campi da cambusieri ci siamo persi? I rover e le scolte che si occupano della cambusa ad un campo sono abbastanza una rarità. Perché non proporre questo tipo di servizio? Trovo che ricoprire questo ruolo possa essere un’ottima esperienza da portare nel proprio bagaglio, utile a conoscere un aspetto fondamentale di un campo, a mio avviso troppo spesso sottovalutato o delegato ad altri (spessi ai genitori…). La mia esortazione quindi è: proponetevi come cambusieri, vi assicuro che quando ci avrete provato anche voi non potrete fare a meno di chiedervi: “ma quanti campi da cambusieri ci siamo persi?”

Tricheco Critico  (Lollo)

Costruire ponti

Per chi si fosse perso la puntata precedente eccone un breve riassunto: il Noviziato, quest’anno, ha deciso di impostare la sua impresa sulla propria e altrui sensibilizzazione al tema dell’immigrazione che, in questo periodo, è quanto mai vicino alla nostra realtà. Nella prima fase del nostro progetto abbiamo “studiato” il fenomeno, testato la nostra ignoranza in merito e anche quella delle persone che ci circondano, toccato con mano la realtà dei migranti: li abbiamo incontrati, conosciuti e capiti. I limiti della lingua non li hanno fermati, hanno raccontato con coraggio la loro storia: la difficoltà del viaggio, il dolore nell’allontanarsi da casa, ma anche la speranza che fosse in serbo per loro un futuro migliore. Perché, penso di parlare a nome di tutto il noviziato, è questo che più di ogni cosa ci ha colpiti: la voglia di riscatto e la gratitudine verso il Paese che li ha accolti. Accoglienza è stata la parola chiave che ha dato una nuova direzione al nostro progetto: volevamo portare al Gruppo una testimonianza della nostra esperienza per far riflettere sul tema e dare, purtroppo solo idealmente, una casa a queste persone. Insomma, fare qualcosa di concreto.

L’occasione ci fu data quando abbiamo appreso che ora il Gruppo aveva bisogno di una nuova cappelletta, dal momento che quella realizzata in precedenza era stata smantellata. Carichi di buoni propositi e idee niente male ci siamo divisi i compiti e abbiamo cominciato i lavori. Come ogni impresa che si rispetti ci sono stati diversi imprevisti e contrattempi, l’entusiasmo è venuto meno, ma è proprio in quei momenti che è stato necessario stringere i denti e portare a termine i nostri progetti. E così abbiamo fatto. All’alba del 20 settembre i lavori si sono conclusi. Il risultato è, obiettivamente, ottimo.

L’ambiente ha un messaggio chiaro: rappresenta il viaggio per mare che ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini affrontano sfidando la sorte, le orme sulla sabbia portano alla croce; la sofferenza che il viaggio comporta è accomunata alla passione di Cristo. Cercavamo una frase che potesse chiarire a tutti il messaggio della cappelletta e Papa Francesco ci è venuto in aiuto. Si era, infatti, appena tenuta l’udienza degli scout in piazza dal papa. Il messaggio che ha lanciato a milioni di scout era di unione, fratellanza, accoglienza. «Fare ponti, fare ponti, in una società dove c’è l’abitudine di fare muri.» L’augurio che ci facciamo è che chiunque possa entrarci per raccogliersi, rilassarsi, pregare e riflettere.

Ogni giorno siamo bombardati da servizi dei tg, testate giornalistiche che riportano cifre esorbitanti ma non ci soffermiamo sul valore umano di quei numeri, forse perché è più comodo fermarsi a questi, evitare che la nostra tranquillità venga perturbata anche solo dal pensiero della sofferenza che vi sta dietro, delle tragedie che si consumano ogni giorno. Chiudiamo semplicemente gli occhi. Noi con questa impresa abbiamo provato ad aprirli: speriamo che chiunque entri nella cappelletta provi a fare altrettanto.

Elena Banda

Gli aquiloni vogliono volare

Coraggio.17
Una vita senza sfide, senza ostacoli, non è degna di essere così chiamata.
Quando l’uomo si misura con le difficoltà che incontra, conosce un po’ di più sé stesso.
Cos’è una sfida?
È “Nostro Meglio”, “Eccomi”, “Estote Parati”.
È sogno, determinazione, obbiettivo.
È testa alta e maniche arrotolate.
Chi siamo noi, Scout, se non proprio coloro che perseguono i loro sogni senza mai lasciarsi fermare dagli ostacoli che incontriamo lungo la strada? Dobbiamo essere fieri di noi stessi! Costruiamo un piccolo Mondo, all’interno di uno più grande, in cui non ci sono soltanto parole; dove i sogni più belli non finiscono quando ci svegliamo la mattina, ma sono Aquiloni liberi di volare più in alto e superare l’Impossibile. Noi che abbiamo davvero il coraggio di far volare i nostri Aquiloni. In nove anni di scautismo mai come ora sono orgogliosa di far parte di questo “Noi”. Noi che non siamo tonni, ma salmoni che nuotano controcorrente; come mi direbbe il vecchio Akela.
Mi chiedo: che rumore fa la Felicità?
Felicità è realizzare un sogno; sogno è puntare il dito sulla vetta della montagna; la montagna è la nostra sfida preferita. Quindi, signori, cosa stiamo aspettando? Scaliamole queste montagne, puntiamo la bussola verso i nostri aquiloni.
Dopotutto basta un pizzico di coraggio per mettere un piede fuori dalla porta.

Cigno Determinato

route

Ecco la Carta del Coraggio. Da leggere!

carta del coraggioLo scoutismo, come tutte le cose più fantastiche scaturite dalla mente umana, è un’esperienza in cui si uniscono elevati ideali e capacità concrete: pensate agli ideali di giustizia, solidarietà, fratellanza e pace che il nostro movimento persegue così come l’abilità di badare al fuoco, fare nodi che tengano e costruirsi un riparo all’asciutto. Le idee invisibili che ci muovono le testimoniamo soprattutto attraverso azioni apprezzabili, con “le mani e i piedi”.

Per costruire qualcosa, di solito, servono pochi architetti e tanti “scalpellini”, ma quest’estate a San Rosssore è successo il contrario: 462 scalpellini hanno dato vita ad un’opera colossale guidati da 28.000 e passa architetti. Quest’estate durante la Route Nazionale i rover e le scolte d’Italia hanno consegnato i loro progetti e sogni, ragionati per almeno un anno, nelle mani di chi è stato incaricato a dargli forma. Io ho avuto l’onore di essere tra questi. Ecco qui il documento finale sotto il nome di “Carta del Coraggio

alfieriTutto è iniziato con la volontà dell’AGESCI di andare oltre e tutto ciò che ha fatto fin’ora e di proiettarsi ancora di più nell’azione civica, nella presenza attiva sul nostro territorio. I capi del Consiglio Nazionale, però, non hanno voluto decidere di per se il nuovo orizzonte su cui posare lo sguardo, ma, con un’atto dalla potenza educativa enorme, si sono fidati dei giovani. “Ask the boy”, avrebbe detto B.P.

Ne è scaturito un documento che punta in alto, con ideali ed ambizioni altissimi, ma che propone e ci stimola soprattutto nel pratico e nel concreto. Si parla di ambiente, di lavoro, di servizio, legalità e giustizia, pace e amore, tanto amore.

geco coinvolgenteIn ogni punto vi sono impegni che ci prendiamo e richieste che muoviamo al mondo degli adulti, della politica e della Chiesa.

In tre giorni abbiamo sintetizzato il lavoro di centinaia di route mobili e lo stile tenuto dalla stragrande maggioranza degli alfieri è stato un vero schiaffo al modo di fare “politica” che sembra imperante al giorno d’oggi. Per usare le parole del preseidente Renzi, che ha voluto salutarci al termine dei lavori: “Vi siete ascoltati e questo è importante, perché spesso si parla tanto e non ci si ascolta… Avete fatto democrazia, non giocato alla democrazia.”

Geco Coinvolgente

Scarica in *PDF la Carta del Coraggio dal sito dell’AGESCI.
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